Cultura e Società

Da “sepolti vivi” ad astronauti: il coraggio dei bambini del terremoto di Ischia, REPUBBLICA.IT 27 agosto 2017. Intervista ad A. Lucattini

4/09/17

Repubblica.it  27- 8 -2017

Da “sepolti vivi” ad astronauti: il coraggio dei bambini del terremoto di Ischia

I piccoli da 0 a 3 anni sono più sensibili degli adulti agli eventi traumatici. L’esperta: “La paura può trasformarsi in coraggio e diventare un motore che possa portare a nuove avventure”

INTRODUZIONE: una lunga e illuminante intervista ad  Adelia Lucattini, psicoanalista della Società psicoanalitica italiana, sul tema dei traumi provocati dai terremoti nei bambini  e su come genitori consapevoli possano intervenire aiutandoli ad addomesticare le loro paure . (Silvia Vessella)

Repubblica.it  27- 8 -2017

SARA FICOCELLI

ROMA. Da sempre la saggezza popolare, poi ripresa da grandi scrittori di fiabe del passato come i fratelli Grimm, racconta delle paure dei bambini e di come queste possono essere esorcizzate grazie alla saggezza, alla protezione e all’aiuto dei genitori, alla fiducia negli adulti che si occupano di loro. La fiaba de “I tre porcellini” parla proprio di questo: di case costruite con la paglia, con il legno e infine coi mattoni. Soltanto l’ultima, costruita dal più grande e più saggio dei tre, riuscirà a salvare tutti e tre i fratellini dal “lupo affamato” – non “cattivo”, si badi bene – incarnazione di tutti i pericoli “naturali” (come la stessa fame, piaga sociale nei tempi antichi) che potevano mettere a repentaglio la vita dei bambini e che, nelle fiabe, erano spesso rappresentati dall’unico predatore con cui questi potevano avere contatti: il lupo, appunto.

San Francesco, quando dovette compiere un miracolo per convincere le popolazioni umbre che “il male” poteva essere avvicinato, accolto, addomesticato e superato, scelse di parlare col “feroce lupo di Gubbio”, facendo di lui “frate” (fratello) Lupo che da quel momento “entrava per le case a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto male a lui’.

Della paura e dei traumi provocati dal terremoto di Ischia alla popolazione, e in particolare sui tre fratellini di 7 mesi, 8 e 11 anni salvati dai vigili del fuoco dopo 16 ore di lavoro ininterrotto tra le macerie, abbiamo parlato con Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista esperta in bambini adolescenti e psicoanalista dell’emergenza.

Quali effetti può avere un terremoto sulla psiche dei bambini?

“I bambini sono più sensibili degli adulti agli eventi traumatici, perché più sono piccoli, hanno minori capacità di comprensione e quindi di spiegazione di quello che è accaduto. Prima dei tre anni è per loro difficile far ricorso alla memoria esplicita ovvero alla memoria così come noi la intendiamo noi, fatta di immagini, parole, suoni esprimibili a parole. Ma il fatto che non vi sia una memoria esplicita non significa che non ci sia memoria. È infatti noto che da 0 a 3 anni i bambini sono già dotati (geneticamente) della “memoria implicita”, che poi conserveranno e utilizzeranno per tutta la vita. I bambini, per come è strutturata e funziona la loro mente, diversa a seconda dell’età poiché sono in crescita e quindi in continua “evoluzione”, hanno difficoltà a dare un nome e quindi un significato e un “senso” agli eventi drammatici in cui possono essere coinvolti. Le catastrofi naturali, come il terremoto, le alluvioni, lasciano una traccia a volte indelebile nella loro mente, nella memoria e soprattutto nella loro sfera emotiva”. 

In che modo la “memoria implicita” del terremoto si manifesta nei bambini molto piccoli?

“Il tipo di memoria che riguarda i bambini da 0 a 3 anni è che gioca un ruolo fondamentale nei traumi è quella “implicita, emotiva ed affettiva”. Questo tipo di memoria, legato alle esperienze inconsce, sensoriali e psichiche, è quel luogo della mente dove sono depositate le memorie più antiche di ogni individuo, a partire dalla memoria intrauterina del battito cardiaco e della voce della mamma, fino alle prime relazioni sensoriali ed emotive del bambino con mamma e papà e con l’ambiente esterno, che anche il neonato percepisce ed è in grado di memorizzare. Ad esempio il boato del terremoto, il frastuono dei muri che cadono, la pressione del letto da cui si è stati protetti, l’odore dei calcinacci, la voce del proprio fratellino che parla, il buio, il battere forte dei soccorritori, l’improvviso lampo di luce quando si viene tratti in salvo. Queste sono esperienze che rimangono impresse per sempre e che ritornano anche nel corso di tutta la vita, nella “forma” che prendono le “paure” e i sogni. Anche i bambini nella fase della latenza, 7-8 anni, possono avere un ricordo “lacunoso” del terremoto e soprattutto dell’essere stato sepolto vivo, esperienza mai vissuta in precedenza e forse nemmeno mai sentita in un racconto o visto in un film. Da qui la difficoltà a comprendere cosa sia successo: è un’esperienza improvvisa, ignota, senza nome. Anche il terrore vissuto può essere un terrore “senza nome”, che non può essere raccontato e condiviso, un evento terrorizzante insieme a emozioni sconosciute, impregnate di terrore annichilente, che può causare disturbi seri, subito e a distanza. Nella preadolescenza, 11-12 anni, l’esperienza di essere sepolto vivo e di catastrofe per la caduta della casa, che rappresenta la propria sicurezza, di solito produce effetti molto più evidenti e porta i ragazzini stessi a chiedere aiuto ai genitori. Basti pensare alla presenza di spirito, tenuta emotiva e capacità mentale, al cosiddetto “sangue freddo”, unita al grande amore e premura nei confronti dei fratellini, che ha spinto in pochi attimi il più grande, un bambino anche lui, a mettere in salvo gli altri due, mettendo a rischio la propria vita e la propria sicurezza. Grazie alle sue capacità personali, all’educazione e agli esempi ricevuti in famiglia, alla sua personale attenzione e intelligenza, il piccolo ha potuto far tesoro di tutte le “procedure” in caso di terremoto, apprese anche a scuola nelle esercitazioni antisismiche.

Quali conseguenze potranno esserci in futuro per i tre bambini?

“È importante occuparsi subito del “presente”. Tutti e tre avranno sicuramente bisogno, insieme ai loro genitori, di una assistenza psicologica. L’intervento immediato, “a caldo” o “defusing”, si serve di alcune tecniche specifiche che aiutano a gestire lo stress. Può essere fatto anche sul momento e sul posto, o in ospedale, e prevede alcune fasi specifiche che aiutino a gestire l’emotività in generale, non solo legata alla situazione.

Nella prima c’è la “presentazione” del professionista alle persone che hanno necessità di supporto, con possibilità di creare con loro un rapporto spiegando le motivazioni dell’intervento e garantendo la privacy. C’è quindi la fase dell’ “esplorazione”, in cui si stimolano le persone a parlare dell’esperienza traumatica vissuta, favorendo una definizione dei contorni emotivi e delle situazioni in modo da poter dare un significato a quello che si è vissuto. La terza fase, quella dell’ “informazione”, serve a normalizzare e accogliere per i sopravvissuti le esperienze e i vissuti dei momenti drammatici”. 

E la fase successiva?

“La fase successiva è la più delicata, poiché e la fase in cui si manifesta il “disturbo post traumatico da stress”. I bambini coinvolti nel terremoto di Amatrice spesso nella prima fase non hanno proprio parlato, si esprimevano attraverso i disegni delle onde che muovevano il terreno, mentre le persone erano sospese in aria insieme alle case ancora intatte. Solo col proseguire degli incontri con gli psicoanalisti infantili, sempre insieme ai loro genitori e ai fratellini, hanno cominciato a rappresentare in modo più chiaro le proprie paure. Nei disegni hanno cominciato ad apparire persone distese, rappresentazione o espressione di memoria “implicita” delle persone ferite o morte, giocattoli “rotti” come le loro case. Soltanto dopo un po’ di tempo sono stati in grado di disegnare le lacrime, da prima sotto forma di nuvole, luna o sole che piangevano e talvolta di bambini che piangevano. Tutto questo senza mai versare una lacrima per moltissimo tempo. Dopo qualche mese di trattamento sono riusciti ad esprimere nel disegno l’assenza delle persone che non c’erano più, familiari, amici, compagni di scuola. Col procedere del trattamento scompaiono anche disturbi come l’insonnia, l’enuresi notturna, l’impossibilità di dormire da soli, l’inappetenza, la paura a stare da soli, la paura di andare a scuola, comuni a tutti i bambini dai 3 anni in poi. I più piccoli (0-3 anni) piangono spesso, vogliono stare in braccio dei genitori, non possono rimanere al buio, non vogliono stare da soli, possono essere inappetenti e, se già autonomi, ricominciare a portare il pannolino”.

Qual è il ruolo dei genitori in queste situazioni?

“Un ruolo fondamentale: sono i loro bambini. Bisogna tenere presente che il terremoto ha coinvolto anche loro, che hanno avuto paura di perdere i propri figli; per molto tempo rivivranno ancora il terrore, provato per ore o giorni, che potessero morire. Per un genitore il dolore dei figli è insopportabile, è di per sé un elemento traumatico che rischia di “segnarli” per tutta la vita se non aiutati, e renderli estremamente ansiosi”.

I bambini possono essere influenzati dallo stato d’animo dei genitori e se sì, come?

“Avendo una percezione inconscia particolarmente sviluppata, i bambini avvertono in modo molto più accentuato le emozioni, e quindi sono molto sensibili agli stati d’animo degli adulti. Oltre che gestire le proprie paure e ansie, sentono di doversi occupare anche di quelle dei genitori, in cui inizialmente possono non trovare un “rifugio” mentale e contenimento, essendo la mente di questi occupata dalla paura, da problemi di salute e dai problemi pratici che la perdita della casa degli averi comporta. In questi casi i bambini hanno un comportamento assolutamente anomalo, sono iper tranquilli, ipermaturi, tendono a minimizzare tutto quello che è successo, ad accentuare la propria autonomia ed indipendenza. Potremmo definirli affetti da “normopatia”, intensivamente normali in una situazione particolarmente insolita, traumatica, “non-normale”. Ma poiché questo è un atteggiamento “reattivo” e di difesa, dolore e sofferenza interiore torneranno puntualmente negli incubi notturni e nei momenti più impensabili, durante una partita di pallone o al saggio di danza, o mentre saranno al mare. Potrebbero avere paura di scendere in acqua, di rimanere a casa dai nonni o di un amichetto, di farsi la doccia, di entrare in una stanza. Questo potrà accadere accadere anche progressivamente o a ciel sereno, senza che il bambino sappia spiegare perché. Non è da trascurare il fatto che ci sono dei “flashback”, ovvero degli improvvisi ricordi sotto forma di immagine dell’esperienza vissuta, anche nei bambini molto piccoli, che, non sapendo parlare, non sono in grado di esprimerlo. Inoltre, per molto tempo rimarranno le sensazioni sensoriali, la memoria nel corpo di quanto accaduto: i bambini, proprio come gli adolescenti e gli adulti, potranno sentire tremare il pavimento, avvertire una pressione sul corpo, avere una sensazione sul cuoio capelluto, sentire un prurito sulla pelle, avere l’impressione di soffocare o di non riuscire a respirare bene, come se qualcosa chiudesse il naso o pizzicasse nella gola”.

E’ possibile che tutto questo passi per sempre?

“Le possibilità sono molte, la terapia psicoanalitica fornisce risposte efficaci e spesso in tempi rapidi a questo tipo di situazione, soprattutto se si tratta di bambini. Naturalmente è importante valutare non solo la reattività individuale del piccolo e la gravità dell’evento traumatico ma la necessità di sostegno dei genitori e del nucleo familiare. Ogni bambino risponde in modo diverso e ha tempi leggermente diversi anche in relazione alle proprie risorse personali. Le esperienze cliniche ci hanno mostrato che interventi mirati specifici, effettuati da persone competenti e professionalmente preparate, sono efficaci. L’elaborazione del trauma apre a nuove frontiere interne ma anche reali: la paura può trasformarsi in coraggio e diventare un motore che possa portare a nuove avventure. Pensiamo ad esempio al ruolo educativo di alcuni libri per l’infanzia e per ragazzi come “Dalla terra alla luna” e “Ventimila leghe sotto i mari” di Jule Verne.  Da “sepolti vivi” a esploratori dello spazio e delle immensità dei fondali marini, splendida metafora dell’inconscio esplorabile attraverso una navicella spaziale o un sottomarino (la stanza o “la tenda” d’analisi), con un equipaggio e compagni di viaggio (la propria famiglia, i vigili del fuoco e i cani da soccorso, i medici e il personale dell’ospedale), insieme a un capitano esperto (l’analista) e i suoi alleati (il suo gruppo di riferimento). Il lavoro psicoanalitico, consiste non solo nell’affrontare il problema e aiutare a risolvere i disturbi e sintomi sul momento e a distanza, ma a creare un processo interno di trasformazione, di “pensabilità” degli avvenimenti, che faccia sì che “i fantasmi” che aleggiano in un continuo “presente” nella mente e nei luoghi in cui vivono i bambini, si possono trasformare in ricordi, collocati nel passato, come i “Lari”, gli “antenati” che nella Roma dell’Età Imperiale, come “statuette “sacre”, venivano custodite con cura in appositi scrigni, ruvidi all’esterno e dorati all’interno, in un luogo dedicato della casa, luogo fisico e della mente, oggetti e spazio “transizionale” diremmo oggi: per sempre vicini, interiorizzati e tangibili, “protettori” della famiglia”.

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