IL FOGLIETTO – martedì 26 maggio 2015
Come prepararsi alla senilità. Intervista allo psichiatra Marcello Turno
INTRODUZIONE: Marcello Turno, psicoanalista della Società psicoanalitica italiana, psichiatra, docente di psicogeriatria, illustra lo stato della ricerca nei confronti delle malattie geriatriche e propone una vera e propria “educazione all’invecchiamento”. (Silvia Vessella)
IL FOGLIETTO – 26 MAGGIO 2015
Sonia Topazio
L’allungamento della vita è una conquista del ventunesimo secolo che apre nuovi scenari strutturali, sociali, sanitari ed economici, che costituiscono un’enorme sfida per la sostenibilità dei vigenti modelli di sviluppo. L’allungamento della vita ha modificato la percezione della “vecchiezza” nei suoi connotati (saggezza, esperienza, buon senso) che determinavano, un tempo, un ruolo fondante nella società non solo riconosciuto, ma a tratti anche venerato.
Oggi, invece, l’invecchiare viene percepito nella sua accezione puramente negativa, visibile come un progressivo decadimento ed indebolimento dell’organismo, vissuto quasi esclusivamente come un problema sia da chi invecchia che da chi gli sta vicino.
Come provvedere a quella generazione detta della quarta età, che riguarderebbe l’età più avanzata? Su quali bastoni della nostra vecchiaia si potrà fare affidamento?
A colloquio con lo psichiatra Marcello F. Turno, Docente di Psicogeriatria – Dipartimento di Scienze umane – LUMSA, Roma – Membro della Società Psicoanalitica Italiana e International Psychoanalytical Association.
La nostra società vede accrescere sempre più la popolazione in tarda età. Quali problematiche vanno maggiormente affrontate per garantire una vita dignitosa?
Il focus della sua domanda tocca un punto cruciale dell’invecchiamento: vivere in maniera dignitosa. I progressi scientifici in campo medico hanno permesso un allungamento della vita, ma non è stata trovata alcuna soluzione affinché fossero mantenute intatte le abilità del vivere quotidiano, per cui siamo destinati a vivere una vecchiaia sostenuta da protesi: dalla dentiera alla carrozzina, dal catetere alla P.E.G, dal pannolone al respiratore artificiale, fino alla presenza costante di una badante senza la quale la persona anziana non è in grado di vivere in autonomia. Tutto ciò apre chiaramente un dibattito etico che coinvolge il finis vitae, dall’accanimento diagnostico a quello terapeutico fino alle cure palliative, oltre a come affrontare dignitosamente la vecchiaia.
Forse tutto si può riassumere in una sorta di cinico aforisma: aumenta la salute ma la carrozzeria va in pezzi.
Come si fa a diventare un anziano con un invecchiamento di successo?
Così come è stata concepita la pedagogia bisogna anche considerare una “geragogia” una vera e propria educazione all’invecchiamento il cui scopo è mantenere una vita autonoma e una attività psicofisica soddisfacente. Ma bisogna fare attenzione poiché la geragogia non riguarda le persone anziane, ma coinvolge l’individuo dal momento in cui nasce. Bisogna prendersi cura del proprio corpo e della propria mente sin da quando si è piccoli. La rivoluzione culturale del presente attuale sarebbe creare una sorta di manifesto sullo stile di vita: il cibo, il movimento, le cattive abitudini (alcool, fumo) etc. e insegnarlo nelle scuole. Non si diventa vecchi di colpo, ma si comincia ad invecchiare da quando si nasce. Insomma, non sarei contrario a insegnare come si invecchia nelle scuole. Solo così si può far crescere la consapevolezza che buona parte della vecchiaia è determinata dal nostro comportamento.
Quindi considerare sempre l’attività fisica per il corpo e l’attività mentale per il cervello oltre ad un buon stile di vita, in generale, che ci aiuta a tenere lontano alcune patologie che possono essere devastanti per il corpo e la mente come il diabete o l’ipertensione. Nella prima metà del secolo scorso si moriva per malattia (non c’erano gli antibiotici, non esisteva la risonanza magnetica o la TAC, le staminali forse non erano neanche una vaga idea) ma erano poco presenti molte malattie correlate ad uno sbagliato stile di vita, come il diabete, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia e via di seguito.
Insomma bisogna avere attenzione sia per l’hardware (il corpo) che per software (la mente): se le due cose sono in equilibrio allora si può parlare di invecchiamento di successo.
Che risorse ha la psicofarmacologia o la neurofarmacologia per la fascia della quarta età?
L’età avanzata è spesso correlata a patologie cerebrodegenerative che rappresentano la vera emergenza di questo nuovo millennio, fra cui l’Alzheimer. Attualmente si hanno farmaci in grado di rallentare il declino cognitivo per un tempo brevissimo, ma non di arrestarlo. Urge una ricerca più approfondita che vada di pari passo con la prevenzione e la diagnosi precoce.
Non dobbiamo dimenticare che purtroppo molte cerebropatie sono causa di disturbi dell’umore e del comportamento: depressione, insonnia, aggressività, disinibizione etc., per cui intervenire con psicofarmaci non è sempre facile a causa degli effetti collaterali che possono insorgere. Per cui possiamo dire che per il cervello della quarta età (e forse anche per quello della terza) è stato fatto ben poco.
Quali sono le armi attuali per fronteggiare l’emergenza delle patologie cerebrodegenerative?
L’educazione e l’informazione dei familiari e del caregiver principale è fondamentale. La gente non sa a cosa va incontro, lo scopre di giorno in giorno e ne resta shoccata. Le malattie dementigene pur essendo patologie ad andamento cronico presentano situazioni di acuzie giornaliere che il familiare non sa come affrontare. L’istituzione di centri diurni in proporzione al numero della popolazione che si ammala sarebbe ottimale. I centri diurni darebbero molto sollievo ai familiari, specialmente a quelli che lavorano. Vedo positivamente anche la creazione di gruppi di auto-mutuo aiuto. La drammatica esperienza di uno potrebbe essere preziosa per l’altro che non sa darsi una spiegazione di quello che sta accadendo al suo congiunto.