D. HIRST, 2020
Parole chiave: Psicoanalisi, Disforia di genere, Sessualità, Corpo, Inconscio
Se Careggi vuol dire Salute, Salute vuol dire anche Società Psicoanalitica Italiana. Ho sentito il Presidente, Sarantis Thanopulos, che non ama sottrarsi; anzi, quando viene sollecitato sui temi cruciali che riguardano la vita, di adolescenti o meno, interviene con coraggio e senza peli sulla lingua.
Che cosa pensa di quanto accade al “Careggi”, coinvolto, a quanto pare, in una gestione non del tutto chiara dei bloccanti della pubertà? Il ministero della Salute ha inviato degli ispettori.
Di questa faccenda so quanto ho appreso dai giornali. Poi, dalle affermazioni delle responsabili del servizio della disforia dell’Ospedale, che sollecitano forti perplessità sul piano scientifico. E, infine, dalla mancanza di sufficiente trasparenza sui dati complessivi del trattamento degli adolescenti con bloccanti della pubertà. Perché si dice una cosa e se ne fa un’altra. Secondo il protocollo approvato dall’AIFA ci dovrebbe essere un congruo periodo di presa in carico sul piano della psicoterapia, ma ciò non avviene. La psicoterapia è di fatto espulsa. Ora, se si tiene conto del fatto che l’incongruenza di genere è un fatto psichico e non biologico (in essa il sesso psichico, la percezione soggettiva della propria identità sessuale, entra in contraddizione con il sesso biologico) siamo di fronte all’invasione del campo “psichico” da parte di una tecnica medica (endocrinologica) che non ha competenze psicologiche.
Che cosa hanno affermato le responsabili del servizio del Careggi?
Considerano inutile la psicoterapia. Perché, dicono, i ragazzi disforici la devono fare se quelli “cisgender” (coloro in cui identità di genere e sesso biologico coincidono) non la fanno? Per loro il preadolescente incongruo ha già un destino di transgender. Ed è coerente con questa loro opinione il fatto che considerano apertamente il blocco della pubertà come primo passo di una “transizione” ormonale e chirurgica (mastectomia o costruzione di un seno e eventuale asportazione dei genitali), vedi un’immagine del corpo simile a quella del genere opposto al loro sesso biologico.
Sui giornali è apparsa la notizia, dal Careggi non smentita, che i bloccanti della pubertà li somministrano anche a ragazzi di 11 anni o anche di meno. Consideri che solo il 20% dei preadolescenti incongrui conferma la condizione di incongruenza dopo la pubertà. Poiché non è adottata nessuna diagnosi differenziale e ci si affida alla percezione di sé del soggetto, ci si chiede con quali criteri e da parte di chi si decide chi appartiene a questa parte minoritaria e va trattato e chi invece non ne fa parte è il trattamento dovrebbe essergli risparmiato? Perché, diversamente, si corre il rischio grave di una fabbricazione dell’identità.
A difendere il Careggi sono scesi in campo i genitori, che declamano la felicità dei loro figli dopo il trattamento.
Ci sono genitori che aderiscono al trattamento e genitori disperati. La verità è che i genitori non sanno a che santo votarsi e a volte si rifugiano nelle soluzioni che più calmano le loro ansie. Anche adottando soluzioni opposte. Bisognerebbe aiutarli a dialogare con i figli senza forzare la condizione di questi ultimi in una direzione o nell’altra. Gli studiosi dovrebbero evitare di usarli per confermare le proprie convinzioni, di qualsiasi tipo che esse siano. Quanto alla felicità, sarebbe giusto non affidarla alla retorica. C’è sofferenza in qualsiasi scelta di vita ed è necessario fare di tutto per le rinunce che questa scelta implica, se si vuole vivere una vita vera.
C’è anche la presa di posizione di dodici società scientifiche scese in campo a sostegno del Careggi. Parlano dei bloccanti come farmaci “salvavita”. Permetterebbero a ragazzi di “guadagnare tempo e dare la possibilità all’adolescente stesso di esplorare ulteriormente il proprio percorso di affermazione di genere”, riducendo il rischio di suicidio.
Sono dodici società scientifiche e associazioni culturali. Nessuna di queste ha conoscenze nel campo dello sviluppo psicologico durante la pubertà, né tantomeno nel campo del trattamento psicoterapeutico del disagio psichico durante lo sviluppo puberale. È una bella pretesa parlare in nome della difesa dell’interesse psicologico degli adolescenti.
Quanto alla riduzione del rischio del suicidio, non ci sono studi attendibili per numero dei dati e rigore di impostazione. Del resto, per capirci qualcosa ci vorranno ancora anni. Tuttavia, sorge spontanea una domanda: c’è una comparazione su questo piano con i risultati che si raggiungono con un approccio psicoterapeutico (che è stato esorcizzato) o, se si sceglie una via psichiatrica tradizionale, con l’uso (auspicabilmente moderato) di psicofarmaci?
La sospensione della pubertà per dare tempo al soggetto, presumibilmente disforico, a costituire la sua identità di genere è un ossimoro. Lo sviluppo puberale è necessario per la costituzione dell’identità di genere. In che modo si può esplorare e definire questa identità, se si ricorre al blocco dello sviluppo? Non sorprende che nella quasi totalità dei casi il blocco della pubertà porta alla transizione/affermazione di un’identità transgender. Ognuno di noi ha il diritto di definirsi in tal senso. Nell’adolescenza, quando l’evoluzione identitaria è in via di definizione e in vari gradi ancora incerta, nessuno può predeterminarla e decidere per noi.