Cultura e Società

Bolognini e Peter Pan

11/01/11

Introduzione di Silvia Vessella

Nello stile lieve ed immediato di una favola Bolognini racconta a tutti i lettori di un disturbo narcisistico e di una complessa elaborazione nella stanza d’analisi; insieme poi al riconoscimento del valore universale della storia narrata lo collega con le ragioni della diffusione sociale dei "Peter Pan".

 

Dall’Unità del 31-12-2010

Dan Kiley? Il ragazzino volante gli spara una bella denuncia

di Stefano Bolognini

Wendy, pre-adolescente prossima alla prima mestruazione, non vuole diventare grande, e con i fratellini Gianni e Michele si fa trasportare da Peter Pan (suo idolo segreto) sull’Isola che non c’é, dove pare non si cresca mai. Peter Pan è l’equivalente di un idolo rock: è pieno di ragazze (Wendy, Trilly-Campanellino, Giglio Tigrato…) ed è un narcisista estremo. Al comando del suo gruppetto Peter Pan tiene in scacco un equivalente paterno castratore (Capitan Uncino), e lo fa esibendo i suoi ultrapoteri che compensano lo svantaggio di statura e di forza fìsica rispetto all’adulto. E in effetti dal punto di vista edipico gli va dritta: il malvagio castratore finirà sconfitto e «castrato» (la sua mano destra finirà nelle fauci del coccodrillo), e Peter Pan – trionfante fratello maggiore che ha sconfitto il padre – ricondurrà a casa il suo manipolo di ragazzini.

Il suo analista cerca inutilmente di riportarlo coi piedi per terra, segnalandogli come tutta questa eccitata grandiosità fantastica altro non sia che strenua difesa da una sensazione di deprimente, dolorosa, intollerabile impotenza infantile. Gli ricorda che lui è un bimbo «mai nato», dunque non accolto dalla madre; che pretende di vivere in un mondo alternativo; e che – appunto – «vola», cioè si sottrae alle leggi della realtà e si affida piuttosto alla fantasia sostitutiva e all’onnipotenza magica.

Ma Peter Pan, per il momento, se ne fotte: la conquista dell’amore femminile è garantita dalle ragazze dell’Isola. E questo l’analista deve ficcarselo bene in testa, insieme a quell’altro suo tormentone sull’accettare il passare degli anni.
In fondo, l’umanità ha sempre sognato di trovare fonti dell’eterna giovinezza, elisir di lunga vita e prodigi farmacologici di ogni tipo per fermare l’avanzare del tempo: dal Dottor Faust al potente politico che si spupazza minorenni per sentirsi sempre giovane, tutti ci hanno provato e ci riproveranno. Quindi, poche storie; anzi, a quel Dan Kiley che nel 1983 ha conquistato il suo quarto d’ora di notorietà inventandosi la Peter Pan Syndrome, a quello gli si spara una bella denuncia per diffamazione e gli si chiedono i danni.

L’autore residente degli psicoanalisti freudiani è anche scrittore. Nel 2010 ha scritto «Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire», Bollati Boringhieri

 

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