JAN BRUEGHEL IL VECCHIO
Parole chiave: Green, Psicoanalisi, Freud
Andre Green, tra Psicoanalisi e Letteratura. Di D.D’Alessandro, Huffpost 3/12/2024
André Green, tra psicoanalisi e letteratura
di Davide D’Alessandro
Alpes manda in libreria le undici conversazioni, con Dominique Eddé, di uno dei più importanti psicoanalisti degli ultimi decenni. Notevoli le sollecitazioni su Proust, Shakespeare, Conrad e Borges
La psicoanalisi sta bene quando non è sola, quando non si chiude, quando resta aperta agli incontri e alle contaminazioni. Sarà che mi ha sempre stimolato vederla a braccetto con la filosofia, pur tenendole rigorosamente distinte, ma l’incastro con la letteratura risulta naturale e persino più coinvolgente. Basta leggere, di André Green, “La lettera e la morte. Le parole nella giungla. Il viaggio di uno psicoanalista attraverso la Letteratura: Proust, Shakespeare, Conrad, Borges… Undici Interviste/Conversazioni con Dominique Eddé”, edito da Alpes, a cura di Valter Santilli, con la prefazione di Giovanni De Renzis, per restare sorpresi da tanta interiore bellezza, da tante illuminanti sollecitazioni, da tanti rimandi che alimentano e arricchiscono la cultura letteraria e psicoanalitica.
Scrive De Renzis: “Evidentemente, nelle fasi inziali della sua vita ancora limitata in un ristretto cenacolo di accoliti, peraltro considerati con un misto di sospetto e di sufficienza dalla cultura ‘benpensante’ del tempo, non poteva che essere la psicoanalisi a guardare, prima ancora che alla letteratura, al linguaggio che di essa è presupposto materiale e oggetto di investimento elaborativo al tempo stesso (quel linguaggio al quale rivolgerà qualche tempo dopo, in un ‘ritorno a Freud’ indubbiamente originale, un’attenzione approfondita e privilegiata Jacques Lacan). Non a caso, con una formula che giustamente divenne celebre, la cura psicoanalitica venne, proprio già nei suoi esordi, battezzata come ‘Talking cure’ da quella paziente che rimane consegnata alla storia con il nome di Anna O., nonostante se ne conosca ormai da tempo la sua reale identità anagrafica”.
Spetta a Dominique Eddé spiegare che “ho vissuto queste interviste come degli esercizi di navigazione attraverso itinerari a malapena pianificati e raramente osservati prima, delineandosi sul filo delle frasi orizzonti di pensiero simili agli orizzonti di nuovi paesaggi appena intravisti e subito sostituiti da altri ma tutti dotati di grandi linee invariabili. (…) È stato un movimento molto fluido e naturale dal momento che il romanzo, il teatro, la pittura e la musica hanno sempre nutrito il pensiero di Green, la sua esplorazione appassionata della vita psichica. A proposito di passione, è un vero peccato che nella lettura si perda la sua voce. André Green ha un modo tutto suo, molto particolare, di coinvolgersi in una idea e di partire all’attacco come se per lui fosse necessario, quale prova definitiva, che le sue scoperte e ciò che se ne ricava abbiano anche il valore di un bottino”.
Perciò, non a caso, ho scritto di arricchimento, poiché la forza di uno degli psicoanalisti più importanti degli ultimi decenni, è tale da trasmettere per intero nel lettore ciò che egli sente, ciò che lo ispira, ciò che lo muove. Si tratti di scrittura e vita psichica, di sublimazione e rifiuto della vita, di memoria freudiana e proustiana, del dàimon dei greci e di Amleto, il vertice raggiunto dalle sue riflessioni è scalabile soltanto in sua compagnia. E l’ultima conversazione, la bellezza e la morte, è anche uno splendido “ritorno a Lacan” con il riferimento a un brano del Seminario VIII sul Transfert, a quella relazione stringente evidenziata da Lacan della bellezza con la “cosa mortale.”
Dice Green: “Bisogna notare che Lacan esita all’interno di molte formulazioni, esse si succedono e gli vengono una di seguito all’altra senza che lui ricerchi una articolazione che le faccia tenere insieme come un concetto ben legato e concluso. Questo non vuol dire che l’una disconfermi l’altra ma che nella sua mente coesistono, Lacan aveva orrore delle cose enunciate troppo chiaramente. Non solo per ragioni di civetteria intellettuale o di desiderio di affascinare l’uditorio: in lui c’era una sorta di cultura dell’ambiguità delle proposizioni che, benché forti, avevano soprattutto il compito di lasciare uno spazio di lavoro a colui che le riceveva”.
Come lo spazio che ci ha lasciato Green con queste godibilissime e imperdibili conversazioni.