A Vienna c’è un sofà scomodo ma famoso QUI TOURING settembre 2014
Qui Touring settembre 2014
Si trova in Bergasse 19 ed è qui che Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, accoglieva I pazienti. La sua casa-studio è oggi un museo, ricco di libri e di reperti archeologici.
INTRODUZIONE : Giuseppe Scaraffia, traendo spunto dal libro di Lucilla Albano “Il divano di Freud”, ci accompagna nello studio viennese di Freud descrivendoci i suoi arredi e gli animali che lo popolavano: una gatta bianca, il chow-chow Jofi e la foto di Wolf, il cane di Anna. (Luisa Masina)
QUI TOURING settembre 2014
GIUSEPPE SCARAFFIA
UNA QUIETE CONCENTRATA SEMBRA DOMINARE LA STRADA di Vienna dove Sigmund Freud riceveva i suoi pazienti, in Berggasse 19. Rimase per 47 anni nello studio oggi trasformato in museo con le finestre affacciate su un piccolo giardino. Nell’austero ingresso, vicino all’attaccapanni che faceva pensare a un collegio, una porta blindata separava la parte privata dell’abitazione dallo studio. Solo in un secondo tempo l’appartamento di 11 stanze sarebbe stato lasciato alla numerosa famiglia e Freud si sarebbe trasferito al piano rialzato, collegato all’abitazione da una scala esterna. Nella sala d’attesa, sotto le grandi incisioni di Louis Boullogne, si riunivano ogni settimana I quattro elementi, i membri della Società psicoanalitica di Vienna. All’inizio, durante le sedute, Freud sedeva di fronte al sofà, per potersi guardare in viso col paziente. Quando però – fu lui stesso a raccontarlo – una di loro fece di tutto per sedurlo, l’analista preferì ritirarsi prudentemente al capo opposto del divano. Quell’antiquato sofà di crine che «ha sentito piu segreti del confessionale di qualunque sacerdote cattolico romano» era un po’ scomodo e il plaid a disposizione dei visitatori aveva una sciagurata tendenza a scivolare sul pavimento. Una serie di cuscini garantiva ai fruitori più formali una posizione quasi eretta. Lo riporta Lucilla Albano in un bel libro, Il divano di Freud (Il Saggiatore), che raccoglie le impressioni dei suoi pazienti piu celebri. Intorno al padre della psicoanalisi aleggiava sempre «un senso di pace sacra, di tranquillita». Entrando nei due studi comunicanti – la porta era sempre aperta – i visitatori restavano colpiti dalla notevole collezione di reperti archeologici greci, egizi e di varie altre provenienze, che col tempo erano saliti a circa duemila pezzi. In un angolo troneggiava un’antiquata stufa di porcellana. Nessun rumore saliva dal cortile su cui si affacciavano le finestre, dentro la rappresentanza della natura era affidata a qualche vaso di fiori. Ma la presenza piu imponente era quella dei quattro tappeti oriental in cui dominava il colore rosso. Uno, il più grande, era destinato ad attutire I passi, un altro al divano, un terzo alla parete dietro al divano. Tra i frequentatori meno noti, ma più discreti dello studio ci fu una gatta Bianca che, entrata dalla finestra, si accocolava sul celebre divano dei suoi pazienti, si faceva accarezzare e beveva la tazza di latte preparata dallo psicoanalista, prima di congedarsi. Freud ascoltava seduto su una snella poltrona di velluto rosso,alle spalle dell’antenato del lettino. A partire dal 1930, accucciata sotto la sua poltrona ci fu Jofi, una discreta chow-chow, che al momento esatto in cui scadeva l’orario della visita si sgranchiva e sbadigliava. A vegliare sul célèbre analista c’erano due affreschi mitologici in stile pompeiano. Sotto quelle immagini gravide di sensualità, la testa di un antico romano evocava il peso della legge nel mantenimento della civiltà. Una copia del bassorilievo della Gradiva, “quella che cammina”, eco di un celebre saggio del padrone di casa, era appesa vicino a una miniaturizzazione dell’Edipo e la Sfinge di Ingres. Ai normali visitatori era riservato lo studio tappezzato di libri e decorato di antichi reperti che presidiavano anche la piccolo scrivania. Lì Freud lavorava di mattina, tenendo sottomano una testa egizia usata come fermacarte e il portacenere, indispensabile a quel grande fumatore di sigari. Sulla libreria si stagliava una foto di Wolf, il cane della figlia prediletta, Anna. Ogni compleanno colei che avrebbe raccolto la sua eredità psicoanalitica scriveva per il padre una poesia, firmandola Wolf.