Paolo Boccara. (SPI- Società Psicoanalitica Italiana)
Ancora una volta un episodio tragico ha attivato, in molti commentatori nei mass media, una miriade di spiegazioni, ognuno dal proprio punto di osservazione e si fa a gara ad entrare nella mente di un pilota suicida, basandosi su limitate informazioni giornalistiche e sulle deduzioni dalla scatola nera. Credo che compito degli psicoanalisti in questi momenti sarebbe quello di cogliere nello sgomento di tante persone la loro sorpresa per qualcosa che noi chiamiamo “complessità del funzionamento della mente umana”, lasciando spiegazioni, interpretazioni, sentenze e proposte ad altri sedicenti esploratori. La mente umana è costituita da tante configurazioni potenziali del Sé, ognuna delle quali può trovare spazio nei nostri pensieri, decisioni e comportamenti quotidiani e che può entrare (soprattutto in situazioni di profonda solitudine) in una specie di “corto circuito”, facendo prevalere una configurazione su tutte le altre. Compito degli psicoanalisti sarebbe, a mio parere, segnalare che non si può interpretare nulla al di fuori di una relazione e che semmai bisognerebbe attivare incontri periodici sul ruolo terapeutico da dare ad esperienze di incontro individuale con analisti, non necessariamente coincidenti con trattamenti analitici strutturati. Incontri di “manutenzione della mente” che possano dare storia, significato e valore alle diverse configurazioni di cui la nostra mente è costituita e che, tanto più se traumatizzate, possono, in determinate circostanze da valutare assieme, diventare “strutture dissociate” dal resto.
Insomma perché continuiamo a cadere nelle stesse trappole di sempre? Ma siamo così sicuri di conoscere cosa può essere accaduto in quegli otto minuti senza sapere pressoché nulla di una persona? Forse la spiegazione sta nella fertile riflessione di Claudia Spadazzi, relativa alla mancanza di periodici controlli anche su di noi stessi, che ci porta a volte ad una certa autoreferenzialità!