Cultura e Società

L’uomo Gallo

17/05/11

 

In occasione del 33° anniversario della Legge 180 a Roma e
Milano viene presentato un interessante film basato su di una storia vera
diretto da Dario D’Ambrosi, l’ideatore del “Teatro Patologico”.
(Silvia Vessella)

Il film
viene recensito nella sezione Cinema.

 

L’UOMO GALLO

Venerdì 13 Maggio 2011 è il 33° Anniversario della Legge 180. Vengono
chiusi i manicomi e i pazienti vengono dimessi dagli ospedali psichiatrici e
catapultati nelle città. L’incredibile film di Dario D’Ambrosi racconta quanto
avveniva nei manicomi, prima della chiusura.

In occasione di tale Anniversario, il film L’Uomo Gallo viene proiettato
fino al 17 Maggio presso la sala Nuovo Olimpia a Roma, via in Lucina 16, con
quattro proiezioni giornaliere(16.30/18.30/20.30/22.30). In contemporanea il
film esce a Milano con una proiezione il 16 Maggio alle 22.00 presso il Cinema
Mexico.

LA STORIA

Verso gli inizi del novecento nasce vicino a Milano, un bambino
handicappato di nome Antonio. Crescendo non riesce ad assumere la posizione verticale.
E’ inoltre dotato di scarsa intelligenza, così per evitare problemi  i suoi genitori pensano di chiuderlo nel
pollaio insieme alle galline. Con il passare degli anni la cosa suscita
scandalo e il giovane viene rinchiuso in manicomio, dove muore a soli 19 anni.

Da questa incredibile storia D’Ambrosi ha tratto il film,
che prende avvio nel momento in cui lo sfortunato giovane viene accolto
nell’ospedale psichiatrico. Nella lunga e faticosa degenza  entra in contatto con quello strambo e
disperato universo fatto di personaggi buffi ed emarginati.  La versione
cinematografica sposta l’ambientazione sia a livello temporale che spaziale.
Siamo a Girifalco, in Calabria, paese celebre per l’imponente struttura
psichiatrica (uno dei più grandi manicomi italiani). Un luogo di contraddizioni
e di magia, che  permettono di arricchire il film nelle sue due componenti
fondamentali: denuncia e poesia. Antonio muore in solitudine, ma da uomo,
come il personaggio di Elephant Man, in una scena simile e altrettanto
commovente. Un uomo che muore nel suo letto dopo aver lottato e cercato il suo
sogno di normalità.

 

Riflessioni
di Daniela Scotto di Fasano

 

Un
nuovo film sulla vita in manicomio. Un nuovo film sul significato e sulle
conseguenze, oggi come un tempo, di non nascere “normali”. Un nuovo film sulla
salute mentale.

Il
cinema, insomma, conferma il proprio interesse per questo tema, fatto che non
stupisce dal momento che, essendo un potente mezzo di comunicazione di massa,
non può prescindere dal trattare e rappresentare le questioni più pregnanti e
significative per l’umanità: l’amore, l’odio, l’invidia, la vendetta, la salute
mentale.

Sono
molte le congruenze tra il mondo psichico e quello cinematografico, tra le
quali anche le interazioni concrete tra studiosi della mente e cinema: Georg
Pabst girò, nel 1926, il film I misteri di un’anima
(basato sulle teorie freudiane) con la consulenza dei due allievi di Freud,
Sachs e Abraham; alcuni psicoanalisti (Bolognini, Boccara e Riefolo della SPI e
Migone), sono stato ispiratori di Nanni Moretti per La stanza del figlio (2001), per non parlare di Woody Allen, Marco
Bellocchio, Carlo Verdone, che alla psicoanalisi si rifanno esplicitamente e
abbondantemente.

Dal
cinema, insomma, fin dal suo apparire, sono giunte messe in scena delle
questioni attinenti la psiche e, se la psicologia, la psichiatria e la
psicoanalisi non hanno mai smesso di studiare il cinema per comprenderne il
fascino, il cinema, dal canto suo, ha interrogato le discipline della mente sia
paradossandole e parodiandole sia dandone alcuni ritratti non solo pertinenti, ma,
in molti casi, anche molto commoventi.

Cinema
e scienze della psiche non hanno insomma mai smesso di incrociarsi e
intersecarsi, come mostrano i volumi
Freud a Hollywood
di Simona Argentieri e Alvise Sapori (Nuova ERI, 1988), La psicoanalisi e Hitchcock di Salvatore
Cesario (F.Angeli, 1996), Cinema e
psichiatria
, di Glen Gabbard e Krin Gabbard (Cortina, 2000), Il cineforum del dottor Freud di Ignazio
Senatore (Centro Scientifico Editore, 2004), e i lavori di Boccara e Riefolo
consultabili in rete e in SPIWEB, per non citarne che alcuni.

In
particolare ci interessa, nell’hic et nunc, fare riferimento al modo in cui il
cinema si è occupato della cura della malattia mentale.

Sovente,
il cinema tratteggia la psichiatria come complice di una cultura che vuole
sedare e/o nascondere il diverso, un po’ nell’ottica di Foucault  (Storia
della follia nell’età classica
, Rizzoli, 1972) e di Erving Goffman  (Asylums,
Einaudi, 1968), si pensi a film quali La
fossa dei serpenti
, del 1948, di Anatole Litvak,  Il
corridoio della paura
, del 1963, di Samuel Fuller,  Diario
di una schizofrenica
, del 1968, di Nelo Risi (con la consulenza dello
psicoanalista della SPI Franco Fornari), a Qualcuno
volò sul nido del cuculo
, del 1975, di Miloš Forman, La casa dei matti, del 2003, di Andrei Konchalovsky, La pecora nera, del 2010, di Ascanio
Celestini, sempre per non citarne che alcuni.

Oggi,
l’ultimo della serie su tale argomento è L’uomo
gallo
, del 2011, di Dario D’Ambrosi.

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