Cultura e Società

Spazio Stelle Voce

16/11/08

Mi incuriosisco e chiedo ad un’amica esperta di letteratura russa, Carla Muschio (che qui ringrazio), di leggermela nella lingua in cui è stata scritta e tradurla all’impronta. Ecco la prima sorpresa: l’atmosfera evocata ha profonde corrispondenze con la poetica di Luzi. La poesia parla di Giuseppe, venduto schiavo in Egitto e dei beduini che l’accompagnano col cuore colmo di angoscia. Sotto il cielo stellato, nel deserto, con gli occhi chiusi, essi “compongono liberamente storie antiche, che parlano di un fondo oscuramente vissuto”; coralità e atto creativo sono gli unici medicamenta. Allora ricordo le parole di Luzi (104): “Il punto di partenza di una poesia è quel qualcosa che viene dal fondo, è come il baricentro di un piccolo terremoto […] un’onda che porta in superficie delle cose –molto sedimentate, molto assimilate dalla sensibilità e dalla coscienza- che non si notavano più. Improvvisamente vengono in superficie e prendono senso e […] riorganizzano un poco tutto il pensiero e tutto il sentimento”.
 
Il punto di partenza dell’itinerario intellettuale e umano di Luzi è qui, e il suo percorso non va dal simbolismo criptico verso la chiarezza; va, piuttosto, dal simbolismo che muove dall’assunto che la poesia sia la sola voce dell’inesprimibile, verso la coralità di voci dei personaggi “scribi” che parlano dai testi teatrali composti negli ultimi anni. “Affondare nella moltitudine dei miei simili e riemergerne”, scrive il poeta (101). Dunque, se ci “limitassimo” a considerare Luzi come la voce più rappresentativa dell’ermetismo per le sue prime opere: La barca (1935) e Avvento notturno (1940), non coglieremmo appieno il senso della sua evoluzione, né il valore delle sue trasformazioni. Come spiega nella nota introduttiva, Fasoli (Premio C. Musatti 1999) invita Luzi a rispondere per iscritto alle sue domande. La proposta è subito accolta dal poeta, convinto che la forma scritta faciliti precisione e concisione. Fin qui, nulla di strano. Ciò che rende singolare l’intervista è, piuttosto, un’ intuizione del curatore: ad opera ultimata, egli non lascia le domande come le aveva formulate all’inizio, per esteso, ma le condensa in un semplice titolo (cfr. 7).
 
Le parole di Luzi, nitide, essenziali risaltano sulla pagina bianca patinata, illuminandola, come fossero flash. Questa forma realizza ciò che il titolo preannunciava: sottraendo quasi del tutto la propria, l’intervistatore offre tutto lo spazio alla lucida voce del poeta. (Da leggere, la risposta riguardante la Psicoanalisi, a pagina 63). Nel marzo 2004, a Firenze, nel suo attico pieno di quadri, libri, lettere, piante e scatole di cioccolatini, Luzi mi espresse l’apprezzamento per il nostro lavoro di psicoanalisti, a volte duro, che impone di cercarsi le parole nel cuore. Parlò di un invito che aveva ricevuto a Milano per una conferenza e sperai, in quell’occasione, di poterlo salutare di nuovo, ma non lo vidi più.

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