parole chiave: #psicoanalisi, #letteratura, #psicoanalisieletteratura
PSICOANALISI e LETTERATURA
Intervista a Doriano Fasoli
a cura di Daniela Federici
parole chiave: #psicoanalisi, #letteratura, #psicoanalisieletteratura
Nel parapiglia dei giorni a venire,
nella loro inesauribile diseguaglianza e inesattezza,
riusciremo a essere un fortino che ci metta al riparo
e lasciare che le lampade della curiosità
si accendano all’unisono?
Fasoli, Derive
Doriano Fasoli, Scrittore, critico, giornalista e sceneggiatore. Si occupa soprattutto di psicoanalisi e letteratura. Ha svolto attività didattica presso la scuola di formazione Lo Spazio Psicoanalitico di Roma. Ha collaborato con diversi quotidiani e riviste, trasmissioni radiofoniche e trasmissioni televisive (Cult Network; SAT2000). Ha scritto, tra l’altro, per l’Almanacco dei Libri de la Repubblica. Ha curato rassegne cinematografiche per conto dell’Assessorato alla Cultura di Roma (tra cui, nel 1981, una retrospettiva completa dell’opera di Marguerite Duras).
Nel 1999 gli è stato conferito dalla SPI il premio “Cesare Musatti”.
Tra le sue molte pubblicazioni: “Etica e psicoanalisi” (a cura di), “Scomposizioni”, “Dal libro al divano”, “Derive. Schegge di vita in versi e prosa”, “Finestre sulla memoria. Dissolvenze e sovrapposizioni”, tutti per le edizioni Alpes, in cui dirige le collane “I territori della psiche” e “Itinerari del sapere”.
Federici: La psicoanalisi deve molto al rapporto con l’intelligenza letteraria, così come quest’ultima è stata influenzata dal sapere analitico sulle dinamiche del profondo. Lei ha sempre rivolto particolare attenzione al rapporto fra le due, contribuendo con grande efficacia alla diffusione del pensiero psicoanalitico. Nel suo lavoro di scrittore e nella sua poetica quanto ha attinto a strutture simboliche di matrice psicoanalitica?
Fasoli: Ho la certezza, parola impegnativa, che non è l’autore che attinge a strutture simboliche messe a sua disposizione, ma sono i simboli, gli enigmatici e barocchi archetipi che, al contrario, ci attingono. Ecco, il ci è già erroneo pensarlo, perché cerca di solidificare dei soggetti che non sono. Chiariamo subito che il simbolo per essere espresso deve venire a patti con una lingua convenzionale con le sue differenti polisemie e pluralità di usi, liberando una lingua propria che attiene a un bacino universale, un bacino prebabelico. Con sicurezza esplicita, Freud stesso scrive: “Il linguaggio nella sua sapienza infallibile, ha da molto tempo risolto il problema dell’essenza dei sogni, indicando come ‘sogni ad occhi aperti’ anche le aeree creazioni della fantasia”. Qui Freud resta all’interno e vincolato a un termine secolare, dell’XI° secolo (Dante lo usa nella Commedia: Qui all’alta fantasia mancò possa), termine desueto per eccessivo utilizzo e non esplicativo. Oggi, con più ricca esattezza, recuperando la speculazione araba del XII° secolo e autori come Corbin e Zolla, i sogni e i sogni ad occhi aperti costituiscono la categoria dell’Immaginale, ovvero corpo risorto, vivo e non vivo, percettibile e non percettibile, immaginario e reale o realissimo e finto. Una sorta di spazio intermedio tra il Sopra e il Sotto, tra ciò che sorge non coltivato e ciò che da ciò si può tradurre, non sottovalutando l’ausilio millenario sciamanico accompagnato da sostanze psicotrope. Questo comporta di essere un po’ subacquei di profondità privi di ossigeno, nuotatori in correnti, prima inesplorate, come artisti, poeti e scrittori, che non possono aggiungere nulla a ciò che faticosamente, dolorosamente hanno pescato e descritto. Insomma, per convergere con Bateson, la Creatura infila la testa nel Pleroma.
Federici: Freud considerava poeti e scrittori alleati preziosi, spesso più avanti nella conoscenza del profondo, perché attingendo a fonti personali e invisibili, riescono a dare forma a ciò che lo studioso arriva a comprendere solo attraverso un lavoro faticoso. E suggeriva agli psicoanalisti di coltivare interessi umanistici per non trovarsi smarriti di fronte al narrarsi del paziente, perché il lavoro analitico è un dialogon, l’incontro di due testi che si intrecciano trasformandosi, estendendo lo psichico e il senso nella polisemia delle forme simboliche, in uno spazio intermedio che è comune all’opera creativa. Quali scrittori e quali psicoanalisti l’hanno ispirata di più?
Fasoli: Preciserei che lo scarto tra la psicoanalisi e la letteratura è definito dagli scopi. Per Freud l’analisi, fare analisi, è viaggiare attraverso enigmi e saggiare il terreno a tentoni, d’altra parte si tratta di disarmare le Sfingi e cercare di carpirne il segreto. Come ha osservato, con molto acume, Harold Bloom, per Freud i modelli delle immagini psichiche sono le difese, un sistema tropologico che maschera se stesso come insieme di operazioni dirette contro il cambiamento. Le immagini del sogno sono, al dunque, un conglomerato che, ai fini dell’indagine, deve essere di nuovo ridotto in frammenti. Una composizione artistica è il rovesciamento di questo processo. Per farla breve, dopo aver “pescato”, l’autore ci consegna, nei limiti del linguaggio o dell’immagine, veri e propri reperti archeologici, auspicando un livello di sensibilità atti a recepirli in tutta la loro potenziale ambiguità. Quanto agli scrittori o ai poeti che possono avermi influenzato non credo di poterle rispondere senza banalizzare. Sarei un’eco di Borges in cui il Libro è unico, mai primo mai ultimo. Autori, frequentati all’inverosimile, sono Flaubert, Kafka, Walser e un numero indeterminato di poeti dell’otto-novecento. Quanto agli psicanalisti oltre il capostipite, direi Lacan, Winnicott, Melanie Klein, Bion, Elvio Fachinelli, Pontalis, André Green, Salomon Resnik. Freud sono le fondamenta, Lacan una deambulazione in un edificio parlante eretto su quelle fondamenta. Mi verrebbe da contrapporre, per restare in argomento, la frase “Io, la Verità, parlo” a “Io, la Poesia, alludo”, compromettendomi con l’oracolo di Delfi.
Federici:Proust dice che ogni lettore legge se stesso, che un libro è uno strumento ottico che ci permette di comprendere quel che forse, senza di esso, non avremmo mai conosciuto di ciò che siamo. Scrivere, così come leggere una storia, è sempre l’occasione di un viaggio per farci carico dell’alterità di noi a noi stessi – come accade nei sogni – e della possibilità di farci trasformare da quell’incontro. Lei che di incontri è gran maestro di cerimonie, quanto da scrittore e poeta ha misurato la sorpresa dell’inconscio al lavoro, da inseguire per la curiosità di vedere fin dove va a finire?
Fasoli: Difficile, perché operazione interminabile, captare il lavoro dell’inconscio, che gioca la moneta dei sintomi fino all’inflazione. Ogni bizzarria dell’arte chiude, al contrario, ogni illazione sintomatica. Probabilmente è un tema che non può avere una conclusione, perché quasi per una necessità profonda, vera e propria Ananke, c’è una sospensione della povera comunicazione che diviene ombra del corpo della Poesia. Ciò mi porta alla convinzione della totale “inutilizzabilità” dell’arte e della poesia, in modo particolare. Cercare di scalfirla con le varie modalità della critica è, in ultima analisi, galleggiare sulla sociologia. Per quel che mi riguarda sono decisamente intollerante al banale, alle strade ordinate e rettilinee, insomma all’isteria dell’ovvietà. L’analisi tenta di sfidare ciò che crediamo reale, l’arte invece risponde sempre con una pressione eguale e opposta alla pressione del presupposto reale. Il lavoro di Freud sulla letteratura è troppo minato dal legame tra la biografia dell’autore e l’opera. L’opera, bisogna ben comprenderlo, non è mai l’autore. L’artista mente, anche senza sapere di mentire, l’opera mai. Il poeta, lo scrittore è sempre apodittico, nell’analisi non ce lo si può permettere.
Federici: La finzione letteraria può essere una via d’accesso alla consapevolezza o ciò che ci permette di fuggire la realtà, può fungere da filtro e visione riflessa per poter scrutare verità altrimenti intollerabili. Nella sua esperienza di lettore quanto considera che i buoni libri siano strumento elaborativo per il nostro mondo interno? E quanto lo è la scrittura?
Fasoli: Solo chi è in grado di apprezzare veramente il potere della lettura, riesce a far emergere in sé la capacità di mettere in moto il cervello. Di fatto, il leggere comporta un’attenzione continuata per una certa quantità di tempo. Soppesare ogni parola, ogni virgola, ed immagazzinare ciò che si ha davanti agli occhi. La perdita di un termine di una storia rovina l’insieme e fa perdere il filo. E quando si chiude il libro, si attua un processo di ragionamento, che spesso fa arrivare a conclusioni lontane da quelle a cui siamo abituati. Il lettore, in conclusione, studia anche senza corsi, e possiede anche senza ricordare.
Federici: L’imponderabile esperienza estetica che si offre all’identificazione, che favorisce il dispiegarsi dell’immaginario e permette il godimento di fantasie e di risonanze con aree più o meno profonde del Sé, si dispiega alleviata dalla censura in una mescola ottimale fra rivelazione e travestimenti di quanto si muove nell’altra scena dell’inconscio. Così l’Autore deve trovare un equilibrio fra una scrittura che attinga a una verità del profondo per riuscire a coinvolgere il lettore e allo stesso tempo contenere una presenza di misurata astensione di sé per poterne fare una storia di tutti. Per lei quanto è stata naturale e quanto complessa una scrittura che riuscisse a rendere le intenzioni?
Fasoli: Il poeta rinuncia continuamente al proprio essere presente, in cambio di qualcosa di più prezioso. La carriera di un artista è un continuo autosacrificio, una continua estinzione della personalità. Condivido totalmente queste parole di Thomas Stearns Eliot. È facile ripromettersi di prendere appunti, ma scrivere è un’arte difficilissima. Bisogna scegliere continuamente. Scrivere non è per niente un’arte facile. Si scrive con il midollo. Pensare ciò che si vuole scrivere sembra facile; ma il pensiero evapora, sfugge qua e là. Perché scrive certa gente? Perché non ha abbastanza carattere per non scrivere.
Federici: In Derive riprende Bergman che alla domanda: Cos’e un uomo? risponde: Ognuno di noi è la somma aggrovigliata, dei libri che ha letto, dei film importanti, della musica ascoltata e degli amori difficili e di quelli perduti. Ci può dire qualcosa di come accada e cosa significhi per lei il mettere per iscritto quell’intima solitudine?
Fasoli: La verità è quasi sempre intollerabile, ovunque la si conduca a esposizione, mettendo in atto un incessante rinvio verso la verità ultima. Il verso di Keats, a tal proposito “Verità è Bellezza e Bellezza è Verità”, è teso a produrre una numinosità che è celebrata nel connubio tra etica e estetica. È un orizzonte cripticamente evangelico, in un poeta tutto sommato neopagano. Ma il nostro mondo interno è solo un’attenzione particolare, sognata e dedicata dall’esterno. È ben difficile che un artista si preoccupi, per i lettori, di astenersi e reprimersi per far sì che il suo invisibile pubblico lo debba comprendere, come si comprende un messaggio propagandistico. Forse il trucco più inquinante è produrre un’opera come un aforisma, ovvero enunciare una mezza verità o una verità e mezza, mai una scultura che, come i Prigioni michelangioleschi, lasciano l’opera a liberarsi da sola attraverso il guardante. Penso, piuttosto, quanto all’atto sociale dell’opera, alla sua relazione con la cultura, che l’arte tenda a liberarci dal tempo. L’analisi, al contrario, fa del tempo un metronomo della verità. Nel confluire e condensarsi in scrittura l’arte non evidenzia la necessità di un lettore, ma come indica Brandi, l’artista è solo occupato dell’insorgere dell’immagine che è sempre precategoriale. La solitudine dell’artista è un retaggio romantico, in quanto la scrittura viene alla luce con un fitto colloquio con più personalità che si muovono “reali” in una persona. Tutto il resto appartiene a erronee domande, tipo: perché si scrive?; semplice e deviante: perché si vuole fare emergere un narcisismo da condividere. Ma questo appartiene al principio della diffusione della merce e ai suoi interessi finanziari. Darò all’editore tutto il mio passivo, ironizzava Carmelo Bene. L’arte è nemica della pedagogia, delle sorti magnifiche e progressive. Ora, come ha sottolineato Lavagetto, la psicoanalisi, da un lato gode di un indubbio vantaggio perché lavora con materiali che il tempo può avere ricoperto e occultato, ma non distrutto, dall’altro sconta un simile privilegio con la complicazione maggiore di quei materiali e con un bagaglio teorico, proprio perché teorico, meno adeguato. Le lacune impediscono di completare un disegno intelligibile. Forse il paragone è forzato ma la psicoanalisi resta, sul piano letterario, un’opera aperta, non per l’interpretazione ma per le sue intime carenze.
La solitudine nella scrittura diviene un ossimoro. Si è sempre in compagnia del mondo qualunque cosa sia. Piuttosto il nostro animo, in fondo, è quello che vogliamo che sia, non quel che è, se abbiamo appena un po’ di coraggio ad ammetterlo. Così vorrei porre un paradosso, quando insistiamo con una psicanalisi dell’arte. Infatti, mi torna alla mente una feconda considerazione di Wallace Stevens, uno dei massimi poeti americani del novecento. “Pensi a uno abituato alle patate che studia le mele pensando che se queste non contengono in qualche modo delle patate non sono mele.”
Federici: Quando le parole finiscono e riponiamo il libro su uno scaffale, il significato continua a lavorare in noi, con i suoi dubbi, i pensieri, le prospettive.
Citandola con la poesia Vola alta nella notte la parola –
Vola alta nella notte la parola
inabitabile come la tua bocca,
corteggia una falena la sua luna
e quando il desiderio prende a sussultare
nella stanza si riapre l’identica ferita,
la coscienza di passare e trasalire
nel rivederti ieri e nel pensare come
tra cadute e mancamenti sia smarrita
tutta la nostra fraterna confidenza
lungo l’inesorabile opacità dell’abitudine.
Cos’è per lei quella che Freud definiva la magia lenta delle parole?
Fasoli: Lentezza che rende trasparente le metafore in cui le parole si accasano, quindi portare alla luce la contiguità o non tra le parole e le cose. Un saggio trionfo del pensiero analogico disdegnoso della variabile impazzita del pensiero logico. Operazione questa dell’ascolto semantico dell’Altro e la capacità profonda di un esprit de finesse.
Federici: In questo nostro tempo in cui languono le capacità simboliche e la nebulizzazione del senso del limite rende sempre più difficile avere a che fare con le angosce e con le perdite, coltivare dubbi e un senso di responsabilità, la parola che dà forma al non detto dentro ognuno di noi (e che quando manca lascia preda di un agire acefalo) non è solo contenuto, è anche atto sociale e relazione, cura e cultura.
Nel suo libro Etica e Morale ha ripreso una citazione di Borges: credo che la cultura non s’intenda senza l’etica. Quale pensa dovrebbe essere la morale della cultura oggi?
Fasoli: Responsabilità del pensiero, coscienza critica, attenzione. Recuperare la passione e la responsabilità del pensiero nei confronti del presente per ridare parola alle contraddizioni che lo lacerano e ritrovare il valore della “persona”. Voglio ricordare infine le parole di Simone Weil: «Ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po’ di male in se stessi. Un quarto d’ora di attenzione così orientata ha lo stesso valore di molte opere buone».
Federici: Nelle Lezioni americane Calvino richiamava il pericolo di perdere la funzione fondamentale dell’immaginazione, che la capacità di evocare immagini in assenza si atrofizzi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate. Invocava una pedagogia dell’immaginazione, per apprendere a elaborare le proprie visioni interiori, senza lasciarle soffocare sotto questa realtà aumentata in fruizione passiva né ammorbarle in un confuso fantasticare, perché quelle epifanie cariche di significati che spesso fondano l’immaginazione letteraria, animino una scrittura creativa che dia ordine e intenzione a quelle invenzioni. Immaginare ci serve a costruire le rappresentazioni con cui conosciamo noi stessi, gli altri, la realtà che ci circonda, con cui colmiamo i vuoti del pensiero razionale e pensiamo l’invisibile.
Pensa che la rivoluzione dei media, insieme alle enormi possibilità che ci ha aperto, destini al cambiamento i libri e gli spazi della lettura che nutrono l’immaginario e la funzione narrativa che fonda l’umano?
Fasoli: Mi sembra verosimile che i media rendano il lettore passivo e integrato in un sistema chiuso in se stesso. Il libro resta, per il lettore, lo strumento molto più adeguato ai flussi di coscienza e di libertà nel rapporto con l’opera. Ma questo è il fondamento stesso del pensiero sulla tecnica come compimento del nichilismo. Pensiero radicale.