Psicoanalisi audacemente bastarda
Curiosità, coraggio, umiltà
Caratteristiche da portare nel bagaglio di viaggio di qualsiasi viaggio
di Carla Rufina Zennaro
(Alpes, 2020)
Recensione a cura di Andrea Braun e Carla Rigoni
Il libro è uscito nella primavera del 2020 durante la prima ondata della pandemia e come tutte le pubblicazioni di questo periodo risente della difficoltà di accompagnare la pubblicazione con le presentazioni “dal vivo” che consentono di discutere direttamente con l’autore. A Spiweb va il merito di averlo inserito tra i “freschi di stampa” e noi desideriamo soffermarci brevemente sui contenuti del testo e sull’autrice.
Carla Rufina Zennaro è membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e cofondatrice del Centro Veneto di Psicoanalisi, del quale è stata anche presidente. Attraverso la scelta del titolo ha inteso sottolineare la sua formazione eclettica: freudiana e fenomenologica. Negli anni sessanta, infatti, Zennaro si è specializzata a Zurigo e ha lavorato a Kreuzlingen nella clinica della famiglia Binswanger, esperienze umane e professionali ampiamente presenti nel testo.
Non stiamo considerando un testo monotematico. Si tratta di un libro in cui l’autrice, una volta ritiratasi dall’attività professionale ha voluto riprendere, rielaborare e riunire pubblicazioni, conferenze e commemorazioni scritte in periodi differenti della sua vita.
Nell’autopresentazione che apre il volume, Zennaro ci invita a viaggiare insieme a lei, non solo per esplorare nuovi territori psicoanalitici ma anche come accade quando si scoprono paesi e lingue sconosciute per arricchirci di nuove visioni e apporti. Per l’autrice “viaggiare è elasticità mentale, è la disponibilità di cambiare ogni giorno giudizi, pregiudizi e opinioni” (17).
Non deve sorprenderci quando alla fine del suo percorso Zennaro si riconosce nell’affermazione dell’amato Novalis: Dove siamo diretti? Sempre a casa…
Come il filosofo e poeta tedesco anche lei ritiene che la maturità analitica comporti un ritorno alle prime esperienze professionali e l’approfondimento di posizioni originarie.
Impossibile riassumere l’opera di una vita intera, ma ci piace suggerire due filoni intorno ai quali si snoda il volume.
Il primo rimanda all’inizio della carriera professionale in Svizzera, al Sanatorium Bellevue, dove viene affidata a Zennaro la responsabilità di una piccola comunità terapeutica autogestita, che comporta la stretta convivenza con pazienti prevalentemente psicotici, di nazionalità e di lingue diverse.
Sempre a Zurigo comincia ad approfondire gli studi all’Istituto per la psicoterapia medica, dove correnti terapeutiche differenti rivaleggiano e suscitano discussioni controverse.
Questa frequentazione risente dei contrasti tra impostazioni differenti: psicoanalitica, fenomenologica e heideggeriana e prepara il terreno del suo orientamento ecclettico permettendole di arrivare a una ricomposizione interna delle diatribe fino a riconoscersi in una: “Psicoanalisi audacemente bastarda”. Una costante del suo percorso teorico e clinico resta l’interesse per le patologie gravi, che nel libro si manifesta nei lavori dedicati a difficoltà di mentalizzazione, a forme di nostalgia paralizzanti e alla depressione. Quest’ultimo argomento, approfondito nel corso degli anni, contiene numerosi riferimenti alla clinica e testimonia il percorso terapeutico che ha coinvolto Zennaro nella cura di pazienti che nell’infanzia avevano subìto la perdita di un genitore.
Il secondo filone si struttura in relazione alla responsabilità legata all’acquisizione delle funzioni di training e all’impegno istituzionale. Rientrano in esso i lavori dedicati alla supervisione, al primo incontro col paziente e agli errori che il terapeuta può commettere, errori rimediabili e non. Per molti anni nella formazione dei candidati Zennaro si è occupata del primo incontro tra paziente e analista e nel capitolo dedicato a questa materia prende spunto nella sua descrizione da un paziente di Kreuzlingen. Nell’intervallo tra il primo e il secondo colloquio il paziente fa un disegno inquietante che rappresenta due figure umane in cammino sul filo di lana o una falce. Si tratta di un equilibrio precario e instabile, è un’immagine che la colpisce e la mette all’erta. Spesso – scrive l’autrice – l’inizio condiziona pesantemente il cammino che la coppia terapeutica percorrerà insieme. Zennaro pur considerando attentamente l’indicazione all’analisi in relazione alla struttura e alle difese del paziente, sottolinea l’importanza di valutare i vissuti dell’analista al momento della presa in carico. Siamo capaci come terapeuti di rinunciare “alla illusione di essere vissuti dai nostri pazienti come onnipotenti, onniscienti e benefattori?” (177). Occorre pervenire ad una visione realistica della nostra struttura e dei limiti che il setting impone nel formulare un’indicazione per un trattamento così impegnativo, sapendo rinunciare all’idealizzazione dello strumento e della persona. Notazioni queste che inducono a domandarsi se, e in che modo, sia veramente prevedibile ciò che aspetta la coppia analista-paziente fino a richiamare alla memoria del lettore lo scetticismo di Freud (1932, 260. O.S.F. 11) a proposito della capacità di indovinare, allorché egli ebbe ad affermare come nonostante tutte le cautele iniziali “Non possiamo giudicare il paziente che viene a farsi curare – o allo stesso modo -, il candidato che viene per perfezionarsi – prima di averlo studiato analiticamente per settimane o mesi. Noi comperiamo effettivamente la gatta nel sacco”.
Nel capitolo “Errarre humanum est ” si trova l’ultima relazione plenaria che l’autrice ha tenuto agli allievi della sezione veneto-emiliano; essa rappresenta insieme il commiato dalle funzioni di training e il lascito ai giovani colleghi. Zennaro li invita a fare tesoro degli inevitabili errori e di imparare a farne (buon) uso. L’attenzione alle pubblicazioni psicoanalitiche in lingua tedesca, presente in tutta l’opera di Zennaro e ben documentata dalle recensioni delle due maggiori riviste tedesche (Jahrbuch der Psychoanalyse e Zeitschrift für psychoanalytische Theorie und Praxis) sulla nostra Rivista di Psicoanalisi, la induce a segnalare che in quest’area si trovano i testi più significativi sull’argomento tanto da costituire una vera e propria “cultura dell’errore”. Zennaro esplora l’asimmetria nella coppia analitica e ne fa derivare una grande responsabilità per l’analista. Ogni trattamento oscilla tra riuscita e fallimento o, come afferma Hinshelwood (cit. da Zennaro, 276) “non abbiamo un modello ideale col quale falliamo ogni tanto, ma un modello che ha il fallimento nel suo nucleo”. All’autrice interessa dunque riflettere sul contributo del terapeuta al progresso o al fallimento della cura. Ella distingue tra errori produttivi e dannosi, tra errori e trasgressioni (sempre distruttive) e ancora tra fallimenti, danni e effetti collaterali.
Interessante – anche affettivamente – per i colleghi il capitolo dedicato alle origini e alla storia del Centro Veneto di Psicoanalisi, tappa significativa nella storia della psicoanalisi in Veneto.
E ritorniamo infine al capitolo dell’autopresentazione di cui riportiamo un breve stralcio, sono parole che ci portano uno spaccato infantile che credo chiunque conosca l’autrice ha modo di ritrovare: “ la mia curiosità aumentava: dovevo scoprire altri luoghi, a cominciare dai più vicini. Così cominciai ad esplorare le proprietà confinanti con la nostra. Salutavo mia madre avvisandola che andavo a fare una passeggiata in campagna con i cani e partivo alla scoperta… Dalle mie scorribande sempre tornavo a casa con una nuova, umile piantina ricevuta in regalo o da me raccolta cammin facendo …. Ero di natura stanziale, ma al contempo vagabonda. Una ragazzina selvatica, selvaggia, libera, intraprendente, curiosa, capace di osservare, di ascoltare e perlustrare.”
Buona lettura e buon viaggio!