Essa diviene quindi una sorta di turning point, qualcosa che può annientare oppure può mettere in moto un processo di elaborazione e di cambiamento. Può essere dunque “creativa”, quando rappresenta un primo nucleo di capacità di percepire la discrepanza tra l’apparire e l’essere; al contrario è “tossica”, annientante quando il conflitto tra l’apparire e l’essere, negato e non riconosciuto, ha creato un vuoto interno ormai incolmabile. Tutto ciò viene trattato anche nei suoi risvolti transferali e controtransferali più strettamente connessi al processo analitico.
Freud, secondo Kilborne, ha lasciato la vergogna fuori dalla sua costruzione teorica e dalla sua trattazione del complesso edipico, anche se ne L’interpretazione dei sogni sono molteplici gli esempi che possono essere visti come reazioni di vergogna, umiliazione, sconfitta, isolamento. Ciò che l’autore chiama “vergogna edipica” è la vergogna di Edipo, il quale non può sopportare ciò che vede ed è costretto a confrontarsi con la sua cecità verso se stesso, che gli ha impedito di riconoscersi nell’uomo abbandonato nell’infanzia, con i piedi trafitti, minacciato di morte dai suoi stessi genitori.
C’è una relazione essenziale tra vergogna, trauma e lutto: la vergogna del trauma può divenire tossica, corrosiva delle relazioni oggettuali, fino all’attacco al legame, di cui parla Bion, e a ciò che Kierkegaard descrive come la malattia mortale dell’esistenza; all’opposto, il trauma se trova una risposta adeguata, può rendere tollerabile una vergogna senza speranza, farne una forza creativa nelle relazioni oggettuali e nelle dinamiche interne. La vergogna creativa porta alla tenerezza e alla tolleranza; quella tossica alla crudeltà e all’isolamento.
Tutto questo è arricchito da esemplificazioni cliniche e dall’analisi di opere famose di grandi scrittori, come Pirandello, Swift, Carroll, Hawthorne, Milton, Kierkegaard, Kafka, Gogol, il regista Renoir.