Ellade Bandini, Pierluigi Politi, Carlo Sini
Fotografie di Enrico Pozzato (2015)
Orchestra invisibile
Ed. Jaca Book
Un fotografo su Marte
“Un antropologo su Marte” è l’espressione, resa celebre dal neurologo e scrittore Oliver Sacks, con cui Temple Grandin, la persona con autismo ad alto funzionamento forse più famosa al mondo, ha definito la propria condizione di spaesamento in contesti interattivi per lei misteriosi e pressoché incomprensibili. Anche chi incontra i mondi autistici può provare una sensazione analoga. Eppure chi ha avuto la pazienza di frequentare a lungo e senza pregiudizi le persone con autismo sa bene come in esse alberghino tutti gli ingredienti dell’umano, sia pure in proporzioni e combinazioni spesso singolari e inaspettate.
Questo libro è un viaggio fotografico, un reportage che testimonia tutto ciò, ossia la matrice di debolezza da cui l’autismo scaturisce e insieme la pienezza di senso che questi mondi possono raggiungere. L’autore delle fotografie è Enrico Pozzato, medico, che partecipa all’esperienza dell’Orchestra Invisibile. La maggior parte delle persone che vedrete in queste pagine non comunica con il linguaggio delle parole. Noi abbiamo scelto di usare le parole con parsimonia, di ridurre al minimo la parte scritta per far parlare le immagini. Ognuno di noi, del resto, non solo le persone con autismo, “pensa per immagini”.
Un libro di fotografie, anzitutto; il reportage di una realtà piuttosto straordinaria, quella dell’Orchestra Invisibile, una big band composta da persone autistiche e non, che da oltre dieci anni suonano insieme a Cascina Rossago, la fattoria sociale nell’Oltrepo Pavese in cui vivono, lavorano e riescono a esprimere la loro particolare umanità 24 persone adulte con autismo. Accompagnano le fotografie alcuni testi brevi. Quelli dello psichiatra Pierluigi Politi, che da anni è l’anima dell’orchestra. Il racconto di Ellade Bandini, noto batterista della scena pop-jazz, … se un pomeriggio d’inverno un batterista… il suo incontro casuale con Cascina, la diffidenza iniziale, l’imbarazzo, il piacere e poi la sensazione, quasi perturbante, che quella strana band un po’ scalcagnata potesse consentire una re-immersione in qualcosa di potente e originario, in presa diretta con il senso più profondo dell’esperienza musicale, della sua forza costitutiva nell’umano e dell’umano. Infine, lo scritto del filosofo Carlo Sini, più corposo, ma che non segna alcuno scarto rispetto alle immagini, anzi è in continuità, verrebbe da dire in consonanza con esse, con il contesto complessivo di cui fanno parte e con le storie che raccontano. Ricolloca le immagini stesse nel logos che ci accomuna, facendole risultare a un tempo più nitide e più prospettiche e mostrando come testimonino di aspetti essenziali del vivere, di matrici di senso condivise. A dimostrazione che anche la parola filosofica, talvolta, riesce a restituirci, illuminata, la traccia di quel mondo che fu vivo e fu vero (Giorgio Caproni), invece che smarrirla.
Lo psichiatra, il batterista, il filosofo; strana banda anch’essa. Cosa hanno in comune fra loro? Due cose, almeno. La prima: l’amore per la musica, che tutti e tre praticano da sempre, sia pure in modi diversi, con competenza e passione. La seconda: una spontanea (o comunque ben coltivata) attitudine a sospendere ogni pregiudizio di fronte ai mondi autistici, ogni lente preordinata attraverso la quale impacchettare, etichettare o spiegare un contatto potenzialmente inquietante. Si potrebbe dire che ciò che hanno in comune è un’inusuale capacità di fenomenologica epoché, di abbandono recettivo alla cosa stessa e ai modi in cui con animo sgombro essa può essere incontrata, al di là e prima di ogni ipotesi scientifica formulata per spiegarne cause, meccanismi, funzionamenti.
Non saprei quanto le due cose vadano insieme; quanto sensibilità musicale e familiarità con la musica possano facilitare la capacità di “consonanza intenzionale”, per usare un termine della moderna neurofisiologia dell’empatia, la disposizione recettiva, non pre-occupata da troppi schemi dello sguardo, dell’ascolto, dell’incontro. Riterrei di sì, ma qui davvero ci inoltreremmo in questioni complicate che sono tuttavia sullo sfondo della nostra narrazione. Certo è che la sensibilità musicale ha consentito loro di intendere l’importanza dell’esperienza che qui viene rappresentata. Qualche anno fa, in un libro importante per capire l’autismo, Francesco Barale e Stefania Ucelli, fra i fondatori di Cascina Rossago, hanno scritto:
Se i contesti sono adatti, l’incontro con l’esperienza autistica può riservare molte sorprese. Anche nei casi più gravi l’autismo mostra a chi lo incontra con rispetto, assieme alle sue disabilità, possibilità e risorse imprevedibili. I molti modi attraverso cui, magari a tratti, le persone autistiche districano dalle maglie della loro profonda disabilità aspetti straordinari di umanità, talvolta competenze inaspettate, affetti e delicati movimenti relazionali, è una continua sorpresa. Non per nulla lo strano impasto di vulnerabilità, luce, candore e disabilità che caratterizza l’autismo ha affascinato per secoli; esso ha anche un versante affettivo, non meno importante di quello cognitivo, sul quale si è a lungo indagato e che continua a meravigliarci e a porci interrogativi radicali. Meraviglia a cui possiamo abbandonarci, interrogativi che possiamo intendere a patto di riuscire a nostra volta a mettere tra parentesi, a sospendere, o almeno ad attenuare, il rumore della relazionalità normale. E anche quello dei modelli scientifici” (F. Barale, S. Ucelli, Ladebolezza piena, in Autismo.
L’umanità nascosta, (Einaudi 2006). Più di 50 anni fa, Donald Winnicott scrisse qualcosa di simile, col suo linguaggio paradossale, quando auspicò una generazione di medici rigorosi, competenti e scientifici, ma anche capaci, nella relazione con le persone che intendono curare, di “andare talvolta un po’ in vacanza dalla scienza”; capacità che peraltro consente di essere, in genere, anche scienziati migliori, oltre che medici migliori. Non che ipotesi o modelli scientifici diminuiscano, con ciò, la propria rilevanza. Neppure per sogno, ovviamente. Anzi, modelli e ipotesi scientifici adempiono ancor meglio al proprio scopo, se nel frattempo non hanno ridotto troppo rapidamente le forme dell’umano a semplici sintomi di assetti neurocognitivi disfunzionanti. Così, anche l’orchestra invisibile difficilmente può essere vista come un’attività di musicoterapia. Anzi, è capitato che alcuni musicoterapeuti in visita a Cascina siano rimasti un po’ sconcertati dall’irregolarità del setting e delle procedure. O meglio: forse lo è anche, musico-terapia, nel senso che i suoi benefici, per le persone che vi partecipano (non solo quelle autistiche), sono evidenti; e per le persone autistiche, sono anche stati misurati scientificamente. Ma lo è, appunto, in modo indiretto, nelle sue conseguenze non cercate, per così dire. Essa è anzitutto fare assieme musica traendo piacere, divertendosi ed emozionandosi. Come speriamo capiti un po’ anche al lettore.
Vera Minazzi
Maggio 2015