La lettura del libro è anche davvero un buon modo per conoscere, magari non potendolo visitare di persona, questo piccolo regno himalayano e la lettura del libro è piacevole e interessante in sé. Ma l’aspetto per cui ne consiglio la lettura a un pubblico di analisti è l’insieme di considerazioni che l’autrice fa sui piccoli e lenti cambiamenti che registra in se stessa, molto ben descritti, e che a me ha fatto pensare a quel che succede anche a una persona in analisi, la cui visione delle cose va, poco a poco, modificandosi. Una sua riflessione poi mi sembra abbia molto a che fare con un problema che abbiamo quando cerchiamo di costruire una situazione, insieme al paziente, che gli renda davvero utilizzabile l’esperienza che sta facendo con noi: “….scrivo della differenza che passa fra arrivo e accesso.
L’arrivo è un fatto concreto e accade tutto insieme. Il treno entra in stazione, l’aereo tocca terra, esci dal taxi con tutti i bagagli. Puoi arrivare in un posto senza entrarci mai veramente: ci sei, ti guardi intorno, scatti un po’ di foto, prendi qualche appunto, spedisci cartoline a casa. Quando viaggi così, pensi di sapere dove ti trovi, ma in realtà non hai mai lasciato casa tua. Accedere richiede più tempo. Vai avanti lentamente, a pezzi e bocconi. Cominci a disperare: arriverò mai dall’altra parte? È come un lento risveglio, che dura settimane. E poi una mattina apri gli occhi e finalmente ci sei, sei davvero e incontestabilmente qui. E solo allora cominci a renderti conto di dove sei”. Interessante è anche che il Bhutan, inizialmente idealizzato, lasci alla fine il posto a un Bhutan con luci e ombre, più reale, proprio come “dovrebbe” accadere alla fine di un’analisi ben riuscita.
Cultura e Società
Oltre il cielo, oltre la terra
16/11/08