Note di geometria elementare di Giovanni Nolfe (Editoriale Scientifica, 2021) I versi di Giovanni Nolfe sono un viaggio lungo e fulmineo nel tempo di tutti e di ciascuno.Una psicoanalista e un giornalista le commentano. Ne nasce un dialogo che aiuta a, disegnare con le parole, far crescere alberi nel petto e farli tornare nell’ “umida terra”.
Note di geometria elementare
di Giovanni Nolfe (Editoriale Scientifica, 2021)
recensioni a cura di Roberta Guarnieri e Gualtiero Peirce
Disegnare con le parole, far crescere alberi nel petto e farli tornare nell’ “umida terra”.
Lettrice profana e libera, come mi sento, di commentare questo libro di poesie di Giovanni Nolfe, Note di geometria elementare, mi avventuro in questo esercizio di scrittura che è, appunto, il commento.
Chissà se le ‘geometrie’ che danno il titolo a questa raccolta, sono state quella trama di linee, di verticalità che poi si spezzano, di forme umane di un corpo preso nelle sue diverse parti, che hanno condotto questa scrittura poetica a poter trattare parole difficili perché fondamentali: amore e poi tempo e ancora ‘tu’, ma anche destino e ricordo?
I numeri, delle poesie, venti in tutto, si susseguono, tranquilli, inesorabili: ma la numero nove e la diciassette, improvvisamente, fanno entrare in scena due figure; Orfeo e Persefone, che ci accompagnano nel mondo di là, da cui origina il “viaggio di ritorno”, possibile perché c’è “il fiore che fiorisce due volte”.
Ma se la vita è questo viaggio di ritorno, allora può esserci lo stupore, il mio di lettrice, quando vedo, nella geometria delle immagini, comparire alberi e denti e clavicole, ma anche rose, narcisi e fresie?
“Ho un piccolo albero piantato nel mio petto/Cresciuto/Nella poca terra del torace/Tra i due polmoni.” (da Poesia numero otto). Il corpo, le sue parti, gli organi interni, le loro simmetrie, si animano di un’altra vita che produce accoppiamenti inusitati, che fa nascere alberi, alberi che poi si accasciano: “mi spezzerei di schianto/e tornerei nell’umida terra/guardando fisso una porzione d’azzurro”. (da Poesia numero sei). Non l’azzurro, ma una “porzione d’azzurro”: anche qui sono ritagli, e perciò disegni, che le geometrie creano e ricreano, per permettere forse di tollerare l’eccesso, per poter vivere, “avvolti dallo squilibrio dell’unità” (da Poesia numero sette).
Un’unità che, se esiste da qualche parte, a noi umani compare sotto le sembianze di frammenti, di parti, di organi corporei simmetricamente concepiti, denti, clavicole, lo sterno.E così anche l’angoscia si può dire, “una periferia di labbra livide” (da Poesia numero undici).
Ma accanto a questa e certamente più forte di questa, un pensiero d’amore che non teme di mostrarsi così, nudo, sicuro che le “geometrie” lo possano ritagliare in mezzo a “Quei minuscoli caotici frammenti” (idem).
Accompagna le poesie di Giovanni Nolfe una traduzione in siciliano: troppo lontana per poterla godere, l’ho sentita come una sorta di ombra, un gioco di duplicazione estraniante che mi ha seguita silenziosamente.
Roberta Guarnieri
C’è un tempo per ogni cosa, ci ha insegnato l’Ecclesiaste. Giovanni Nolfe lo sa. E nel magnifico gioco delle sue poesie, passato, presente e futuro diventano personaggi che hanno trovato l’autore. In questa raccolta intitolata con consapevole disciplina (metrica?) “Note di geometria elementare”, lo scorrere dei versi risuona come una accogliente partitura. Ogni poesia ha (e perché non dovrebbe?) un numero nel titolo. Ma non la prima, che è “Poesia introduttiva”, una ouverture che subito commemora il passato, quello “della vecchia giornata” e diagnostica che “qui e adesso è un fossile”.
Ma poi arriva Poesia numero 1. E si parte dalla prossimità remota di sapori e di amori, arrivati prima ancora di noi stessi. Finché (presto) si affaccia il presente, un presente con mille radici: “Ho un piccolo albero piantato nel mio petto”. Mentre la sbieca concorrenza di un insinuante condizionale ha il compito di far sussultare i versi con le scosse telluriche del dubbio, di ciò che avrebbe potuto essere e di ciò che potrebbe essere se (appunto) ci sarà un tempo per ogni cosa. Ma nelle poesie di Giovanni Nolfe niente può interrompere la reciprocità di un cammino speculare. E infatti il futuro arriva. Nel momento più promettente: alla fine del libro, nelle ultime poesie sostenute dal muscoloso tormento della speranza.
Che prima ci allarma: “Non basteranno le ore, /non basterebbe ciò che resta. /Non basta la vita. Non può bastare. /Voglio due vite, due vite almeno!”
E poi indica il varco: “In quale lato della vita/ Dimmi/ Ci metteremo in salvo? / Ascolta / Senti la fresia/ Senza la quiete della casa? / È la mia ultima anima / Che bussa alla tua porta.”
I versi di Giovanni Nolfe sono un viaggio lungo e fulmineo nel tempo di tutti e di ciascuno. Uno di quei viaggi che poi hai voglia di raccontare. Ma questi versi sanno anche suggerirci che possiamo essere tutti universali: il testo a fronte tradotto in siciliano (o viceversa?) mi ha fatto ulteriormente sorridere di piacere per questa lettura, pensando alle incontenibili cascate di parole di ogni lingua, che allagano il nostro tempo video narrato e inesorabilmente sottotitolato.
Gualtiero Peirce