Cultura e Società

“Non so mai dove sei” di E. Masina. Recensione di B. Giorgi e F. Mancia

21/11/24
"Non so mai dove sei" di E. Masina. Recensione di B. Giorgi e F. Mancia

Non sai mai dove sei

di Emilio Masina (EllediLibro, 2024)

Recensione di Barbara Giorgi e Francesca Mancia

Mi spiegarono la differenza
tra uomo e donna – le caratteristiche
elementari del maschio
e della femmina. Non mi rivelarono però
a quel tempo cosa
si trovasse nel mezzo, nell’incrocio
inprevisto tra i due sessi.
Crebbi con una dicotomia nelle ossa
nel perenne adattamento all’una
o all’altra identità.
Solo dieci anni dopo compresi
che esattamente nel mezzo
– indefinita, sfumata, disofica –
c’ero proprio io.

Giovanna Cristina Vivinetto

Stefano, un giovane analista ancora in formazione, viene raggiunto da una telefonata mentre è intento ad annaffiare le piante del suo studio. E’ la sua professoressa, nonché sua supervisora.

Mi hanno contattato per un bambino di otto anni che si traveste da femmina (…) E’ un caso interessante, ma io sono piena di lavoro e non posso seguirlo. Lei avrebbe uno spazio? Poi, se vuole, potremo discuterlo insieme.”

Comincia così questo secondo romanzo di Emilio Masina, un libro che si legge con piacere, quasi surfando sulle onde di un mare psichico e di un incontro che cimenta lo scrittore ed il lettore sul tema della scelta di genere, ma, anche, della scelta di vita, con i suoi mille risvolti relazionali.

Un incessante intreccio tra il lavoro dello psicoanalista, i suoi affetti passati e presenti, un bambino di otto anni e la sua famiglia, l’ambiente, la cultura dei nostri giorni.

Ogden scrive che il paziente ha a disposizione infinti modi di iniziare il discorso analitico, Alberto, il piccolo paziente, sceglie di incontrare Stefano portandogli due disegni. Un disegno raffigura Cleopatra, l’altro Maria Antonietta, due regine meravigliose, morte entrambe in modo cruento, una suicida, l’altra con la testa sgozzata dai rivoluzionari.

L’incontro tra Stefano e Alberto segna l’inizio di un sistema di matriosche sceniche in cui possono essere rappresentate vicende contenute di fatto nella storia di chi è, forse ancora difensivamente, alla ricerca di una soluzione narcisistica al patire riconoscimenti e rifiuti.

“Mi parve che cercasse di aggangiarmi a lui, come una calamita attira un oggetto ferroso, per potermi riversare dentro le proprie preoccupazioni. Capìì solo in seguito che in quello sguardo muto erano condensate tutte le domande che Alberto mi avrebbe  fatto nel corso della nostra lunga terapia.”

Esiste una forma particolare di significatività nell’incontro analitico, qualche cosa che appartiene unicamente a questa situazione. Dentro a questa significatività si intreccia la terapia di Alberto con la vita quotidiana di Stefano.

Il ritmo del racconto sostiene la narrazione tra riflessioni interiori, descrizioni di episodi significativi ed eventi trasformativi. A volte la narrazione riesce ad esplorare il mondo interno del narratore, a volte il personaggio sembra confondersi nell’intreccio degli eventi romanzati.

In fondo, il lavoro dello psicoanalista non è che questo, vivere in equilibrio nell’intreccio tra vita personale e vita professionale, districarsi tra le complesse vicende dell’inconscio con la consapevolezza che, comunque, è un terreno che resta di fatto inconoscibile.

Emerge così la descrizione di una vita normale, di un uomo normale, che, forse, si vorrebbe un po’ straordinario.

Il testo di Masina ha il notevole pregio di far riflettere sul desiderio di essere visti e stimati,  un anelito per ciascun essere umano. Emerge infatti, qua e là, nelle pennellate che delineano i vari personaggi quasi un filo rosso consistente in un tono autocelebrativo che paradossalmente finisce per  svelare le fragilità molto normali di ciascuno.

Fa tornare, associativamente, alle parole del filosofo rumeno Emil Cioran:

“Se ognuno di noi confessasse il suo desiderio più segreto, quello che ispira tutti i suoi progetti e tutte le sue azioni, direbbe: “Voglio essere elogiato”. […] Nessuno è sicuro di ciò che è, né di ciò che fa. Per quanto convinti dei nostri meriti, siamo rosi dall’inquietudine e, per vincerla, non chiediamo che di essere ingannati, di ricevere approvazione ovunque e da chiunque. […] La malattia è universale; e se Dio ne sembra indenne, è perché, ultimata la creazione, non poteva aspettarsi lodi per mancanza di testimoni. E’ vero però che se le è tributate da sé alla fine di ogni giornata!”

Apprezzabile è sicuramente la potenzialità di una storia sincera ed onesta, nella quale ogni giovane analista può facilmente rispecchiarsi. Una storia di sofferenza umana, una riflessione psicoanalitica sulle vicende umane di oggi.

Non vi è giudizio, non si incontrano visioni di fondo in tema di scelta di genere ma un onesto percorso interiore che si rispecchia mirabilmente nel percorso con il paziente anche nei frangenti forse più romanzati.

“Chi sono io? Un maschio, una femmina, oppure uno strano animale di cui non esistono altri esempi in natura?”

Lo sguardo di Alberto introduce così al complesso tema dell’identità, un processo sempre in evoluzione per ciascuno di noi, le cui radici affondano nella relazione primaria, e probabilmente ancora prima, nel fertile terreno del transgenerazionale.

La costruzione dell’identità di ciascuno di noi è appoggiata alle identitficazioni e legata alle sensazioni e rappresentazioni del corpo, ma avviene all’interno di una narrativa personale, della creazione di un racconto interiore che deforma e trasforma il Sé e gli oggetti. E’ il lavoro del romanzo familiare ed è una trama che si fonda sui fantasmi originari (Bruno, 2024).

L’identità può dunque essere considerata il tentativo di organizzare le identificazioni in conflitto tra di loro al fine di arrivare a trasitorie forme di coesione, poiché, come scriveva Winnicott, esiste nel bambino una generale tendenza innata verso l’integrazione.

Quando questo processo risulta faticoso, quando traumi familiari ostacolano questa naturale integrazione, la cura psicoanalitica può dare sostegno ai processi dientificativi e fornire loro un nuovo senso.

Ed è proprio qui che si colloca l’essenza del lavoro psicoanalitico con i bambini, nella possibilità di ampliare gli orizzonti, aprire nuovi percorsi.

“Alberto ora sorrideva, orgoglioso del proprio coraggio, finalmente libero non solo del maniaco ma dall’incubo della propria passività. E io sorrisi con lui. Non tutto era stato vano.”

Bibliografia

Bruno L. (2024) Il lavoro psicoanalitico con le trans-identificazioni, Psiche, 1, 333-342.

Cioran E. (1963) La caduta del tempo. Adelphi, Milano.

Ogden T. (1989) Il limite primigenio dell’esperienza. Astrolabio, Roma.

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