Thomas Nagel (2015)
Mente e Cosmo – Perché la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa
Milano, Cortina, pp. 134
Thomas Nagel, uno dei massimi filosofi analitici contemporanei, da decenni dedito ai complessi problemi della filosofia della mente, è l’autore dell’ormai classico What is it like to be a bat (Che effetto fa essere un pipistrello?, 1974), centrato sull’irriducibilità del punto di vista soggettivo, altrimenti detto esperienza fenomenologica in prima persona, alla descrizione neuroscientifica e oggettiva, in terza persona, della mente.
In quest’ultimo volume, che completa una serie di contributi di riconosciuta importanza, Nagel ripropone le sue tesi antiriduzioniste da un punto di vista inedito e al limite del provocatorio, mettendo in discussione quella che egli definisce la weltanschauung scientifica dominate. L’obiettivo, in certo senso, è sempre lo stesso: mostrare i limiti del materialismo riduzionista senza ricadere nel dualismo, asserire l’implausibilità logica ed empirica dell’identificazione della mente con il cervello tenendosi lontano dalla metafisica cartesiana dell’anima e dello spirito. E qui Nagel è sicuramente in buona compagnia, essendo la schiera di coloro che si oppongono alla naturalizzazione del mentale, ossia alla sua spiegazione-risoluzione in termini fisici, piuttosto fitta e autorevole, sebbene probabilmente non maggioritaria.
Le scienze fisiche, includenti chimica e biologia in quanto riconducibili alla fisica di base, si troverebbero in questo caso di fronte a un limite invalicabile, a quello che David Chalmers chiama hard problem e Ned Block explanatory gap. Si tratta, in sostanza, dell’impossibilità di una spiegazione oggettiva della soggettività, che si può cogliere, invece, esclusivamente dalla prospettiva della prima persona, e del non senso della distinzione fra apparenza e realtà nel caso dei fenomeni mentali, come quando si pretenda di cogliere l’essenza del dolore asserendo che esso è “in realtà” l’attivazione di un certo tipo di fibre. Tale posizione nageliana, per quanto controversa e sebbene gravata dal difetto di identificare la mente con la coscienza, ha il pregio di illustrare con chiarezza il punto di vista di chi ritiene che la spiegazione della genesi e natura del mentale a partire dal cerebrale sia resa impossibile da un limite insuperabile, coincidente con il limite stesso delle attuali scienze della natura. La difficoltà sarebbe connessa all’oggettivismo della scienza moderna, che entra in una sorta di impasse quando tenta di rendere ragione della mente attraverso descrizioni fisicaliste. Esisterebbe, infatti, un abisso incolmabile fra la dimensione soggettiva nella quale sono dati gli stati mentali e le attività cerebrali cui questi ultimi sono correlati.
Non abbiamo la benché minima idea di come e perché dall’attività neuronale emerga il mondo dell’esperienza fenomenologica, fatto di sensazioni, percezioni, sentimenti e pensieri, e perché questo e non un altro. Ma non è questo il cuore del libro, che dedica a tali ormai “classiche” argomentazioni una parte piuttosto breve, mentre si concentra nella discussione di quella weltanschauung materialistico-riduzionista che universalmente ispirerebbe, ad avviso dell’autore, la ricerca scientifica. Nel caso delle scienze biologiche, tale concezione si identifica con la spiegazione neodarwiniana della nascita ed evoluzione della vita e della comparsa della coscienza, che Nagel sottopone a una dura critica, con argomentazioni che stanno suscitando e continueranno a suscitare interesse, polemiche, discussioni e stroncature. E’, nientemeno, la weltanschauung scientifica dominante, il quadro concettuale che orienta la ricerca scientifica contemporanea, che forse non è così universale come viene asserito, ma che sicuramente è molto diffuso, a venire attaccato. E qui le considerazioni di Nagel si fanno congetturali e quasi fantasiose, eterodosse e passibili di diversi generi di fraintendimento, dall’accusa di misticismo e spiritualismo a quella – perché no? – di creazionismo. Eppure, l’autore si dichiara a più riprese ateo, pur non disdegnando come arma polemica contro il materialismo neodarwiniano le argomentazioni dei fautori dell’intelligent design, sulla scorta delle quali – anche – introduce come anello mancante dell’attuale visione scientifica del mondo lo spettro – dal punto di vista della suddetta weltanschauung – della teleologia. Il ragionamento, azzardato e iperbolico, ma a suo modo affascinante nell’aprire nuove frontiere di pensiero e nel rammentare quanto insatura sia ogni spiegazione, quanto lasci di non spiegato anche la teoria meglio confermata, procede più o meno così. L’origine della vita e la sua evoluzione, la nascita della coscienza, della ragione e dei valori, secondo l’evoluzionismo neodarwiniano, che le riconduce alle leggi fisico-chimiche di base, combinate con le mutazioni genetiche casuali sulle quali agisce la selezione naturale, sarebbero certamente eventi possibili, ma estremamente improbabili. E non rendere conto dell’improbabilità, del perché fra le infinite “soluzioni” la natura abbia “scelto” quella più improbabile, rappresenterebbe un limite grave del naturalismo scientifico contemporaneo. Nagel propone di correggerlo attraverso l’introduzione di leggi teleologiche, da intendersi come principi autorganizzativi della materia contenenti fin dall’inizio il telos aristotelico verso il risultato finale: una mente capace di comprendere la natura e controllare il comportamento attraverso la coscienza, la ragione, i valori.
Questo, in estrema sintesi, il contenuto del volume, che inserisce l’antiriduzionismo dell’autore in una prospettiva cosmologica, con la difesa di una sorta di monismo spinoziano o addirittura di panpsichismo, che vede la mente embrionalmente intrinseca alla materia fin dall’inizio, e la seconda come tendente alla realizzazione compiuta della prima. Un libro inconsueto, provocatorio e discutibile, ma senz’altro da leggere, che ci ricorda che anche le teorie migliori hanno dei limiti e ci invita a guardare oltre esse senza timore di proporre congetture ardite, ricordandoci del pari la presenza di assunti extrascientifici, forse non universalmente condivisi, ma certamente molto diffusi, anche all’interno della ricerca più apparentemente neutrale.
Giorgio Mattana
Ottobre 2015