Massimo Recalcati (2010)
L’uomo senza inconscio.
Figure della nuova clinica psicoanalitica
Milano, Raffaello Cortina Editore, pag. 336
Con questo suo ultimo libro Massimo Recalcati porta a compimento un lavoro di elaborazione e riflessione psicoanalitica iniziata nei suoi testi precedenti e che qui trova una sistematizzazione teorico-descrittiva unita ad una capacità di sintesi evocativa che risultano davvero, a mio parere, eccellenti e stimolanti. Si tratta di un saggio certamente rivolto allo psicoanalista, ma capace di suscitare interrogativi ed interesse da parte di tutti quei "saperi" – filosofico, sociologico – attenti ad indagare i cambiamenti in corso, per il soggetto umano, nella contemporaneità.
Il nucleo fondante del libro era già contenuto in un lavoro apparso sulla rivista Psiche nel 2008 (Il soggetto senza inconscio). Il testo attuale ne rappresenta un ampliamento ed un approfondimento, conservando il merito di mantenersi per un verso rigoroso sul piano teorico, ma consentendosi, al tempo stesso, un respiro libero ed esplorativo, non scolastico e non riduttivo.
La tesi di fondo del libro è molto precisa; è in atto nella contemporaneità (epoca che Recalcati chiama ipermoderna) una strisciante e pervasiva follia, una mutazione antropologica che sta portando l’individuo a quello che si palesa come il rischio maggiore per la sopravvivenza della soggettività: l’estinzione del soggetto dell’inconscio. Se il soggetto dell’inconscio era animato dal desiderio, regolato dalla castrazione e dalla Legge che gli imponevano di abbandonare il godimento per accedere al linguaggio e dunque al simbolico, se operava attraverso la rimozione e vedeva il conflitto interno come esito della rinuncia pulsionale per abitare la Civiltà, la contemporaneità sembra avere abolito questo paradigma. Assistiamo a quello che Khun definiva un "salto di paradigma": le caratteristiche dell’epoca ipermoderna – e qui Recalcati punta il dito in particolare sullo scientismo contemporaneo e su una nuova forma di totalitarismo, su cui torneremo più avanti – tendono inesorabilmente ad indebolire, fino ad abolire, il soggetto dell’inconscio, quale precipua esperienza inaugurata dalla psicoanalisi freudiana.
L’Autore isola le tre istanze essenziali del soggetto dell’inconscio nei caratteri di verità, differenza e desiderio. Siamo soggetti desideranti portatori di una verità unica, personale, a prezzo di accettare il limite posto dalla Legge ed iscriverci nel linguaggio, mantenendo la responsabilità della nostra soggettività differenziata. Ebbene nell’uomo ipermoderno tutto questo tende ad essere cancellato.
Il soggetto di oggi, quello con cui ci confrontiamo nella nostra clinica e non solo, non è più ordinato da questi "regolatori": al desiderio ha sostituito il godimento (differenza su cui Lacan ha molto insistito e che è centrale nella riflessione del libro), scivolando così nella morsa pericolosa della pulsione di morte, del legame anogettuale. Alla singolarità "indistruttibile" del desiderio ha sostituito il conformismo, ammantato nelle nuove forme del permissivismo e della pseudo-democrazia; all’imperativo morale, di matrice kantiana, del super-Io freudiano ha sostituito l’obbligo perverso al godimento (Godi!, scriveva Lacan in un’acuta intuizione) che del super-Io rappresenta il versante sadiano, mortifero e antilibidico; aggirando la castrazione, ha perduto l’Ideale di riferimento. «L’uomo senza inconscio – scrive Recalcati – diventa così la figura inquietante che abita la scena del disagio contemporaneo della Civiltà».
Aprendosi con questa premessa che costituisce la cornice complessiva a tutto il lavoro, il libro si articola in tre parti. Nella prima, sono descritti i concetti teorici, filosofici e sociologici di fondo; nella seconda vengono prese in esame l’anoressia e il panico quali disturbi, o per meglio dire, figure paradigmatiche della contemporaneità; nella terza l’Autore attraversa, in un excursus, le altre figure della psicopatologia ipermoderna, quali le tossicodipendenze, la psicosomatica, certe forme di depressione, le identificazioni. A latere delle depressioni, una riflessione a parte è dedicata al femminile, in un interessante capitolo sul "corpo alla moda", quale «corpo che una donna deve avere per esistere come donna di fronte al sistema del grande Altro contemporaneo» (161).
Autore, com’è noto, di formazione lacaniana, Recalcati si mantiene coerentemente all’interno dell’articolazione teorica di Lacan, pur rimanendo ancorato al testo freudiano e non manca di includere il pensiero di altri, in particolare Winnicott, Bollas e Green. Si presenta così un quadro teorico che comprende i fondamentali della psicoanalisi contemporanea. Quanto a Lacan, oltre all’ovvia citazione degli Scritti, di particolare interesse è il riferimento a due fonti specifiche, Il discorso del capitalista (1972) e Radiofonia e televisione (1982).
Non esplicitamente menzionato, ma presente "spettralmente" (De Conciliis) in tutta l’opera, il pensiero di Slavoj iek, sociologo oggi tra i più interessanti con cui Recalcati condivide, seppure con delle differenze, molte delle sue tesi. Irrinunciabile, inoltre, il rimando all’eredità pasoliniana, anch’essa non direttamente citata, ma che mi sento di poter dire assolutamente presente nella mente dell’Autore. A Pasolini, infatti, si deve la definizione stessa di "mutazioni antropologiche", riferita al cambiamento avvenuto dopo gli anni ’60 con la scomparsa del mondo contadino e con la trasformazione del cittadino in consumatore. Il Pasolini corsaro incontra perfettamente il Lacan del Discorso del capitalista: alle nuove forme di totalitarismo, che non si configurano più nelle dittature, (almeno in Occidente), "non servono nuovi sudditi" scrive Recalcati, ma individui votati permanentemente al consumo, smarriti nel godimento, che hanno perduto la bussola orientativa del limite e della castrazione. È «l’oggetto del godimento che cala la sua ombra sul desiderio» (325).
Entro quali assi si situano, dunque, le nuove figure della patologia?
Recalcati individua due polarità fondamentali all’interno delle quali si snoda la malattia ipermoderna: da un lato, le situazioni che definisce di "Es senza inconscio", dove appunto è il godimento (accezione lacaniana della pulsione di morte, la jouissance) a farla da padrone, in una sorta di "strapotere dell’Es" che si rivela mortifero, liquido, sregolato, lontano dall”Es pulsionale oggetto del disvelamento psicoanalitico. Sull’altro versante abbiamo l’opposto speculare, le patologie da eccesso di identità che l’Autore chiama "identificazioni solide", dove è l’Io a essere senza inconscio, appiattite nell’imitazione e nell’adattamento, conformisticamente adese alla gruppalità (le psicosi sociali di Lacan dove al soggetto si sostituisce "la maschera", o il "normotico" di Bollas e il falso Sé winnicottiano).
Se da una parte vi è sgretolamento, angoscia (angoscia da debordamento del reale pulsionale, non angoscia-segnale nevrotica), dissipazione, dall’altra vi è rigidità, conformismo, delirio identitario. Due facce della stessa medaglia, che trovano il loro paradigma clinico nelle due patologie chiave dell’ipermodernità, l’anoressia e il panico, alle quali è dedicata la seconda parte del libro. In particolare l’Autore si sofferma sull’anoressia di cui si è occupato nel tempo in diversi lavori e che, lungi dall’essere solo una patologia individuale, rappresenta una metafora, un emblema di quella "clinica del vuoto", dove il vuoto ha preso il posto della mancanza a essere di cui parla Lacan. Sullo sfondo di questa polarità e dello spettro che l’attraversa, la mutazione antropologica principale dell’ipermodernità: "l’evaporazione del Padre", e dunque la modificazione del super-Io.
Il soggetto senza inconscio è un soggetto senza Padre, potremmo dire. Smarrito il desiderio, come scrive Lacan, vaga disperatamente in cerca o di oggetti di godimento che illudono di saturare la mancanza (come le droghe, la cocaina fra tutte, o tutte le forme moderne di dipendenza), o si congela in rassicuranti identificazioni solide, "a massa", ululando nel branco dei lupi come descritto da Gaburri e Ambrosiano (2003), abdicando alla soggettività e alla responsabilità etica, di cui solo il soggetto dell’inconscio è portatore.
Il terreno, l’humus della patologia ipermoderna, presenta un fondo psicotico: da intendersi non in senso strettamente diagnostico, ma in un senso più lato, che denuncia il collasso del simbolico, il "declino della coppia rimozione-ritorno del rimosso" e, dunque, della nevrosi. «Propongo di utilizzare il riferimento alla psicosi – leggiamo in Psiche (ibid.) – come Freud aveva utilizzato il riferimento alla nevrosi per diagnosticare il disagio della Civiltà o all’isteria […].».
In questo disagio contemporaneo sono rintracciabili degli elementi di fondo: lo scientismo, con la sua pretesa di misurare e catalogare il desiderio, l’imperativo al benessere (ad esempio nella sua forma più nota del salutismo) così paradossalmente attiguo alla pulsione di morte, le esigenze del nuovo totalitarismo quale forma moderna del discorso del capitalista (si pensi al conformismo degli adolescenti), la scomparsa del Padre quale funzione "terza" che regolava il mondo edipico. Nel loro insieme essi riconducono al punto centrale del nostro discorso: la crisi del simbolico, l’eclissi della soggettività e della rappresentatività.
Trovo che il merito maggiore di questo lavoro sia contenuto nelle pagine finali, ancorché fil rouge stesso di tutta l’opera, dedicate a "meditazioni sulla pulsione di morte", in cui l’Autore si chiede che cosa scandalizzi, ancora e sempre, di Freud.
Ciò che continua a "scandalizzare", e oggi ancor più nella Kultur ipermoderna votata al conformismo e all’imperativo del Bene (inteso come benessere), è quella che Conrotto ha definito «la sconvolgente ipotesi freudiana secondo la quale esiste un distretto dell’apparato psichico, strutturalmente, incapace di costruire e contenere rappresentazioni e tendente alla morte psichica» (2000, 174, corsivo mio).
Questo libro ripropone con forza l’attenzione sulla pulsione di morte nei suoi termini più genuinamente freudiani, quale pulsione tendente alla nirvanizzazione, all’assenza di legame, "pulsione alla perdita della vita", quella spinta inconscia (Todestrieb) «pulsionale degli uomini alla dissipazione al di là delle barriere protettive del principio del piacere» (298). Istanza, com’è noto, accolta con fatica dalla stessa comunità psicoanalitica, la pulsione di morte dell’ultimo Freud è il vero nervo scoperto della civilizzazione, è il vero ventre molle della cultura: la vita non tende al Bene. Lungi dal costituire un tratto di sola psicopatologia individuale, sebbene Freud l’abbia dedotta dai "pazienti che non vogliono guarire", «la straordinaria attualità clinica di Freud consiste nell’intuire una clinica al di là del principio del piacere» (302). Recalcati fa convergere tutta la sua lettura sulla contemporaneità, nel solco inquietante e scandaloso della pulsione di morte, fondendola certamente al pensiero di Lacan, ma collocandosi a fianco della raffinata elaborazione di Green e dei post-lacaniani ai quali va riconosciuta, come scrive ancora Conrotto, la concezione oggi «più accurata e sofisticata della pulsione di morte» (ibid. 135). È interessante notare il punto di convergenza per cui sia Recalcati che Conrotto ritengono che solo Klein e Lacan, tra i post-freudiani, abbiano mantenuto e portato avanti, con accenti ovviamente diversi, la pulsione di morte freudiana. Sono tuttavia d’accordo con Conrotto quando rileva che soprattutto Klein, ma in parte anche Lacan, abbiano identificato la pulsione di morte con l’aggressività (e l’invidia per Klein), causandone «uno slittamento semantico e concettuale che ne ha fatto qualcosa, epistemologicamente, di molto diverso» (ibid. 133).
A questo lavoro di Recalcati va il merito, a mio avviso, di conferire alla Todestrieb freudiana tutta la sua valenza dirompente, "la sconvolgente ipotesi", di collocarla al centro della possibile deriva contemporanea, ma in sostanza della problematica umana per eccellenza, del dramma di Antigone per cui l’Essere tende alla sua distruzione, al narcisismo di morte di André Green.
È questo ciò che "ancora scandalizza di Freud". Coadiuvato da questa chiave di accesso, lo psicoanalista contemporaneo può tentare una lettura non convenzionale, non semplificata, sia del contesto sociale sia delle nuove patologie, su cui si incentra oggi il dibattito psicoanalitico e che vede nelle figure degli stati limite, genericamente intesi, il paradigma della nuova sofferenza.
Se esiste una "crisi" della psicoanalisi, essa è crisi della "domanda" (a cui Recalcati dedica alcune pagine attente e non banali), conseguenza inevitabile di tutto quanto detto finora. Il discorso della psicoanalisi, quale discorso del soggetto dell’inconscio, è antropologicamente opposto al soggetto senza inconscio che si viene delineando e per questo motivo è sempre necessariamente marginale, "inattuale", scomodo e scabroso. Tuttavia, in quanto il soggetto dell’inconscio non è un dato sovrastorico, non esiste in sé, in quanto tale, ma vive intrecciato con le trasformazioni sociali in un fragile e instabile rapporto con la Kultur in cui siamo immersi, Recalcati sembra intravedere – e lo dice in apertura – una qualche possibilità di intervento: «rianimare il soggetto del desiderio, rendere il desiderio capace di realizzazioni creative, promuovere la soggettività irriducibile del soggetto come obiezione a ogni sua assimilazione conformistica».
Rossella Valdrè
Bibliogafia
Conrotto F. (2000). Tra il sapere e la cura. Un itinerario freudiano. Franco Angeli, Milano
Contri G. (a cura di) (1978). Il discorso del capitalista in Lacan in Italia. La Salamandra, Milano
De Conciliis Eleonora. http.//www.kainos-portale.com
Gaburri E., Ambrosiano L. (2003). Ululare con i lupi. Conformismo e rêverie. Bollati Boringhieri, Torino
Green A. (1992). Narcisismo di vita, narcisismo di morte. Borla, Roma
Lacan J. (1982). Radiofonia. Televisione. Einaudi, Torino
Pasolini P. P. (1999). Saggi sulla politica e sulla società. Meridiani Mondadori, Milano
Recalcati M. (2000). Il soggetto senza inconscio. in Psiche, 2
iek S. (2009). Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo. Boringhieri, Torino