Cultura e Società

“L’universo narrativo di Helena Janeczek” di M. P. De Paulis, A. Lucattini, K. Zanforlini. Recensione di M. G. Pappa

6/06/22
L’universo narrativo di Helena Janeczek tra impegno e invenzione.di Maria Pia De Paulis, Adelia Lucattini, Ketty Zanforlini (Franco Cesati ed., 2022). Recensione di a cura di Maria Giuseppina Pappa

L’universo narrativo di Helena Janeczek tra impegno e invenzione.

Storia, memoria e tempo presente

di Maria Pia De Paulis, Adelia Lucattini, Ketty Zanforlini (Franco Cesati ed., 2022)

a cura di Maria Giuseppina Pappa

Parole chiave: #Shoah, #trauma, #memoria, #parola

Il libro “L’universo narrativo di Helena Janeczek tra impegno e invenzione”, di Maria Pia De Paulis, Adelia Lucattini e Ketty Zanforlini, rappresenta uno studio particolarmente approfondito  della figura e dell’opera di Helena Janeczek, scrittrice di spicco nel panorama letterario italiano contemporaneo. Nata a Monaco di Baviera, da genitori ebrei polacchi scampati alla Shoah, esordisce in Germania con una raccolta di poesie in tedesco, pubblicata nel 1989, e inaugura la sua attività letteraria nel 1997, pubblicando la prima opera narrativa in italiano, “Lezioni di tenebra”, vincitrice del Premio Bagutta Opera Prima e del Premio Berto. A partire da questi primi premi letterari, i numerosi altri premi attribuiti ai suoi libri, tra cui il Premio Strega per “La ragazza con la Leica” (2017), testimoniano il notevole apprezzamento dei lettori e dei critici nei confronti di un’autrice che è riuscita a centrare la sua opera sulla propria esperienza e sulla memoria degli eventi che ruotano intorno alla Seconda guerra mondiale, in modo straordinario e originale. La critica letteraria più recente ha individuato nei suoi scritti soprattutto tre temi: l’importanza della memoria, l’uso peculiare dell’invenzione, la polifonia degli impianti narrativi. Helena Janeczek si interroga sul lascito memoriale dei suoi genitori, e sulla “postmemoria”, che, secondo Marianne Hirsch (2012) che ha coniato il termine, riguarda la trasmissione dei traumi legati all’esperienza della Shoah alla generazione successiva. Proprio in quanto figlia di sopravvissuti, la scrittrice pone la questione del dovere del ricordo nel contesto attuale, che, paradossalmente, rende la memoria ancora più fragile. Helena Janeczek affronta queste problematiche nella “trilogia della postmemoria”: i romanzi “Lezioni di tenebra” (1997), “Le rondini di Montecassino” (2010),  e “La ragazza con la Leica” (2017), costituiscono un percorso di profonda riflessione sui fatti relativi all’avvento della dittatura nazista e allo sterminio degli ebrei. I vertici di osservazione della scrittrice sono molteplici, oltre a quello della memoria, del trauma e della storia, estendendosi in modo ampio al tema dell’identità, dell’attualità, della storia del tempo presente. Attraverso una struttura polifonica e policentrica, che si realizza mediante l’integrazione di più voci e più lingue, partendo da realtà individuali, della storia del mondo, Helena Janeczek mette in risonanza l’epicità e la singolarità.

Il libro di Maria Pia De Paulis, Adelia Lucattini e Ketty Zanforlini, costituisce il primo studio monografico interamente dedicato alla vasta panoramica degli scritti di Helena Janeczeck. Il volume è stato pubblicato con il contributo del laboratorio di ricerca LECEMO (Les Cultures de l’Europe Méditerranéenne Occidentale – EA 3979 – dell’Università Sorbonne Nouvelle. Nell’ambito dello stesso laboratorio di ricerca, nel 2020, era stato pubblicato il libro “Dire i traumi dell’ Italia del Novecento. Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica”, a cura di Maria De Paulis, Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez, con un prezioso contributo psicoanalitico di Adelia Lucattini su “Trauma, poliglossia e costruzione della soggettività nell’opera di Luce d’Eramo”. In questo libro era stato esplicitato il senso della parola ‘memoria’, che per Domenico Scarpa, viene intesa da Primo Levi “come ricerca, principio negentropico, ovvero organizzatore di realtà contro il disordine e l’entropia. La memoria è un’anamnesi positiva, un baluardo contro la cancellazione e la rimozione del trauma, dunque il motore di una coscienza storica capace di costruire il futuro” (p. 18-19). In questa ottica il testimone è un sopravvissuto, il terzo, il terstis quale testis et supertestes (Derrida, 1998), colui che “ha vissuto qualcosa, ha attraversato fino alla fine un evento e può, dunque, renderne testimonianza” (Agamben, 1998). Dunque scrivere sul trauma, per il sopravvissuto ai campi di sterminio, significa riappropriarsi della parola, per dare forma all’indicibile e all’irrappresentabile, e attraverso il racconto, riappropriarsi della storia, collegandola al presente, resistendo così alla negazione della Storia. Per Clara Mucci (2008) “È l’assunzione soggettiva dell’esperienza attraverso la parola il passaggio obbligato per superare il trauma”. Se scrivere costituisce una speciale forma di testimonianza, attraverso cui contrastare gli effetti psichici dello spossessamento di sé, e ricostruire un senso di cultura e civiltà condivisa,  un particolare interesse spetta al significato e all’uso della poliglossia dal punto di vista psicoanalitico, nell’opera di  scrittrici come Luce d’Eramo (Lucattini, 2020), e Helena Janeczeck (Lucattini, 2022). In entrambe le scrittrici la poliglossia rivela diversi aspetti identitari, legati a multiformi esperienze esistenziali e relazionali, riconducibili a diversi aspetti del sé e a diverse modalità di funzionamento mentale.

L’opera di Helena Janeczek si colloca in un contesto letterario italiano contemporaneo decisamente mutato, a partire dalla fine degli anni Novanta e dall’inizio degli anni Zero, per cui la critica letteraria ha parlato di “Nuovi realismi”, “New Italian Epic”, “romanzi della Dopostoria”, o ancora di “Postmodern impegno”. Tali denominazioni, riferibili a diversi approcci critici, sono volti a sottolineare la multidirezionalità del cambiamento, e il fatto che esso non investa solo le forme e i contenuti, ma anche la postura, e la posizione dello scrittore. A proposito di tale mutazione, Tiziano Scarpa, intervenendo nel dibattito critico lanciato da Wu Ming 1 (v. p. 16), ha evidenziato l’importanza del ruolo svolto da Pier Paolo Pasolini, soprattutto attraverso la pubblicazione postuma del non finito Petrolio per gli autori contemporanei. Il modello pasoliniano viene adattato e diventa un punto di riferimento per una forma di impegno nuova, per cui nelle narrazioni “post-pasoliniane” c’è un tentativo di trovare un rapporto di comprensione de-ideologizzato con la realtà, unito a un supplemento etico. Siamo così di fronte a un impegno civile e laico che pone al centro la responsabilità individuale e la consapevolezza critica. Helena Janeczek viene annoverata tra gli scrittori italiani contemporanei per i quali Raffaele Donnarumma (2014) propone di parlare, anziché di impegno, di “partecipazione alla vita pubblica”. L’impegno postmoderno dello scrittore ha un carattere conoscitivo e esplicativo, e deriva dall’integrazione dell’eredità di Pasolini e di Primo Levi, come una possibile forma di giustizia memoriale di carattere compensativo, che ha un valore etico e civile, prima che politico. I romanzi della Janeczek possono iscriversi nel quadro della giustizia memoriale, come “romanzi della Dopostoria”, secondo Antonio Scurati (2017), ma anche come romanzi della postmemoria, come proposto da Maria Pia De Paulis. La scrittrice viene citata da Gordon (p. 18) come autrice collocabile nel filone letterario di stampo testimoniale. La sua partecipazione civile ha come pietra di paragone Roberto Saviano. Helena Janeczek ha come oggetto unico della propria scrittura la realtà storico-sociale, e la sua opera presenta una caratteristica oscillazione tra cronaca del tempo presente e interesse per la Storia, per cui forse sarebbe limitativo circoscriverla al solo ambito postmemoriale. La sua attenzione è volta al passato, alla storia del Novecento, ma anche alla storia del tempo presente, all’attualità, attraverso una produzione letteraria ed editoriale vasta e ricca, in cui invenzione e realismo sono sapientemente intrecciati, ed è in primo piano la partecipazione della scrittrice al dibattito civile e letterario contemporaneo.      

Il primo saggio del presente volume offre un panorama della produzione di racconti e di interventi editorialistici studiati in sede critica, mettendo in luce come Helena Janeczek, sin dall’inizio degli anni Duemila, contribuisca al dibattito sul ruolo degli scrittori nella società.

Il secondo studio riguarda i primi due romanzi della “trilogia della postmemoria” e della Storia: “Lezioni di tenebra” e “Le rondini di Montecassino”, che costituiscono una sorta di dittico. Il primo romanzo è imperniato sulla questione della trasmissione postmemoriale del passato traumatico della deportazione e del lager dalla madre alla figlia, evidenziando l’irrimediabile e irrisolta persistenza delle lacerazioni storiche anche nella generazione successiva, sprovvista dell’esperienza del lager. Nel secondo romanzo, la memoria personale e familiare porta alla ricostruzione della storica battaglia di Montecassino, che viene posta in dialogo con il presente attraverso l’azione narrativa della scrittura. Helena Janeczek si avvale dell’invenzione narrativa, che le permette di aggirare la problematicità della testimonianza impossibile, ma anche di dare risalto alla verità più profonda, vissuta dai suoi personaggi.

Nel terzo studio, “Poliglossia, Identità e Mito in CIBO e LA RAGAZZA CON LA LEICA: un Approccio Psicoanalitico”, Adelia Lucattini si sofferma sui temi della memoria, della trasmissione dei traumi transgenerazionali, con un’attenzione specifica alle valenze simboliche e inconsce del cibo e della poliglossia in un’ottica psicoanalitica. In Cibo (2002)la scrittrice ripercorre il proprio passato, attraverso aromi, sapori, gusti di molteplici nazionalità, utilizzando il loro nome nella lingua del paese che ognuno di essi rappresenta, favorendo così una condivisione associativa sensoriale nel lettore. I cibi descritti ed evocati si rivelano essere punti di osservazione diversi del mondo, della realtà, e luoghi diversi della mente. Essi assumono il valore di oggetti transizionali, contribuendo alla costituzione di uno spazio mentale transizionale (Winnicott, 1974), tra l’autrice e il lettore. Accanto alla pluralità di cibi, anche le molte lingue ben conosciute dalla Janeczek colpiscono in modo incisivo l’inconscio del lettore con la forza della fonetica: il tedesco, la sua lingua madre; l’inglese, studiato a scuola e approfondito all’università, insieme al tedesco e al russo; il francese, la sua lingua del cuore; l’italiano, che sembra essere la lingua ‘scelta’ per la scrittura. Più in particolare l’italiano sembra assumere la funzione di un contenitore psichico per il multilinguismo, che veicola un’ampia gamma di stati emotivi e una pluralità di registri affettivi. Le varie lingue corrispondono a diversi aspetti del sé e a diverse modalità di funzionamento mentale, che permettono di tracciare una “semantica dell’inconscio”, in cui persone e luoghi si stagliano come “tessere di un mosaico inconscio”, in cui può trovare espressione anche “il dolore psichico, percepito ma non sofferto” (Lupinacci et al. 2015).  Sia in Cibo che in La ragazza con la Leica, la poliglossia si rivela essere un efficace strumento espressivo e narrativo, al contempo identitario e distanziante, favorendo l’identificazione e lo straniamento. Qui la ricerca dell’identità avviene attraverso una ricostruzione storica soggettiva, e non storiografica, con la mitizzazione dei personaggi, che svincolati dalla veridicità storica, danno voce a stati d’animo e  a punti di vista, anche scomodi, della scrittrice, alla costante ricerca di nessi e significati tra passato e presente. In entrambi i romanzi viene dato ampio risalto all’importanza del recupero dei ricordi e della loro consegna alla memoria collettiva. In Cibo i ricordi vengono narrati attraverso la vita degli ebrei italiani sfuggiti alle persecuzioni naziste, e attraverso il racconto della vita del padre, che, seppur intimo, viene messo in relazione con gli accadimenti storici collettivi, fino ai nostri giorni. In La ragazza con la Leica la consegna alla memoria si trasforma in mito, attraverso la vivida ricostruzione della vita di Gerda Taro, fotografa e prima donna reporter  di guerra, compagna di Robert Capa, che rivive nel racconto di tre personaggi, Willy, Ruth e Georg, che l’hanno conosciuta e la ricordano ognuno dal proprio punto di vista, in una pluralità di vertici di osservazione. I loro ricordi mettono in risonanza il presente e il passato in un armonioso intreccio spazio-temporale, che attraverso l’avvincente musicalità delle parole, trascinano il lettore in un luogo intermedio, transizionale, in cui poter incontrare Gerda, negli avvenimenti della guerra di Spagna e nella tumultuosa esistenza dei tanti giovani europei che popolavano la Ville Lumière degli anni Trenta. Con il dispiegarsi del racconto, Gerda si va svelando a poco a poco al lettore nella sua inquietudine di ventenne ebrea esule, in uno scenario politico europeo sempre più infettato dal nazifascismo, in cui non c’è più posto per lei e non c’è più tempo prima che tutto precipiti verso la guerra e lo sterminio. La sua figura si va definendo nella mente del lettore in un “ologramma di passione e di dolore”. Nei romanzi di Helena Janeczek sono presenti i temi delle persecuzioni, dell’esilio, delle perdite e della morte, ma è soltanto in La ragazza con la Leica che troviamo il tema della passione in tutte le sue manifestazioni: la passione politica, amorosa e per il lavoro, accanto alla gelosia, all’invidia e alla rabbia.

Concludendo, la speciale e minuziosa attenzione che Helena Janeczek dedica alla Storia e al lavoro della memoria nei suoi romanzi, assume un valore incommensurabile, nella misura in cui può contribuire in maniera notevole allo sviluppo di una coscienza sociale, politica e civile, resasi assolutamente necessaria nel mondo contemporaneo. Nella sua opera “la narrazione consegna al lettore, quindi, eventi vissuti purificati dal dolore attivando una riflessione su di essi e favorendo una trasformazione individuale e collettiva delle esperienze traumatiche. Le parole scelte con cura sono azioni trasformative che impediscono che il dolore resti incistato, rimosso o negato, nell’inconscio individuale e transgenerazionale dando luogo ad un processo virtuoso di reale cambiamento” (p. 142).

Riferimenti bibliografici

Agamben, G. (1998), Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.

De Paulis, M.P., Agostini-Ouafi, V., Amrani, S., Le Gouez B., (A cura di), (2020), Dire i traumi dell’Italia del Novecento. Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica, Franco Cesati Editore.

Derrida, J. (1998), Demeure. Maurice Blanchot, Paris, Galilé2, 1998.

Donnarumma, R., (2014), Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Bologna, Il Mulino.

Hirsch, M. (2012), The Generation of Postmemory. Writing and Visual Culture After the Holocaust, New York, Columbia University Press.

Janeczek, H., (1997), Lezioni di tenebra, Milano, Mondadori.

Janeczek, H., (2002), Cibo, Milano, Mondadori.

Janeczek, H. (2010), Le rondini di Montecassino, Parma, Guanda, 2010.

Janeczek, H., La ragazza con la Leica, Parma, Guanda, 2017.

Lucattini, A., (2020), “Trauma, poliglossia e costruzione della soggettività in “Deviazione” di Luce d Eramo, in Dire i traumi dell’Italia del Novecento. Dall’esperienza della creazione letteraria e artistica, Franco Cesati Editore.

Lucattini, A. (2022), “Poliglossia, Identità e Mito in “Cibo” e “la ragazza con la Leica”: un approccio psicoanalitico”, in L’universo narrativo di Helena Janeczek. Storia, memoria e tempo presente, Franco Cesati Editore.

Lupinacci, M. A. et al. (2015), Il dolore dell’analista. Dolore psichico e metodo psicoanalitico, Roma, Astrolabio.

Mucci, C. (2008), Il dolore estremo. Il trauma da Freud alla Shoah, Roma, Borla.

Scurati, A. (2017), Letteratura dell’inesperienza. Il romanzo della Dopostoria, in “Le parole e le cose”.

Winnicott, D.W., (1974), Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo [1971], Roma, Armando, 1974.

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