Parole chiave: M.Kundera, Psicoanalisi, Oblio, Nostalgia
L’oblio
In Milan Kundera
“Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E’ per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione”
(L’insostenibile leggerezza dell’essere, 1984)
Milan Kundera, scomparso l’11 luglio 2023 nella sua casa di Parigi, non ha mai esplicitato il suo legame con la psicoanalisi: non ce n’era bisogno, tutta la sua vasta e direi sublime produzione letteraria, immerge il lettore in una lunga seduta psicoanalitica. I suoi romanzi, o meglio romanzi-saggi e, nel tempo, sempre più inclini alla saggistica, hanno accompagnato tutta la mia vita; da giovane fui folgorata dalla profondità leggera della sua prosa, dalla densità concettuale tradotta in poesia, dalla capacità di immedesimazione che procurano i suoi personaggi, uomini e donne dal profilo psicologico contemporaneo, sempre in conflitto, in bilico tra l’amore e la compassione, la tristezza e l’ebbrezza, il tradimento e la fedeltà, figli del loro tempo eppure immortali. La sua opera più nota, infatti, L’insostenibile leggerezza dell’essere del 1984, deve il successo planetario alla straordinaria penetrazione psicologica, narrata con un uso sofisticato della parola ma capace di farsi intendere dal lettore universale.
Merita, però, una particolare attenzione anche psicoanalitica, uno dei temi, o forse il tema, che percorre di fondo tutta la sua opera, dal primo romanzo del ’67 Lo scherzo, agli ultimi come I testamenti traditi del ’94 o Il sipario del 2005. Poiché la sua produzione fu vastissima, spaziando dalla poesia alla drammaturgia, mi limito al romanzo; d’altronde, in una delle rarissime interviste, a chi gli chiedeva di che parte politica fosse, Kundera rispondeva “sono un romanziere”.
Questo tema è l’oblio: l’ossessione del tempo, il rapporto tra oblio e memoria e la nostalgia sono centrali nell’opera di Kundera. Ma di quale tempo si tratta?
Occorre ricordare brevemente la biografia, peraltro assai nota. Kundera nasce nell’allora Cecoslovacchia a Brno, studia e si forma artisticamente a Praga e, per un breve periodo giovanile, subisce la fascinazione delle teorie marxiste, da cui si stacca definitivamente aderendo alla ribellione della cosiddetta Primavera di Praga del 1968; benché già autore di alcune poesie, è lì che nasce il Kundera grande romanziere (Lo scherzo, infatti, esce l’anno precedente). La critica al regime gli causerà l’esilio; lascia la sua patria per emigrare in Francia nel 1975 e, due anni dopo, a causa della satira e dell’irriverenza verso il regime contenuti ne Il libro del riso e dell’oblio (1978), nel ’79 perde la cittadinanza ceca, che gli verrà restituita soltanto nel 2009.
L’artista è dunque un esule. Dal 1990, con L’immortalità, inizia a scrivere in francese e non tornerà più al ceco, non fidandosi delle traduzioni di cui era attentissimo revisionatore.
L’esule vuole dimenticare, o è malato di nostalgia? L’esperienza fisica, obbligata, di lasciare il luogo delle origini per stabilirsi in un altro che consente, o promette, una vita migliore, non credo debba ridursi in Kundera alla sola vicenda storica: siamo tutti esuli, tutti dobbiamo lasciare qualcosa che si riteneva sicuro, anche se non perfetto, per qualcos’altro che consenta di evolvere, di restare vivi.
Ma tutto questo, questo andare avanti a cui il tempo lineare dell’uomo è costretto, lo condanna all’infelicità, perché la felicità, come scrive in più passi ma con estrema chiarezza ne L’Insostenibile leggerezza dell’essere, la felicità umana è data dalla ripetizione. L’incipit del romanzo riguarda la teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche, evocazione, come sappiamo a cui anche Freud non restò indifferente nel teorizzare la pulsione di morte: sembra che il tempo passi e invece torna, ma contemporaneamente non ci dà una seconda possibilità. La visione di Kundera della memoria è la stessa di Freud: non un magazzino dei ricordi accumulati, ma un continuo lavoro di tessitura, registrazioni e dimenticanze, a seconda che ci si soffermi o si voglia, maniacalmente, correre via (La lentezza, 1995). L’uomo di Kundera vive sognando, sospeso in un “tempo che non passa”, in ricordi che non sono che schermo, copertura, “nella convinzione, alla quale Freud restò fedele tutta la vita, la convinzione che il passato sia conservato, che a partire da resti, da pezzi, da frammenti lo si possa ricomporre. E ‘l’indistruttibile Roma eterna” (Pontalis, 1997, p. 83).
Non si coglie mai l’attimo presente, scrive ne I testamenti traditi, quello che ricordiamo non assomiglia affatto, o non corrisponde mai del tutto, a ciò che si è vissuto; la memoria, dunque, è ricostruzione. La memoria serve a dimenticare! E’ l’evento, la somma di eventi che compongono la vita (a volte dominati dal Caso, altro grande tema di Kundera) ad acquistare significato solo nell’essere ricordato; si vive in après-coup, inevitabilmente.
“La nostra conoscenza della realtà è sempre al passato. Non è mai al presente, al momento in cui accade, in cui è. Ma l’attimo presente non assomiglia al suo ricordo. Il ricordo non è la negazione dell’oblio. Il ricordo è una forma dell’oblio. […]
Non basta tenere un diario: quando lo leggeremo faticheremo a evocare immagini concrete; e l’immaginazione non ci soccorrerà.
Per noi il presente, la concretezza del presente, in quanto fenomeno da esaminare, in quanto struttura, è infatti un pianeta inesplorato; perciò siamo incapaci sia di fissarlo nella memoria sia di ricostruirlo con l’immaginazione. Tutti muoiono senza sapere di aver vissuto.” ( I testamenti traditi, 2005)
E la nostalgia? Che posto occupa nel complicato labirinto di memoria e rimozione? Ne L’ignoranza (2001), le riserva parole straordinarie; attraverso un’accurata ricerca dell’etimo del termine in tutte le lingue (al pari di Freud ne Il perturbante) si sofferma infine sullo spagnolo, dove deriverebbe dal catalano “enoyar”, a sua volta derivato dal latino “ignorare”: la nostalgia come malattia dell’ignoranza. Essa, cioè, “non risveglia ricordi, basta a se stessa, alla propria emozione, assorbita com’è dalla sofferenza”. Solo l’amore sarebbe in grado di cogliere l’esaltazione del tempo presente, ma l’amore, si sa, è sentimento della fragilità, già fuggito nell’attimo stesso in cui è vissuto. La nostalgia, presa nel suo soffrire, si pone come inevitabile nell’umano, ma concorre all’oblio.
Le dittature, che l’artista ha conosciuto bene, sanno sfruttare l’oblio; esse concorrono a un “oblio organizzato” per far dimenticare i loro crimini; la memoria, allora, il dovere di ricordare, si fa atto etico.
Preso tra coazione a ripetere e spinta all’oblio, nostalgia inappagabile e finti ricordi, desiderio di immortalità e caducità, l’uomo in Kundera vive nella totale inesperienza, “l’inesperienza come una qualità della condizione umana. Si nasce una volta per tutte, non si potrà mai ricominciare un’altra vita con le esperienze della vita precedente. Si esce dall’infanzia senza sapere cosa sia la giovinezza, ci si sposa senza sapere cosa l’essere sposati, e anche quando si entra nella vecchiaia non si sa dove si va: i vecchi sono bambini innocenti della loro vecchiaia.” (L’arte del romanzo,1988). La vita è una trapassata nell’inesperienza.
Il futuro non resta allora che il grande disatteso, il vero estraneo in questa vita umana che procede a tentoni, in après-coup, tra gli autoinganni della memoria e le ebbrezze momentanee delle illusioni, che talvolta la Storia o l’amore concedono:
“Gli uomini urlano di voler creare un futuro migliore, ma non è vero. Il futuro è solo un vuoto indifferente che non interessa nessuno, mentre il passato è pieno di vita e il suo volto ci irrita, ci provoca, ci offende, e così lo vogliamo distruggere o ridipingere. Gli uomini vogliono essere padroni del futuro solo per poter cambiare il passato. Si battono per poter entrare nel laboratorio dove si ritoccano le fotografie, dove si riscrivono le biografie e la storia” (Il libro del riso e dell’oblio, 1978).
Bibliografia di riferimento
Milan Kundera: tutti i romanzi e i saggi
La biografia di Florence Noivelle “Milan Kundera. Ecrire, quelle drole d’idéè!”, Gallimanrd, 2023, Paris
Pontalis, J. B. (1997): Questo tempo che non passa. Borla, Roma, 1999
Freud S. (1920: Al di là del principio di piacere. O-S-F. vol 8 Boingheri, Torino