Cultura e Società

L’inizio

20/03/09

Laura Minetto (2004)

                              Salerno, Edizioni Il Grappolo. Pagine 166, Є 13 

Certi libri vanno giù come un bicchier d’acqua. Ci sono libri da assaporare come un  buon vino. Altri ancora il cui contenuto è un distillato così invecchiato e profumato da dover essere gustato in bicchierini piccoli, annusando prima. Così è dell’Inizio di Laura Minetto.

Il romanzo è la storia di un’adolescente che diventa donna attraverso molteplici prove, soprattutto nella vita amorosa, aiutata da un’analisi che la guida fuori dal circolo vizioso dell’angoscia.

La prosa in cui è scritta l’opera assomiglia a quella del romanzo modernista del primo Novecento: densa e precisa, sempre al confine della poesia. Tuttavia, non è ricalcata su quel modello, e nemmeno su quello del minimalismo, altro stile avvicinabile a quello della Minetto. L’autrice ha una voce sua molto particolare e diversa da quella di chiunque altro, ricca di uno charme riconoscibile. Del resto, diventare scrittore è proprio questo: acquisire una voce vera, unica e riconoscibile. Con questo romanzo, il primo pubblicato dall’autrice, in parallelo a Martina che diventa donna, Laura Minetto diventa narratrice.

Ciò che si narra è un materiale pesante: lo smarrimento di una ragazza, angosciata di fronte alla vita. Questo stato, che parrebbe un  groviglio indicibile, viene descritto così bene da farlo vivere e capire anche al lettore. Infatti credo che il libro possa aiutare chi vive angosce simili a riconoscere i suoi sentimenti, accettarli, curarli. Anche un terapeuta può trarne vantaggio: non è comune leggere una descrizione così candida del disagio.

Una possibile linea di lettura dell’Inizio è quella di vederlo come un “caso clinico” alla rovescia, descritto dal vertice del paziente invece che da quello consueto del terapeuta. Nel “caso clinico”, genere inaugurato da Freud e tuttora assai praticato, l’analista descrive la situazione di un paziente preso in cura, la sua evoluzione e, se il caso si è concluso, la  sua “risoluzione”. Sarà vero ciò che l’analista racconta? Avrà capito davvero ciò che il paziente gli ha detto? E l’analista è narratore così abile da trasmettere al lettore ciò che ha osservato e capito? Non possiamo saperlo, perché per conoscere  il caso siamo affidati solo alle sue parole.

Qui è il contrario. Di questo analista, di questa analisi sappiamo solo ciò che la paziente ci racconta. Mancando l’altra campana, la narrazione non scioglie ma pone un mistero. Del resto, è proprio il mistero ciò che ci attira in un amore.

 

 

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