Cultura e Società

“L’inconscio e l’ambiente” di C. Schinaia. Recensione di S. Vessella

30/06/20

L’inconscio e l’ambiente”

 di Cosimo Schinaia

(Alpes, 2020)

Recensione a cura di Silvia Vessella

Già il titolo di questo libro di Cosimo Schinaia testimonia l’attualità del tema affrontato.  Mettere insieme poi inconscio, fondamento della nostra teoria e pratica clinica, e  ambiente, suggerisce connessioni. L’autore non è nuovo all’indagine  delle relazioni tra psicoanalisi e ambiente sociale circostante. Impegnato a lungo nel lavoro come psichiatra nelle istituzioni, come psicoanalista ha contribuito attivamente alla vita societaria italiana e internazionale.

I titoli di alcune delle sue molte pubblicazioni, Dal Manicomio alla Città; Il Cantiere delle Idee; Pedofilia Pedofilie: La Psicoanalisi e il Mondo del Pedofilo, Il dentro e il fuori. Psicoanalisi e architettura  chiariscono l’ambito e la direzione della sua ricerca.

 

Libro necessario questo quindi in cui l’autore prosegue la ricerca delle profonde relazioni fra dentro-fuori, Individuo-gruppo, umano-non umano. Nel passato visto prima come binomio di contenuti e valenze contrapposte, poi figura-sfondo l’uno dell’altro, oggi spesso, e sicuramente in questo libro, se ne rintraccia l’interdipendenza,  che ne fa un insieme,  unicum e  distinto nello stesso tempo.

Se una visione di due campi contrapposti o contigui ha dato in passato i suoi frutti, l’apertura di un dialogo sempre più stretto ha aperto nuovi orizzonti di ricerca, e con un  ritorno proficuo nei campi di competenza.

La Società di Psicoanalisi nel tempo ha sviluppato tale ricerca con la rivista Psiche e poi con Spiweb, il sito della SPI, e ancor più nei suoi dossier cui l’autore ha vivacemente partecipato. Ricordo fra i tanti, perché attinenti, “Ecologia”, quello “Cure per il creato”, “Umani e robot” e altri, tematiche discusse da più vertici disciplinari che invitavano il lettore a problematizzare questioni fondamentali ai nostri tempi per una ipotesi di riorganizzazione del nostro mondo.

 

Oggi la crisi della globalizzazione ha messo in sofferenza entrambi i campi, quello ambientale e quello umano.  Un’ottica regressiva,economica e politica si è orientata verso rassicuranti, consuete forme  di “colonizzazione “ dell’uno sugli altri.

Forme di competizione selvaggia non orientano verso un pensare ecologico, maggiormente inclusivo, che tenga conto dei molti fattori in gioco. Lo scontro si è radicalizzato, non rispondendo all’esigenza sottesa alla globalizzazione come legame, unione di forze, valorizzazione del “supposto” debole, come portatore di differenze,  inclusione di parti, aspetti e negletti della società.

Un po’ come a volte si osserva fare alla personalità “normale” che, per evitare di mettere in discussione gli equilibri dell’intera personalità, cerca di liberarsi delle parti dolenti, pensando di metterle a tacere.

 

Il processo giunto a tale punto di crisi è messo in causa nel libro di cui parliamo. In esso Schinaia ne rintraccia le fonti di riflessione e la sua urgenza, ne fa la storia, avanza ipotesi e proposte, uscendo dalla dinamica aut-aut,   attestandosi in quella più proficua dell’ et– et. Il punto di vista è quello dei collegamenti, delle contaminazioni, delle espansioni, delle estensioni, pur nel rispetto delle singole voci, partendo dal rintracciare nella storia della ricerca psicoanalitica i molti che nel tempo avevano avvertito sulla prossimità e interdipendenza dei due territori.

I nomi citati sono importanti, J.B.Pontalis, J.Lacan, Papa Bergoglio, D.Winnicott, R. Kaës, A. Ghosh, M. Foucault, C. Bollas, L. Preta e molti autorevolissimi altri.  L’autore mette così in dialogo le più diverse discipline, dalla psicoanalisi, al potere religioso e politico, alla narrativa, alla poesia, tutte, nei modi più diversi, orientate in direzioni ecologiche.

Naturale incipit, a partire dai propri interrogativi, non può che essere un ritorno alle radici del pensiero psicoanalitico, al Freud, soprattutto del “Disagio della Civiltà”.

Tracciando poi la storia della riflessione psicoanalitica, l’autore non tralascia un caposaldo di tale indagine, H.Searles di “L’ambiente non umano”. E naturalmente G. Bateson (1972, 1991).

Con molte vignette cliniche poi  illustra dall’interno della stanza d’analisi lo spazio che prende l’ambiente nell’incontro analitico. Evidenzia come il “fuori” possa fare proficuamente parte del lavoro elaborativo nel “dentro”. E dimostra come i  “rifiuti” piuttosto che essere scarti siano portatori di un proprio linguaggio e di un vissuto che, spesso dolorosamente, chiede di essere integrato nella  personale narrazione di sé.

Sul versante opposto, quello a partenza dall’ambiente sociale, affronta anche il tema della relazione tra lavoro e salute.  Porta, come esempio del cuore, le vicende dell’Ilva di Taranto, città dove è nato. Si muove, attraverso la difficoltà del salvare il lavoro e le vite,  alla ricerca di un nuovo paradigma economico maggiormente inclusivo. E come guida, fra gli altri, sceglie il lavoro illuminante di Gaburri e Ambrosiano (2013) sull’equilibrio necessario tra narcisismo e socialismo nel singolo e nel gruppo sociale.

 

Tirare le fila di una così ampia e sfuggente riflessione è il compito che l’autore si propone in un testo particolarmente arioso e di gradevole lettura, rintracciando  collegamenti sospesi, spesso nascosti o che si muovono sotterranei.

Allo scopo di rintracciare tali incontri prende necessariamente le distanze dai poli estremizzati, d’indole regressiva, rifiutando da un lato le adesioni fanatiche alla ideologia ecologista e allontanandosi dall’altro da una difesa a spada tratta di un progresso obbligatoriamente piramidale, in difesa dell’individualismo competitivo, del capitalismo sfrenato della finanza, portatore di  sperequazione economica e privilegi  culturali. Contemporaneamente enumera i molti meccanismi di difesa messi in atto per rifuggire dall’angoscia e che spiegano le ragioni per cui sembra che non ci si renda conto del pericolo connesso con uno sfruttamento selvaggio dell’ambiente.

 

Il libro è pieno di riferimenti approfonditi e colti. L’autore testimonia con le sue molte citazioni quanto preziosi, seppur sparsi e talvolta timidi erano i segnali di tanti pensatori, che portavano avanti una più o meno pacata riflessione sui rischi che si correvano a non tener conto di tanti segnali di crisi da entrambi i fronti, sia ambientali, che umani e culturali. L’invito finale di Schinaia sembra essere quello di mettersi al lavoro, ciascuno nel proprio orticello e tutti insieme, in una direzione che includa le diverse forze.

La conclusione con la H. Segal “È il silenzio il vero crimine” ribadisce l’idea centrale della necessità di un dialogo tra diversi linguaggi, che tutte le “voci” possano parlare e che tutte abbiano cittadinanza in questo nuovo mondo. Ormai è sempre più chiaro che l’ambiente parla un proprio linguaggio e lancia propri avvisi di sofferenza e  squilibrio. Com’è altrettanto chiaro che anche il debole, il migrante, i corpi agiscano e in questo dicano, urlino, minaccino e non possano essere tacitati. (S. Vessella 2020 )

In fondo la consapevolezza, che riterrei fondamentale, la vecchia idea presente fortemente nelle culture tribali, è quella di poter di nuovo ricomporre nel sentire umano il senso, inconscio, della continuità della vita al di là del singolo, collegandosi con un’idea di  rinnovamento più che di fine di tutto, come insegna l’ambiente  nell‘alternarsi delle stagioni, o nell’avvicendamento delle coltivazioni.

E in questo la natura fondamentalmente sociale dell’essere umano potrebbe aiutare, se non vivessimo in una società in cui lo scotoma della morte sembra imperante. Insieme a un individualismo sfrenato. L’ostacolo maggiore mi appare questo che può esser superato solo da un ancorare la propria vita saldamente a una società di cui ci si senta parte. Il tema di una revisione dell’istinto di morte,  di cui mi sto  occupando in questo periodo, mi appare in tutta la sua urgenza.

Credo che proprio in questo periodo il Covid con la sua virulenza globale, con l’enormità degli eventi luttuosi, abbia offerto un’occasione alla sensibilità collettiva, che potrebbe dare il polso dell’importanza del ricercare un sempre maggiore equilibrio fra le forze in gioco.

Una ritrovata sensibilità globale inserirebbe certi eventi storico-culturali-economici, visti spesso come processi sociali inevitabili, invece che come esiti “naturali e necessari”, piuttosto come uno dei tanti momenti di passaggio della costruzione di una vicenda umana in cerca di sempre maggiore equilibrio e spazio per ciascuno e per tutti.

 

Spero di non essere uscita troppo dal seminato, ma credo che a un simile  fondamentale dibattito contribuisca  il libro di Schinaia, e che suggerisca anche ulteriore spazio di ricerca sia per una voce fondamentale per la psicoanalisi, cioè  l’inconscio, sia perché permetterebbe di ampliare  le prospettive per una diversa società globalizzata con la  complessità suggerita dall’esperienza psicoanalitica.

 

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