Göettner-Abendroth, Heide (2013).
Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo.
Roma, Venexia.
Vaughan, Genevieve (2005).
Per-donare. Una critica femminista dello scambio.
Roma, Meltemi.
L’incrocio della lettura di questi due testi, Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo e Per-donare, è, per così dire, d’obbligo. Non solo perché le due studiose collaborano strettamente tra loro, nella vita, ma perché Per-donare. Una critica femminista dello scambio, di Genevieve Vaughan, rappresenta il basamento filosofico che conferisce senso ulteriore alla ricerca di Heide Göettner-Abendroth.
La International Academy HAGIA, di cui Heide Göettner-Abendroth, fondatrice dei moderni studi matriarcali e di cui è attualmente è ancora direttrice, nasce in Germania nel 1976, per sua iniziativa. Filosofa, laureata in filosofia della scienza che ha insegnato all’università per dieci anni, ricercatrice insieme ad altre studiose nell’ambito dei Women’s studies, Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo, è l’unico titolo tradotto in Italia dei numerosi volumi che compongono il corpo della sua opera più importante: Das Matriarchat, pubblicato in tre volumi tra il 1988 il 2000.
Nell’introduzione a Le società matriarcali (Göettner-Abendroth, 2013, 9-37), è l’autrice stessa a fornirci una prima chiave per entrare nel suo pensiero e nelle motivazioni profonde che l’hanno spinta ad articolarlo. Il suo intento è quello di dare un fondamento scientifico agli studi sul matriarcato, iniziati da H. L. Morgan nel 1851 e proseguiti da Bachofen nel 1861.
Essendosi resa conto, dice l’autrice, che la totale mancanza di una metodologia nei primi studi antropologici sul tema, ha reso possibile che l’immagine di un’essenza della donna si insinuasse in questi studi, dando luogo a una combinazione di definizioni poco chiare, a un’emotività eccessiva e a pregiudizi, ha sentito il bisogno di lavorare su ciò che il senso comune intende per “matriarcato” e di “decostruirlo”.
Il senso comune intende per matriarcato il dominio delle madri, ma il termine prende corpo invece da archè, origine. La tesi che la studiosa sostiene, interrogando i sistemi sociali antichi che si sono diffusi in India, Persia, Egitto e nelle zone del mediterraneo orientale, fino alla Grecia, ma anche la comunità dei Moso del sud est della Cina che vivono, ancora oggi, a sua detta, pienamente le loro tradizioni matriarcali, è la seguente:
“In questi studi c’è un aspetto che supera per importanza tutti gli altri, ed è l’insegnamento che offrono le società matriarcali, dalle quali possiamo trarre soluzioni per i problemi sociali di oggi e il coraggio per fare i passi politici necessari a stimolare un processo di trasformazione della società patriarcale in una società umana.” (Göettner-Abendroth, 2013, 12)
Questa tesi è stata ampiamente dibattuta nell’ambito di due Convegni Mondiali sugli Studi Matriarcali, il primo tenutosi a Lussemburgo nel 2003 e il secondo nel 2005 presso l’università di stato del Texas, a S. Marco.
Alla luce della profonda crisi ecologica, economica e politica che oggi stiamo vivendo, come avvicinarci al pensiero di Heide Göttner-Abendroth, noi psicoanaliste e psicoanalisti, consapevoli del tramonto della funzione normativa dell’Edipo, e nello stesso tempo alle prese con una sofferenza anaedipica o antiedipica che nel nostro tempo ha preso la forma di un godimento senza legge, che uccide il desiderio? Siamo alla ricerca di un nuovo umanesimo e se il testo di Heide ci seduce, con la sua grande utopia che apre alla speranza di un cambiamento, tuttavia non ci seduce al punto da accettarlo acriticamente.
Come psicoanalista pertanto non posso esimermi dal segnalare che la fede di questa studiosa in un futuro migliore costruito dalle donne si sostiene su alcuni punti che Bion chiamerebbe “assunti di base.” Uno di questi, il più forte, è costituito dall’asserzione (molto datata in verità) che “donna è buono”, “donna è bello” e, soprattutto, che madre e donna, coincidano, quanto al significato e al senso. Il che, osserviamo, non va da sé.
Un altro assunto di base, che consegue dai precedenti, è che il male, tutto il male, nascerebbe dal patriarcato, omologato tout court con il sistema capitalistico .
In definitiva, leggendo questo testo, intuiamo, pur sotto la sua veste di attenta e infaticabile “osservazione” scientifica, un bisogno di credere, una teologia che divinizza il materno in quanto tale. In un altro suo piccolo testo, Il cammino verso una società egualitaria, dove riassume in una breve sintesi la sua opera maggiore Das Matriarchat, Heide Göettner-Abendroth, scrive:
I matriarcati che sono esistiti nella storia e che ancora oggi esistono non sono società a dominio femminile, visione comune ma errata: semmai si tratta di società che lungo i millenni hanno cercato di rimanere in vita senza gerarchie, né dominazioni, né fare uso di giochi di guerra, vale a dire senza costituire eserciti per l’uccisione organizzata. La violenza contro le donne e i bambini è loro virtualmente sconosciuta, laddove le società patriarcali di tutto il mondo ne sono travolte (Göettner-Abendroth, 2010, 12).
Conoscere, per una/o psicoanalista è entrare in relazione con altri soggetti, ma anche con il proprio tempo e con la Storia, e, dopo l’esplorazione freudiana di questo “bisogno di credere “, decisamente focalizzata sul bisogno umano di illusione, esso appare essere oggi, come mostrano Kristeva e Sophie de Mejolla-Mellor, un forte bisogno laico, che va al di là di quello religioso e si può dire sia alla base della democrazia.
Emile Benveniste (1974) nel suo Le Vocabulaire Des Istitutions Indo-europennes, insiste sulla corrispondenza tra credere e credito. Dunque, come dare credito e porsi di fronte a un testo che ci propone l’illusione di un avvenire, utilizzando tutte le strategie della ricerca comparata e strutturale dell’antropologia, con estrema sapienza, ma anche con estrema ingenuità, riproponendo una mitica visione di un mondo felice dove il solo bene verrebbe dal materno, mentre tutto il male sarebbe venuto dall’altro versante, il paterno?
Mentre rileviamo la ricchezza della ricerca, soprattutto per la disamina antropologica delle antiche strutture matriarcali, e in questo senso gli diamo credito, riesce difficile credergli nel senso di quel che promette.
La stessa studiosa che indica le difficoltà che cominciarono a prodursi negli anni ’70, in seguito ad un approccio naif agli studi matriarcali di studiosi non specializzati e alle loro tesi, non sfugge a questo approccio quando ignora la complessità del reale in cui si è trovata ad articolare la propria ricerca.
Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo, è vero. Ma, come acutamente fa notare De Certeau (2006) in Storia e psicoanalisi. Tra scienza e finzione, a proposito delle tecniche di produzione di teorie con una funzione panottica, per loro accade un po’ come in cucina, che ci si trovi a estrarle dal profondo delle pratiche. Ecco come:
Tuttavia come una ricetta di cucina è scandita da azioni da compiere (mescolare, bagnare, infornare, ecc.), così un’operazione teorica può essere riassunta in due tappe: un’estrazione e successivamente un’inversione. Prima la mossa “etnologica” di isolare alcune pratiche nell’intento di procurarsi un”oggetto” scientifico, poi il capovolgimento logico di questo oggetto oscuro in un fulcro luminoso di teoria. (op. cit., 161).
Pertanto ci si avvicina al testo di Genevieve Vaughan (2005), Per-donare. Una Critica Femminista dello Scambio, sostenitrice e finanziatrice di molti studi femminili sul “femminile”, con curiosità ma anche con la consapevolezza che i dispositivi che animano il suo testo non differiscono da quelli della sua amica e collaboratrice, Heide Göettner-Abendroth.
Evocativo di un’economia altra, quella del dono, con parole che toccano, arioso e godibile come scrittura, scrittura appassionata, Per-donare sembra però ignorare l’alta lezione di Derrida, sull’impossibilità etica di un dono che non si lasci misurare da un segreto abissale e insieme generativo dell’umano.
Ancora un’etica della ricerca muove a interrogarsi sui testi di queste due autrici che, nonostante i paralogismi sopra indicati, rendono comunque una testimonianza della creatività e della tenacia femminile. Entrambi i testi possono a tutto titolo essere ascritti nell’ambito degli studi di genere di taglio antropologico filosofico.
Il testo di G. Vaughan, Per-donare, attira l’attenzione in particolare per il suo titolo che chiama in causa un movimento politico-storico di grande rilevanza, su cui manca ancora una riflessione esaustiva: il femminismo. Forse perché è ancora in atto e non morto come molti hanno sentenziato?
Dal versante psicoanalitico, non si può, comunque, vivo o morto che esso sia, non considerare il femminismo un evento prodottosi nell’ambito dell’umano e una pratica, più che una teoria. Da questa pratica sono discese teorie, secondariamente. E’ noto il rapporto controverso tra il femminismo e la psicoanalisi. Soprattutto da parte del primo. Ma anche la psicoanalisi, negli anni settanta, dava sui movimenti femministi nati e nascenti, giudizi molto duri non scientifici, e altrettanto ideologici.
La psicoanalisi fu rubricata, dal femminismo in toto, all’interno del discorso “patriarcale ” e molto avversata, nonostante i gruppi spontanei di autocoscienza, che andavano formandosi intorno agli anni ’60 in tutto il mondo Occidentale, ne riprendessero in parte gli spunti specifici e le cadenze: l’indagine sul corpo e sulla sessualità, il partire da sé, la famiglia.
Molte psicoanaliste italiane e non, da tempo, si dedicano ad un paziente lavoro di ricostruzione del pensiero femminile nel loro ambito specifico, la psicoanalisi, contemporaneamente decostruendo il fallocentrismo di cui, innegabilmente, il discorso psicoanalitico ha fatto un suo perno, per lo meno fino all’avvento degli studi delle psicoanaliste, appunto, su questo nodo.
Questi studi tengono conto della complessità delle società attuali, da cui non si può, richiamandosi di nuovo a un’etica della ricerca, prescindere in alcun modo L’utopia del per-dono ci seduce innegabilmente, tuttavia la consapevolezza che la sofferenza umana è patrimonio doloroso e pesante di entrambi i generi ci obbliga, come psicoanaliste /i, a indagare i diversi modi in cui queste sofferenze si articolano, senza pregiudizi e soprattutto senza condanne moralistiche, pur mantenendo l’inevitabile stupore e a volte, sentimento di orrore, rispetto al “male senza perché”, che incontriamo sia nella nostra stanza d’analisi sia fuori, tanto nelle donne che negli uomini.
Bibliografia
Benveniste Emile. (1974). Le Vocabulaire Des Istitutions Indo-europennes. París, Les Éditions de Minut.
De Certau, Michel. (2006). Storia e psicoanalisi. Tra scienza e finzione. Torino, Bollati Boringhieri.
Göettner-Abendroth, Heide (1988). Das Matriarchat I. Stuttgart, Verlag Kohlhammer.
Göettner-Abendroth, Heide (1991). Das Matriarchat II,1. Stuttgart, Verlag Kohlhammer.
Göettner-Abendroth, Heide (2000). Das Matriarchat II,2. Stuttgart, Verlag Kohlhammer.
Göettner-Abendroth, Heide. (2013). Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo. Roma, Venexia.
Vaughan, Genevieve (2005). Per-donare. Una critica femminista dello scambio. Roma, Meltemi.
Laura Montani
Novembre 2014