Cultura e Società

Le rose di Persia. Nove racconti di donne iraniane

19/04/16
Le rose di Persia. Nove racconti di donne iraniane

Anna  Vanzan (a cura di)  2015

Le rose di Persia. Nove racconti di donne iraniane

Roma, Edizioni Lavoro

«Voglia Dio che diventi madre di dieci figlie, che sono sempre poche,
mentre un figlio maschio da solo è troppo» (Nahid Tabataba’i, Zarringol, 2015).

In Italia la conoscenza della letteratura dell’Oriente islamico è sempre stata circoscritta ad una cerchia di lettori di competenza specialistica, senza coinvolgere un pubblico ampio e generalista e questo anche nel caso di Paesi con tradizioni culturali storicamente molto rilevanti, come l’antica Persia (l’attuale Iran).  Ancora più limitata in questo campo è la conoscenza delle autrici femminili, anche se è una donna – la mitica Shahrazād – la narratrice di uno dei corpus favolistici più famosi e celebrati di tutti i tempi, Le Mille e Una Notte.

Le tragiche vicende degli ultimi decenni, con gli echi di annunciati “scontri di civiltà”,hanno se possibile approfondito questo distacco, colorandolo di diffidenza e alimentando lo stereotipo della sostanziale subalternità delle scritture al femminile nel mondo musulmano.

È di questi mesi la riapertura dell’Iran al dialogo con l’Occidente, in seguito ai noti accordi sul programma nucleare.  La nazione persiana ha avuto una straordinaria influenza sulla storia della civiltà, ma proprio la rivoluzione khomeinista del 1979 ha conferito all’Iran una sorta di primogenitura nel moderno radicalismo politico-religioso, suscitando l’idea di un misterioso e minaccioso “mondo a parte”, un mondo essenzialmente maschile.

La raccolta Le rose di Persia (Edizioni Lavoro, Roma, 2015) – curata e tradotta da Anna Vanzan – apre uno squarcio inusitato su una realtà che è invece ricchissima e vitale, grazie alla polifonia di voci femminili illuminate da un lungo percorso di ricerca, relazioni e contatti originali che la curatrice, docente universitaria e nota iranista e islamologa, sviluppa da molto tempo, grazie a una conoscenza diretta e appassionata di quell’affascinante contrada orientale.

Il volume raccoglie nove racconti di altrettante autrici iraniane, tutte contemporanee, la prima delle quali (Simin Dāneshvar, scomparsa nel 2012) è stata la capostipite riconosciuta della moderna letteratura femminile persiana, dove la dialettica tra impegno e arte si allarga a una prospettiva più marcatamente femminista, ovviamente diversa e peculiare rispetto a quella europea. Simin Dāneshvar, docente di estetica all’università di Teheran, è l’autrice del romanzo storico Savushun (1969), ambientato in Iran durante la seconda guerra mondiale. Quest’opera, conosciuta specialmente col titolo inglese A Persian Requiem, ricevette uno straordinario riscontro internazionale e venne tradotta in oltre trenta lingue. Ma è caratteristica di tutte le attuali scrittrici di maggior talento di trovare nelle loro creazioni «il giusto equilibrio tra impegno e arte creando una nuova letteratura dove la sensibilità femminile è più marcatamente femminista, intendendo con questo termine la coscienza, che accomuna tutte le artiste, della necessità di giungere alla parità dei diritti per riformare la società intera» (dall’Introduzione di Anna Vanzan, 2015, p. VIII) .

Tornando alla selezione Le Rose di Persia, le trame delle narrazioni spaziano attraverso le tante sfaccettature della complessa realtà iraniana moderna: squarci di vita borghese, immagini dai contesti arcaici e superstiziosi di villaggi rurali, dispersi nelle sconfinate lande prossime al Golfo Persico, memorie della minoranza cristiana di genesi armena, reminescenze della terribile guerra con l’Iraq, aspetti di quotidianità contemporanea.

L’attenzione per le questioni di genere e per l’esigenza di raggiungere la parità fra i sessi e l’emancipazione delle donne in una società ancora fortemente orientata in senso patriarcale attraversano sempre le novelle, ma per lo più “obliquamente”, con sfumata ma graffiante ironia, senza retorica o didascalismi programmatici.  Gli stessi personaggi, tratteggiati senza enfasi, sono sfaccettati e non mancano figure femminili negative o francamente retrive. Talvolta la marginalità o addirittura l’invisibilità delle protagoniste nei contesti in cui vivono è metaforicamente resa con espedienti narrativi di “realismo magico”, tecnica che pare assai comune fra le scrittrici iraniane.

Il quadro d’insieme che ne esce è quello di una realtà composita, ricca di contraddizioni ma evolutiva, distante dalla nostra ma non priva di sorprendenti affinità, comunque declinata senza mai scadere nelle trappole dell’esotismo di maniera, qui accuratamente evitato anche grazie alle rigorose scelte della traduttrice.

Rita Corsa

Aprile 2016

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