Le jour où mon robot m’aimera
Serge Tisseron (2015)
Le jour où mon robot m’aimera.
Vers l’empathie artificielle
Albin Michel, Paris, pp. 199
Il poliedrico autore Serge Tisseron ( psichiatra, psicanalista e docente all’Università 7 di Paris-Diderot) presenta uno dei suoi ultimi lavori nel campo delle nuove tecnologie e del rapporto tra psicoanalisi e intelligenza artificiale. Considerato un esperto in materia, Tisseron ha dapprima approfondito la “sottocultura” dei murales, dei fumetti e più in generale le relazioni che l’uomo stabilisce con le diverse forme di immagini. Nel suo libro del 1995 Psychanalyse de l’image, des premiers traits au virtuel egli sviluppa una teoria della ricezione delle immagini; tra i suoi temi di interesse citiamo anche la vergogna di cui esplora il versante sociale (La honte, psychanalyse d’un lien social, 1992) e le dinamiche psicologiche relative ai ‘segreti di famiglia’(Les secrets de familles: “Que sais-je?”, 2011). Alcune delle sue opere sono tradotte in italiano.
Fatta eccezione per la cucina e per l’uso degli oggetti-robotici che ormai popolano la nostra quotidianità, il tema del robot antropomorfo o androide suscita un misto di fascinazione e di inquietudine. Per la prima volta nella storia dell’umanità, il robot soddisfa simultaneamente tre prerogative umane: la comunicazione con l’altro, il rapporto con gli oggetti a cui l’uomo affida sé stesso e la propria sicurezza e la relazione con le immagini create in connessione con gli affetti e il proprio mondo interno. In effetti si può interagire col robot attraverso lo sguardo e la voce. Inoltre, non si deve dimenticare che il robot rimane pur sempre un oggetto sottoposto al nostro controllo e ai limiti di chi lo ha programmato, a livello delle immagini, infine, possiamo conferire al robot l’aspetto che più ci aggrada.
Prima dello sviluppo delle tecnologie numeriche questi tre piani rimanevano distinti. L’uomo può interagire con i suoi simili o con gli animali senza tuttavia riuscire ad imporgli, a suo piacimento, qualsiasi ruolo od aspetto. E’ altresì possibile delegare funzioni fisiche o psichiche a certi oggetti sottoposti al controllo umano ma non si può comunicare con essi esattamente come accade con gli esseri umani. In ultima istanza, per quanto concerne le immagini, esse rimangono prigioniere del loro supporto materico rappresentato dalla tela, dal muro o dallo schermo.
La nostra cultura guarda con diffidenza alcune delle straordinarie conquiste raggiunte dalla rivoluzione tecnologica numerica come quella rappresentata dai robot androidi; nei paesi orientali quale il Giappone dove il culto degli oggetti e il concetto di identità assumono sfumature diverse rispetto alla nostra consuetudine, i robot sono già una realtà assai diffusa. E se ci chiediamo quale sia l’interesse dello psicoanalista per tutto ciò, mi sembra che una delle risposte ruoti attorno all’interrogativo di fondo che permea le riflessioni di Tisseron: “Perché desideriamo i robot e soprattutto con quali intenzioni li costruiamo?”
Un aspetto da rilevare sul piano psicoanalitico è quello della relazione. Noi pensiamo di utilizzare il robot come oggetto ed utensile ma non riflettiamo sul rapporto che inevitabilmente si crea con esso, perché l’uomo non può esimersi dallo stabilire una relazione con l’altro, sia che si tratti di un essere umano o di un oggetto. Un militare statunitense alle prese col proprio ‘robot sminatore’( i cosiddetti packbots o EOD-Explosive Ordnance Disposal- )si dispera come se avesse perso un commilitone poiché gli otto arti del ‘suo’ robot si sono disintegrati a contatto con le mine…Alcuni veterani USA organizzano un funerale in pompa magna con 21 tir per onorare le loro macchine-robot distrutte nel corso delle operazioni militari!
I funzionari dell’azienda militare USA, pur sapendo che hanno a che fare con i robot non possono impedirsi di empatizzare con loro. A nulla sono valse le ‘soluzioni’ prospettate dal ministero della difesa come quella di istruire meglio i militari riguardo alla programmazione delle macchine, accrescendo la loro conoscenza informatica: al cuore non si comanda! Questi e altri esempi ci illustrano come nell’interazione uomo-robot sia impossibile sottrarsi alla forza della relazione. Empatia, identificazione, attaccamento e reciprocità sono tra i temi affrontati da Tisseron nel suo libro.
La confusione tra uomo-macchina, confusione ampiamente sfruttata dai fabbricatori di androidi, rappresenta lo sfondo in cui si sviluppa il concetto di empatia artificiale. L’autore ricorda come l’empatia sia una competenza complessa che accompagna l’individuo nel suo sviluppo attraverso stadi progressivi; dall’empatia emotiva ( “vedo che sei triste”) a quella cognitiva (“capisco la tua tristezza”) al cambiamento di prospettiva emotiva o fondamento dell’empatia morale ( “al posto tuo anche io sarei triste”). Mentre i primi due livelli sono già stati raggiunti dai programmatori di androidi, il piano dell’empatia morale che si intreccia con la reciprocità è ancora un obiettivo di là da raggiungere.
Nel 2014 la Softbank, azienda giapponese leader mondiale nella robotica umanoide, crea Pepper, “ il robot che ha un cuore” e cioè un robot in grado di simulare gli affetti. Il ruolo delle emozioni o meglio della simulazione delle emozioni in un robot è quello di sintonizzarsi con le emozioni umane realizzando ciò che Softbank chiama ‘l’empatia uomo-macchina’. Il progetto Feelix, acronimo di feel , interactive, express, si propone di realizzare un robot in grado di decodificare le emozioni umane… “Emotional robot has empathy” recita la pubblicità di questi androidi!
La lettura del libro di Tisseron ci proietta in un mondo di fantascienza eppure, malgrado la scrittura chiara e avvincente, non siamo di fronte ad un romanzo di finzione. La cultura dell’autore e la precisione dei dati proposti ci consentono di toccare con mano (rabbrividendo!) la sconcertante attualità di uno scenario non più solo futuristico.
Come si avvicina il robot che ha un cuore alle caratteristiche umane? Innanzitutto è antropomorfo, un dato importante che racchiude pregi ed insidie. Pregi, quando il robot che occupa lo stesso spazio fisico dell’uomo è in grado di sincronizzarsi meglio con lui per eseguire azioni simili a quelle umane (guidare una macchina, assistere anziani ecc.) e difetti perché l’antropomorfismo, se troppo perfezionato, genera inquietudine. E’ la teoria dell’uncanny valley’ o ‘la valle del perturbante’ sostenuta negli anni ‘70 dallo studioso di robotica Masahiro Mori ed espressa attraverso un grafico di curve ascendenti e discendenti. Secondo l’ ipotesi di Mori, la curva ascendente indica una sensazione di familiarità e di gradevolezza per l’uomo che si confronta ad un robot molto simile alla figura umana. Ad un certo punto però la curva ridiscende poiché l’eccessiva somiglianza comincia a generare nell’osservatore disagio e repulsione (zona perturbante), come una sorta di effetto ‘zombie’. Infine la curva di gradimento risale quando il campione umano è sottoposto al confronto con protesi di arti molto sofisticate (quindi solo con alcune parti del corpo).
Si tratta di una teoria che trova sostenitori e detrattori, ma noi come psicoanalisti non possiamo non cogliere tutta la problematicità insita nel dilemma similitudine/alterità, nella tensione verso i nostri simili e nella ineludibile necessità di differenziarsi per divenire soggetti…
Tra i numerosi spunti offerti dalla lettura di questo libro vorrei rilevare ancora due aspetti che mi sembrano significativi: l’impatto della logica numerica sulla nostra abituale modalità di pensiero e il binomio simulazione/dissimulazione. Il mondo cibernetico ha rivoluzionato le categorie di identità, tempo, spazio e relazioni sociali e ci impone nuove forme di pensiero. Dobbiamo familiarizzarci con una concettualizzazione paradossale, uscire cioè dalla categoria degli opposti che si escludono ed accogliere proposizioni contrastanti. Tisseron fa riferimento al Dissoi Logoi dell’antilogica sofistica che accoglie ragionamenti duplici o discorsi antilogici; non si tratterebbe più di pensare nei termini di “questo o quello” ma di “questo e quello”. Qualche esempio: un militare che dirige un drone nelle operazioni di guerra si trova nel campo di battaglia ma nello stesso tempo agisce a distanza. Il robot è una creatura intelligente ma anche una macchina da distruggere per evitare che cada in mani nemiche. Ed infine una persona anziana accudita da un robot e i cui dati afferiscono ad un sistema di telesorveglianza, verrà protetta sul piano della salute ma minacciata su quello della privacy. Per quanto concerne il tema della simulazione, osserviamo come il confronto con la realtà sia fluido; certi computer riproducono i fenomeni con straordinaria esattezza. Il problema è che dietro la simulazione si nasconde la dissimulazione o meglio il diniego della dissimulazione che avvolge di oblio la natura originaria del robot e ci proietta in un paradosso esistenziale: da un lato realizziamo il desiderio onnipotente di costruire una macchina che sia la copia ideale dell’essere umano ( I progressi nel campo della robotica ad esempio trovano applicazione nel mercato ‘erotico-sentimentale’ soddisfacendo così il desiderio umano di fabbricare un partner prevedibile e perfetto), d’altro canto dimentichiamo di essere di fronte ad un macchina da cui pretendiamo una reciprocità tutta umana. La reciprocità implica dei rischi poiché se proiettiamo sui robot il nostro desiderio di dominio e di controllo rischiamo di attribuire ai robot lo stesso desiderio nei nostri confronti; eccoci allora rapidamente catapultati in uno scenario persecutorio dove temiamo di essere manipolati dalle nostre stesse ‘creature’. Dovremo convivere con l’idea di augurarci l’autonomia dei robot e nel contempo di averne paura. Sullo sfondo delle nuove tecnologie nasce una corrente filosofica e un sistema di ricerca battezzato come Transumanesimo dall’inventore e saggista americano Raymond Kurzweil. Si tratta di un movimento che divide fortemente le opinioni: ipotesi visionarie si mescolano ad intuizioni geniali mentre il futuro si colora di un inquietante totalitarismo cibernetico. Nel mondo orientale invece, come abbiamo accennato, i robot paiono convivere pacificamente con gli umani. A questo proposito è curioso notare come una pagina di Repubblica del 22 novembre 2016 dal titolo “Il mio gemello androide. Sta nascendo una nuova specie e non ha senso averne paura” sia interamente dedicata allo scienziato giapponese Hiroshi Ishiguro e alla presentazione della sua ‘creatura’ Geminoid, una sorta di alter ego sintetico. Lo scienziato invita ad accogliere senza timori i progressi della robotica, in effetti il fondo di animismo del Giappone considera i robot costituiti da silicio e provvisti di architetture cognitive simili all’uomo, come altre forme di esistenza. E’ importante prendere atto di approcci così diversi in questo campo, tra il pensiero occidentale e quello orientale; noi non possiamo che limitarci ad punto di vista psicoanalitico e ricordare con Tisseron come la relazione coi robot metta in luce due desideri contrapposti, quello di dimenticare che anche il robot più sofisticato è nella sua essenza una macchina e nel contempo la necessità di ricordare che è solo una macchina. Riguardo agli sviluppi futuri nel campo della robotica Tisseron conclude il suo libro evocando la speranza che si propenda per l’avvento di un robot umanizzato piuttosto che di un robot umanoide. Ad un robot a cui infatti si possa chiedere: “ permettimi di conoscermi meglio, di comprendere il mio passato e la mia storia (…) e di governare meglio il mio futuro” anziché pretendere: “ Obbediscimi sempre in tutto, sostituiscimi nelle azioni che rinuncio a compiere e anticipa i miei desideri compresi quelli più reconditi. E soprattutto… dimostrami sempre il tuo amore per me!”
Chiara Rosso
Gennaio 2017