Cultura e Società

“La valle dei fiori” di N. Korneliussen Recensione di P. Moressa

4/09/23
"La valle dei fiori" di N. Korneliussen Recensione di P. Moressa

La valle dei fiori

di Niviaq Korneliussen (Iperborea, 2023)

Recensione di Pierluigi Moressa

“Il corvo vegliò su di me finché non giunse la luce del giorno. Non sapeva che non era dall’oscurità che avrebbe dovuto proteggermi, ma dalla luce”.

Al termine del breve incipit che apre il romanzo (edito in Danimarca nel 2020) si svela il tema che accompagnerà l’intera narrazione. “La valle dei fiori” ci porta a contatto con la realtà ai più sconosciuta della Groenlandia, ultimo lembo d’Europa. E’ l’angoscia a dominare il testo: ogni capitolo viene introdotto da una breve epigrafe che racconta di un suicidio.

La Groenlandia è il paese col maggior numero di suicidi al mondo, soprattutto giovani. La loro sepoltura è collocata nella valle dei fiori, dove una infinita sequenza di croci e di fiori di plastica fa memoria della loro breve esistenza a fronte di una società che non solo non è stata in grado di prendersi cura della loro sofferenza, ma neppure riesce a conservarne il ricordo. Dei suicidi in Groenlandia non si parla: l’elaborazione del lutto e i necessari processi trasformativi non risultano possibili. Neppure l’assistenza pubblica è in grado, per chiara ammissione, di offrire un supporto psicologico a chi si rivolga al Servizio sanitario. L’intera società appare bloccata in una confusa acquisizione delle proprie radici storiche e angosciata dal confronto con la società danese, rappresentante di uno stile moderno ed evoluto. Lo stigma del groenlandese accompagna i personaggi del racconto, mentre la reazione alle trasformazioni del tempo coloniale (perdurato dal 1721 al 1953) appare fonte di assetti identitari immaturi e provvisori. Territorio appartenente alla corona danese, la Groenlandia viene rappresentata come uno spazio immenso e misterioso, segnato da differenze linguistiche tra idioma orientale e occidentale, capaci di rendere quasi nulla la comprensione reciproca tra gli abitanti residenti nelle diverse aree. Il sentimento spietato di una terra, dove “chi cade viene deriso” rimanda a forme ancestrali di vita e di ostilità entro un gruppo sociale che ancora si ciba di carne di renna, di foca e di balena, ma non riesce a trovare forme collettive di solidarietà. Ampi riflessi delle antiche scissioni emotive si rintracciano entro le famiglie ove i rapporti sono difficili e frammentati senza la possibilità di un’accoglienza matura dei valori soggettivi. Riportata al termine del libro, l’allocuzione che l’autrice ha rivolto alle autorità e al pubblico (in occasione del premio attribuitole dal Consiglio nordico) dichiara apertamente un’impotenza e un intento: “ho provato a scrivere un discorso indirizzato ai leader del mio paese, ma è come parlare con un muro … Quindi ho deciso di dedicare questo discorso a coloro per cui scrivo. Ai bambini e ai giovani che sono a casa, voi siete il motivo per cui ho vinto questo premio […] A voi che vivete nell’angoscia perché i vostri amici scompaiono, anche se la vostra vita è appena cominciata … Abbiamo un sistema ripugnante, che vi costringe a scegliere tra la vita e la morte … Quindi mi scuso da parte di tutti gli adulti responsabili per voi … Può darsi che nemmeno le persone più influenti e potenti abbiano la minima idea di cosa fare, e che distolgano lo sguardo nella speranza che la cosa si risolva da sé …” (pagg. 297- 298). La denuncia rivolta a un sistema obsoleto e fallimentare coincide con lo stile della narrazione.

 La storia è quella della giovane protagonista, lasciata volutamente anonima (così come anonimi restano i personaggi sepolti nella valle), una ragazza in conflitto col proprio corpo appesantito, che, per quanto amata dalla propria compagna, non trae fonte di soddisfazione e di piacere dalla vita che conduce a Nuuk, la capitale della Groenlandia. Proiettata, pur con tormentosi conflitti interiori, verso l’esperienza universitaria in Danimarca, a Aarhus, non riuscirà a concretizzare il proposito di realizzare il progetto di studio. Una vita ai margini è la sua, segnata dal costante riproporsi di vicende legate alla morte, all’abbandono, alla rinuncia. La valle dei fiori, da lei scoperta durante il soggiorno in una parte impervia del territorio, diviene miraggio e memoria. Le appare, infatti, uno spazio di pace e allo stesso tempo le mostra l’anello di congiunzione con “aanaa”, la nonna morta qualche tempo prima: unica presenza affettuosa della famiglia. Apprendiamo alcuni termini groenlandesi, mentre le citazioni anglofone sono ricorrenti, come martellanti intrusioni della società globalizzata di cui, anche nelle solitudini artiche, non è possibile fare a meno. Il sole è l’angoscioso accompagnatore dei suicidi, non la lunga notte polare, perché la luce scava e indaga, intrude e svela, mentre la tenebra protegge. Così il 21 giugno, solstizio d’estate e insieme compleanno della protagonista, diviene una data significativa e ambivalente. L’amore che ella condivide con Maliina appare una buona fonte di ristoro narcisistico, ma non basterà.

Tema centrale del romanzo è l’assenza, stato destinato a condizionare il risorgere continuo della pulsione di morte con la spinta a innescare forme ineluttabili di distruttività. Il soggiorno a Aarhus si rivelerà complicato tanto da rappresentare un motivo di ulteriore sofferenza. Colpisce come la “Casa dei Groenlandesi” (luogo di soggiorno per gli immigrati) sorga accanto alla residenza estiva della regina: apposizione incapace di offrire un’integrazione. Di fatto, le caratteristiche somatiche (pelle scura, occhi a mandorla) e comportamentali (atti impulsivi, modi di dire diretti e penetranti) finiscono per far sentire il groenlandese un estraneo nel continente. La difficile convivenza fra le culture spinge la protagonista a guardare al Canada come a un paese dal clima sociale più accogliente, ma è un miraggio irraggiungibile. La narrazione possiede l’efficacia di ripetute evocazioni sensoriali molto forti, sorta di ripristino di una condizione primaria degli affetti e del piacere. Così anche la descrizione dei rapporti sessuali si fonda soprattutto sull’intensità degli umori intimi e degli intrecci carnali, efficaci a evocare più uno stato di fusionalità precoce che una tessitura di sentimenti. Il dramma della protagonista diviene incalzante fino alla sospensione con cui il testo si conclude. La traccia interiore lasciata dal romanzo è l’intensità di un mondo fascinoso e terribile unita al sentimento struggente della mancanza e dell’assenza lacerante, capace di suscitare nel lettore il senso di una partecipazione viscerale. In questo, l’intento dell’autrice è realizzato: rendere il dramma della propria terra una fonte di pensieri e di affetti, fare rivivere la memoria di tanti scomparsi, unica riparazione, unico risarcimento possibile alle giovani vite sepolte nella valle dei fiori.    

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