“Il lato oscuro del cuore”
A cura di Claudia Spadazzi
C. S. La fotografia prescelta per la copertina de “Il lato oscuro del cuore” è opera di una giovane artista russa, Anka Zhuravleva. Quest’artista predilige soggetti femminili e spesso le sue opere evocano ambientazioni tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo breve. Lo sguardo della fanciulla ritratta fa pensare alla nota fotografia di Lady Diana, con lo “sguardo in tralice” che Christopher Bollas cita nel suo libro “Isteria”. E’ in quello sguardo il motivo della scelta?
C. A. In realtà la mia preferenza sarebbe stata per il dettaglio della paziente isterica della “Leçon clinique à la Salpetrière” , il dipinto di André Brouillet del 1887. La casa editrice Einaudi ha preferito però una immagine meno “antiquata”, e ha proposto la fotografia della Zhuravleva di cui lo “sguardo in tralice”, come si diceva una volta, risulta in effetti evocativo, e ambiguo, così come è ambiguo il personaggio di Wanda.
C. S. Il romanzo ha un piano di lettura anche crudamente noir, che si interseca con gli altri in modo avvincente per il lettore. Questo coté noir sembra evidenziare in due personaggi, Deborah e Wanda, un tendenza masochistica di sottomissione alla violenza, che è tristemente frequente nella società, e di cui i fatti di cronaca ci danno contezza quasi quotidianamente. Il masochismo morale, cioè l’atteggiamento di piacere nella sottomissione ( non soltanto sessuale, ma psichica ) è un argomento di cui si parla poco pubblicamente. Il tema del corpo della donna come oggetto di sopraffazione da parte dell’uomo è presente nel tuo romanzo come un filo conduttore…da una parte lo sguardo inevitabilmente maschile dei pionieri degli studiosi della malattia mentale, Binet, Charcot, Morel, Freud, Jung; dall’altra percosse, prostituzione, stupri. In fondo, potremmo dire che il tuo romanzo parte da una riflessione sull’isteria e arriva a trattare proprio il vasto tema del masochismo femminile?
C. A. Il professor Modiano, che è un personaggio di fantasia del romanzo, spiega molto bene che il piacere del sadico non è tanto l’infliggere il dolore, quanto il piacere della sottomissione dell’altro. Al versante sadico corrisponde la matrice passiva dell’accettazione della sopraffazione. Vittorio Lingiardi, che ha recensito il romanzo sul Sole 24 ore, ha messo bene in evidenza come quest’oscurità nel cuore di Wanda non sia un’applicazione del detto latino “Vis grata puellae” , che suonerebbe oggi maschilista, ma che in ogni persona si possono celare degli anfratti, degli aspetti appunto oscuri, in cui si nasconde questo cedimento alla sopraffazione, alla violenza, addirittura una fascinazione… E questo segnatamente nelle donne, che sono ancora la parte debole della società.
C. S. Un modo di funzionamento psichico di tipo isterico non è prerogativa soltanto delle donne, ma caratterizza anche molti soggetti di genere maschile. Pensi che tale modo di funzionamento sia in aumento nella società contemporanea?
C. A. L’isteria è nata come sindrome squisitamente femminile, sin dal nome, poichè hysteros significa utero.. Nel Medioevo, d’altra parte, le isteriche erano le indemoniate, e come tali venivano perseguitate… Ma l’isteria è una sindrome mutevole che si adagia sui costumi dei tempi. Oggi come tale non esiste più, ha altri nomi, e non è più prerogativa solo femminile…
C. S. Da dove nasce l’interesse per l’isteria della protagonista, la giovane Clara?
C. A. Come insegna Pirandello, i personaggi condividono gli interessi dei loro Autori, e Clara riprende l’interesse del padre (cioè mio)…non soltanto per l’isteria, ma per quello straordinario momento storico, tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in cui i medici si sono interrogati sistemicamente su come decifrare il groviglio della mente umana….
C. S. Con il tuo consueto garbo nel romanzo porgi al lettore degli intarsi di grande letteratura : non soltanto Freud (che ottenne tra l’altro il premio Goethe per la letteratura), ma Schnitzler, Stendhal… E anche del rapporto, nella seconda metà dell’800, tra alcuni scrittori e la malattia mentale, come ad esempio Binet, autore di testi per il Grand Guignol e al tempo stesso direttore del laboratorio di Psicologia della Sorbona. Qual’è il motivo che ti ha spinto a tornare al genere letterario del romanzo dopo tanto giornalismo e saggistica?
C. A. La libertà. In realtà ho sempre sentito profondamente la fascinazione per la follia degli Autori del Grand Guignol, tant’è che scrissi un testo sul Grand Guignol, l’unico in italiano, pubblicato tra l’altro proprio da Einaudi, ormai trenta anni fà. Anche Schnitzler, che era medico ed ebreo, era affascinato dalla malattia mentale…la follia allucinatoria è anche molto presente nella narrativa ebraica, basti pensare al mito del Golem o a certi miti cabalistici… quindi avrei desiderato scrivere un saggio, ma mi sono poi reso conto che era un proposito non adatto a me, esistono fior di saggi su questo argomento, mi sono sentito inadeguato…E allora ho preferito la libertà del narratore, che può stemperare in una cornice fantastica certi riferimenti storici reali.
C. S. Nel tuo libro “Il disagio della libertà”, del 2012, cerchi di spiegare le ragioni storiche e culturali del “perché agli italiani piace avere un padrone”, e citi il cinquecentesco saggio di Etienne de La Boétie Discorso sulla servitù volontaria. Pensi che la psicoanalisi possa dare un contributo nel tentativo di spiegare il malessere attuale del Paese, magari in termini masochistici, o di pulsione di morte?
C. A. So bene che l’ultimo Freud si è occupato molto di dinamiche psichiche e società, tuttavia vedo la psicoanalisi più come un tentativo di terapia individuale
C. S. L’ “oscurità” del titolo del romanzo sembra alludere sia alla complessità dei moti pulsionali che alla funzione dei meccanismi difensivi della rimozione. Cosa pensi di un certo tipo di psichiatria e di alcune forme di psicoterapia che sempre più si allontanano dalla concezione dell’inconscio, nella cura ma anche nella comprensione dell’uomo e della società?
C. A. Non sono in grado di dare una risposta tecnica alla domanda, tuttavia credo qualunque cosa si pensi della psicoanalisi freudiana, e poi delle altre sue derivazioni, da Jung a Lacan, una cosa resta certa: la codificazione dell’inconscio è una realtà innegabile. In ognuno di noi si nasconde una parte di cui non abbiamo il controllo, ed è una realtà di cui non si può non tenere conto.
C. S. Freud ha descritto a più riprese il concetto di ambivalenza dei moti affettivi, ad esempio in Totem e Tabù e in altri scritti. Si potrebbe dire che l’ambivalenza caratterizzi un pò anche il tuo personale atteggiamento verso la psicoanalisi?
C. A. In un certo senso si. Però non penso alla psicoanalisi come a una scienza, sono legato un concetto “duro” di scienza, legato alla verificabilità e alla ripetibilità dei fenomeni. Penso però alla psicoanalisi come a una terapia, un ausilio importante alla sofferenza, che a volte funziona, qualche volta no, ma questo fà parte dell’imprevedibilità dell’umano.