Cultura e Società

“Il collezionista di specchi” di S. Niffoi. Recensione di A. Lombardozzi

16/07/24
di A. Lombardozzi

Parole chiave: Realtà Psichica, Psicoanalisi, Vita, Morte

Il collezionista di specchi di Salvatore Niffoi

La Nave di Teseo, Milano, 2024

Recensione di A.Lombardozzi

L’ultimo romanzo di Salvatore Niffoi, autore sardo di grande potenza narrativa, è fonte di ispirazione sul piano psicoanalitico da molti punti di vista. La Barbagia che descrive con il suo linguaggio è espressione di una località dialettale e della spinta globale verso forme di vita che ci parlano dell’uomo nelle sue diverse declinazioni: amore, sesso, violenza, solidarietà, legami famigliari, religione, magia, povertà. 

La quotidianità della vita si unisce sempre alla straordinarietà che pone l’individuo e il gruppo al limite di una condizione critica di sopravvivenza. Niffoi racconta sofisticate forme di vita con grande talento narrativo mettendo in rilievo, allo stesso tempo, l’umanità e la disumanità delle condizioni di esistenza nella cultura barbaricina.

Le narrazioni costituiscono contenitori culturali e psichici, che consentono alla miriade di personaggi che popolano il suo mondo di ritrovare un posto nella storia, che non li confini nell’arcaicità dei codici barbaricini, ma che, piuttosto, consentano loro di esprimere la complessità di persone e delle loro vite, sempre esposte a continui cambiamenti e ad eventi traumatici ed evolutivi, in una dinamica costante di doloroso e mai pacifico confronto tra tradizione e modernità.

Ne ‘Il collezionista degli specchi’ tutti questi temi sono presenti e coesistono tanti piccoli o più grandi mondi: personaggi, guaritori, prostitute, uomini duri e coriacei, strani esseri, come un bambino pesce che nasce come se fosse un emissario del demonio, pastori, minatori, musicisti che trasformano una stranezza in una opportunità creativa.

Questo mondo è una Cultura e un terreno su cui si costruisce la storia di Bertino Muscari, la sua paura degli specchi e la relazione molto contraddittoria con la possibilità di fare esperienza del rispecchiamento. Il tema inziale si presenta in occasione della morte del nonno Boelle Muscari che, nel momento cruciale del passaggio, lo convoca per confessargli la propria paura degli specchi, rivelandogli allo stesso tempo che, però, l’unico modo per affrontare la morte è potere sopportare la propria immagine allo specchio: “La morte si sconfigge solo guardandola in faccia”. La ricerca di sé e della propria immagine ci pone perciò di conseguenza di fronte alla morte. Allora il messaggio è che la vita non può essere vissuta con pienezza senza trovare i modi di ‘negoziare’ con la morte nella sua ineluttabilità. Sappiamo infatti, e il racconto e le storie che Niffoi ci tramanda lo testimoniano, che è sempre necessario trovare dei modi per far fronte ad un’angoscia che è difficile contenere ed a volte anche individuare.

La morte si presenta, infatti, come fatto naturale e anche culturale. Nel racconto Bertino si trova a dover gestire il testimone che il nonno gli ha lasciato. Una specie di segreto per poter vivere. Per Bertino vivere è una condizione di orfano, che deve rincorrere la realtà che gli sfugge come se la vita che vive fosse sempre un passo avanti a lui. E vivere in questa rincorsa verso la morte che lo precede lo costringe a cercare una strategia. Lui, che come il nonno è terrorizzato dagli specchi, si appropria ogni volta che può di nuovi specchi collezionandoli.

Il racconto allora prende la forma della vita e della vitalità che è la condizione di poter esistere pienamente. Il gruppo culturale che circonda Bertino può sostenerlo, però entro alcuni limiti precisi e ciò accade attraverso il rapporto con Candidu Pilisu, uno zio padre sostitutivo che lo inizia al lavoro con la pietra e lo porta ad essere nel tempo uno scultore.

Gli incontri di Bertino sono scanditi dalla sua capacità di accarezzare la pietra e nel darle forma crea oggetti che restano, mentre i rapporti sembrano sfuggirgli e non trovare una loro costanza. Bertino nella cultura barbaricina, che si presenta in una complessità non scontata, trova una forma di appartenenza che però, come ogni cultura e realtà psichica che le corrisponde, avviene nel segno dell’incompletezza. 

Per questo motivo Bertino, ogni volta che può, osserva la sua immagine in uno specchio nuovo e diverso e trova diverse immagini di Sé in una poliedricità caleidoscopica, che lo pone di fronte alla fragilità di un Sé, che tende sempre a cercare una pienezza dell’esistenza che non si realizza mai. Sembra andarci vicino quando l’amore per donne improbabili lo incalza ispirando la sua creatività fino a creare l’immagine della donna idealizzata, una statua che conserva come un’icona.

L’epilogo del racconto è un ritorno nella stanza del nonno come compimento di un destino annunciato. Una stanza che è una fantasia realizzata, sovrastata da uno specchio e contenente una raccolta di oggetti che alludono alle donne non avute e desiderate, alle vite non vissute se non nel desiderio mai realizzato. Di fronte allo specchio nell’incontro con la morte Bertino tira le fila di una vita che cerca risposte e forse le trova solo, come una volta notò Bion in uno dei seminari italiani, in quello spazio tra la nascita e la morte, che è quello della vita. Bertino in fondo si accorge di aver vissuto, proprio nel momento cruciale di fronte alla sua morte annunciata, e scopre qualcosa di cui sembra non avere tenuto conto: il senso della memoria che per lui è contenuto in una stanza segreta e privata e per questo privo di un vero e proprio riscatto. Bertino in fin dei conti tanto vive nel suo gruppo quanto persevera in una condizione di solitudine, metafora questa che forse, nel messaggio di Niffoi, rimanda ad una condizione umana comune.

L’intreccio della realtà psichica con le forme di cultura di gruppo trova nella ingegnosa strategia del gioco degli specchi la possibilità di cogliere una complessità che va oltre i limiti di un’esistenza individuale.

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