Mark Haddon “I ragazzi che se ne andarono di casa in cerca della paura”, Einaudi, Torino, 2017.
Recensione a cura di Angelo Battistini.
Dalle note editoriali non pare che Mark Haddon sia uno scrittore molto prolifico. Raggiunse la notorietà internazionale solo pochi anni fa con un libro che attirava l’attenzione già dal titolo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Ora Einaudi, che lo pubblica in Italia, ci presenta un secondo volume dal titolo di nuovo assolutamente intrigante, I ragazzi che se ne andarono di casa in cerca della paura. Una raccolta di nove racconti che consacrano il grande talento di questo cinquantacinquenne di Oxford. Nove racconti dal contenuto molto diverso ma accomunati dalla raffinatezza della scrittura e dall’originalità della trama. Haddon cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime righe con atmosfere di situazioni e luoghi che sembrano evocare lo sguardo di una telecamera o con incipit costituiti da un verbo che descrive il comportamento, i pensieri, i sogni di un personaggio che solo nelle righe successive impareremo a conoscere. Ma pur nella grande varietà inventiva, i diversi racconti lasciano trapelare alcuni temi ricorrenti. L’irrilevanza cosmica dell’essere umano, la sua sostanziale impotenza nei confronti della natura, la continua presenza della morte e la facilità con cui ghermisce. E su questo sfondo, le umanissime vicende di persone che troviamo coinvolte con la stessa intensità e sensibilità tanto in comuni conflitti famigliari come in drammatiche vicende di rilevanza assoluta. Capace di metafore e similitudini folgoranti, Haddon non è mai ovvio né improbabile. Una rara finezza psicologica gli consente di descrivere in poche parole le situazioni più eccezionali con un’allure apparentemente minimalista, in realtà con la naturalezza che anche le situazioni più straordinarie acquisiscono quando siano vissute dall’interno o sotto gli occhi di uno spettatore disincantato capace di uno sguardo che unisce al distacco dell’entomologo la comprensione più profonda.