A seguito della morte del padre (23 ottobre 1896), Freud “inizia a collezionare antichità” (29): la passione per l’archeologia, nei suoi molteplici risvolti, è esplorata nel terzo capitolo, mentre, nel capitolo seguente, l’Autrice vede in Freud il conquistatore, riflettendo sull’identità personale in collegamento al campo di forze attivo in riferimento alle tre città-simbolo: Atene, Roma e Gerusalemme. Mentre Friburgo, Vienna e Londra rappresentano i luoghi geografici delle biografie ufficiali, Gerusalemme, Roma ed Atene emergono come i luoghi sacri della geografia interna (51). Con Once upon a time, long, long ago… si apre il capitolo dedicato al rapporto tra Freud e il sionismo, il popolo ebraico e la tradizione ebraica, con l’intento di rintracciarne i segnali all’interno della teoria analitica. Segue il sesto capitolo, The Man of the Book, con l’immagine del padre di Freud, Jacob, che inizia il figlio di sette anni allo studio del Libro dei Libri.
“Camminatore instancabile, Freud viaggia attraverso le pagine dei suoi libri e delle sue lettere con la stessa intensità, la stessa effervescenza e la stessa celerità che lo prende quando valica foreste e montagne” (114). I processi creativi, di scoperta e di disvelamento costituiscono l’oggetto del settimo capitolo in un discorso che vuole legare la visione innovativa ai processi della scrittura – “Freud vive con la penna in mano: scrive dovunque, tutto il tempo e di continuo” (128). Si schiude qui il discorso sul legame di Freud con la poesia e la letteratura – e i tanti risvolti che tale legame presenta con l’opera scientifica – offrendo all’Autrice lo spunto per esporre alcune personali considerazioni sullo statuto della teoria psicoanalitica. Il sapiente utilizzo delle metafore e la particolare capacità di vedere ciò che non è immediatamente visibile, inducono l’Autrice a definire Freud come un “visual person, a ‘seer’” (169), proteso a trasformare le immagini in parole e a difendere strenuamente la conoscenza che dalle parole può svilupparsi. Ancora una volta Flem si sofferma a considerare l’intreccio tra lo scrivere e la costruzione della teoria psicoanalitica attraverso, questa volta, l’uso delle metafore che fanno da ponte tra la percezione e la visione interna. Il volume termina con The Friend, in cui Flem considera i rapporti amicali intrecciati da Freud nel corso della sua vita, comprese le esperienze denominate come inibizioni dell’amicizia.
In questo volume viene messa a fuoco la dimensione umana di Sigmund Freud, considerata da molteplici, ma non esaurienti, prospettive e il collegamento che esiste tra l’uomo Freud e l’edificazione del corpus teorico della psicoanalisi. Al suo apparire, questo lavoro suscitò numerose e diversificate reazioni. Gli aspetti critici che sono stati più di frequente messi in rilievo attengono alla debole fondatezza concettuale di taluni passaggi proposti da Flem, alla presentazione tendenzialmente poetica di alcune sue argomentazioni e alla mancanza di completezza e precisione rispetto all’argomento trattato – cosa che getta una luce non del tutto positiva rispetto al raggiungimento dell’obiettivo che l’autrice si era proposto -. E’ stata da più parti criticata la rappresentazione che l’Autrice offre della psicoanalisi come, sostanzialmente, di un riflesso della personalità e delle esperienze vissute da Freud, di una personal science che, attraverso l’emergere della soggettività dello scopritore, si spinge fino ad indicare verità psicologiche valide per l’intero genere umano. Mai tradotto in italiano, la versione originale di questa opera è in lingua francese e risale al 1991: L’Homme Freud: Une Biographie Intellectuelle, Editions du Seuil. Di Lydia Flem si ricorda, infine, La vita quotidiana di Freud e dei suoi pazienti (traduzione dal francese di M. Grazia Meriggi. Milano: Rizzoli, 1987).