FRATTURA
di Andrés Neuman (Einaudi, 2019)
Daniela Federici
Parole chiave: #trauma, #riparazione, #kintsugi, #resilienza
Date parole al dolore.
Il dolore che non parla
bisbiglia al cuore oppresso
e gli ordina di spezzarsi.
Shakespeare, Macbeth
Un terremoto frattura il presente, spezza la prospettiva, smuove le placche della memoria.
Questo splendido romanzo di Andrés Neuman è un affresco su come l’anima prova a riparare le sue ferite per riuscire a sopravvivere, una partitura mirabilmente lavorata e intensa che, attraverso la vita e le cicatrici del suo protagonista, narra anche le lacerazioni del nostro secolo.
Un anziano dirigente in pensione si trova nella metropolitana di Tokyo: è l’11 marzo 2011.
Lo spavento ha due velocità. Una è la corsa, la fuga. Un’altra è l’immobilità, la reclusione.
Mentre ascolta le pulsazioni delle fondamenta subisce un progressivo déjà vu, come se ogni scossa avesse luogo un po’ più all’interno della sua testa, pompando la memoria.
La realtà si trasforma in un’intermittenza, in una palpebra che vibra, in un occhio frantumato in occhi molteplici. Poi rimane il rumore, solo il rumore. … Uno schiaccianoci grande come tutto il paese. La protesta sotterranea. E, molto in fondo, un suono ancestrale di corde percosse.
Pochi minuti dopo, lo tsunami, la scopa d’acqua sporca che annega la tana della civiltà e causa l’incidente nucleare di Fukushima.
Tutte le cose rotte hanno qualcosa in comune. Una crepa che le unisce al loro passato.
Yoshe Watanabe è un sopravvissuto alla bomba atomica di Hiroshima e uno scampato a Nagasaki, dove, ragazzino, perde la sua famiglia. Il ricordo di quel fungo atomico, la nube che si gonfiava come una cisti, quella luce accecante di radiografia, tornano a irrompere nella sua mente: visioni che lo perseguitano da tutta la vita, rendendolo più consapevole della drastica ampiezza di ogni cosa, della possibilità simultanea che resista o frani.
Yoshe è cresciuto con gli zii nel silenzio sull’accaduto, in una Tokyo che si ostinava a rinascere dalle macerie per lasciarsi la guerra alle spalle. Un giorno, in treno verso la scuola, fra le teste chine o che fingono di dormire per non aprire gli occhi sul panorama mozzato che sfila fuori dal finestrino, intravede una persona attenta al paesaggio: era l’unico straniero del vagone. E non staccava lo sguardo dal succedersi di edifici a metà. Lui aderì a quello sguardo, recuperò il proprio grazie a quello. Intuì ciò che avrebbe voluto fare nel futuro: saper guardare così dal finestrino.
La misura che consente il vedere. Distanza utile e differenza efficace, diceva Green.
In quel momento della sua giovane vita, poter guardare alla realtà senza abbassare lo sguardo va a coincidere con l’essere ‘estraneo’, facendolo decidere di partire per l’estero appena possibile.
Dagli studi in Francia alla carriera in una multinazionale che lo manda a lavorare in giro per il mondo, la vita da straniero non fa che riproporgli una sequenza di traiettorie interrotte, lo spezzarsi di legami e nuove realtà in cui ricostruirsi da capo. E in ognuna delle città dove viene trasferito, il racconto è affidato alle donne che lo hanno amato e che tratteggiano il profilo di un uomo diverso, come se Yoshe si reinventasse in ogni contesto che incontra, in ogni lingua che impara.
Viveva cercando suoni familiari in un alfabeto estraneo, inventando una specie di fonetica di confine. … dava l’impressione di uno che mette alla prova la sua identità, come chi cambia continuamente abito per verificare la propria taglia.
Se la potenza della letteratura è nelle prospettive di pensiero che apre, la complessità degli strati che questo romanzo offre al lettore è sbalorditiva e davvero ammirevole.
In una cura per i dettagli che ha la qualità di un saggio storico, Neuman da la sensazione che nulla sia lasciato al caso, le radici della cultura giapponese e il filo delle fratture naturali e umane che rievoca, le città che accolgono il protagonista e i mestieri scelti per i suoi personaggi.
Scrittore argentino naturalizzato spagnolo quando la sua famiglia viene esiliata per ragioni politiche, l’Autore mostra una competenza profonda sia di fratture che di riparazioni. Filologo e traduttore, evidenzia un’attenzione minuta al rapporto di Yoshe con le nuove lingue che lo improntano, la sapienza di come ogni traduzione sia incontro e frontiera, teatro di un’articolata dinamica fra l’intraducibile e i malintesi, le perdite di senso e gli inaspettati guadagni di strati di significato da una lingua all’altra. Quel ‘tra due’ che è negoziazione e soglia di terzietà, è un’area di sorgive emersioni creative. Così anche un nuovo amore è a suo modo una traduzione.
La penna talentuosa di Neuman crea una narrazione avvolgente, intima, profonda, metaforica, nelle pagine scritte dalla prospettiva di Yoshe, per poi cambiare passo quando la voce narrante è affidata ai quattro personaggi femminili. Al di là dell’espediente letterario che ognuna di loro rifletta un’età, una cultura, un carattere diverso, l’impressione è che in quell’alternanza di densità lo scrittore metta in scena le fasi dell’esistenza del protagonista. Negli anni in cui Yoshe incontra, sperimenta e consolida, a raccontare il ritmo lento e quasi cronachistico del quotidiano è lo sguardo ‘da fuori’ di una compagna. La sua prospettiva torna in scena nelle soglie delle fratture, e da quel ‘dentro’ offre le intensità elaborative e il senso della ricerca riparativa e integrativa che è al cuore del romanzo.
Hibakusha è il termine giapponese per definire un sopravvissuto, composto da tre ideogrammi: hi che significa ricevere o subire; baku che sta per esplosione e sha che indica persona.
Dopo un’esplosione c’è un’alterazione della consistenza del mondo, scopre il piccolo Yoshe, trovandosi ustionato ma vivo accanto al corpo straziato del padre, incapace di comprendere cosa è accaduto in quel bagliore e nella sottrazione di mappa cancellata che ne rimane.
Lo scrittore racconta che uno dei ricordi più frequenti nelle testimonianze dei sopravvissuti, è la perdita dei colori. Per rendere in chiave letteraria quell’effetto, Neuman scrive il capitolo sul momento dell’esplosione evitando gli aggettivi, forma afona che sospende ogni definizione e spande silenzio.
Da quel momento di distruzione per Yoshe vivere diventa un’attività artigianale e faticosa…
L’ispirazione è il principio del kintsugi, antica pratica con cui gli artigiani giapponesi riparano le ceramiche quando si spaccano, inserendo polvere d’oro nelle crepe. Le fratture e le riparazioni sono esposte invece che occultate, e passano a occupare un posto centrale nella storia dell’oggetto. L’atto di rendere manifesta questa memoria lo nobilita. Ciò che ha subito un danno ed è sopravvissuto può essere considerato più prezioso, più bello.
Il corpo bruciato di Yoshe, le sue cicatrici, il modo in cui si porta dietro la sua storia, nascondendola o condividendola, sono stazioni del processo del lutto, fra negazione, catarsi e ricomposizione.
Quel plusvalore di una rottura di cui ci si prende cura riparandola, varrà anche per le persone? Implicherà la possibilità che gli individui valorizzino di più la loro esistenza?
Sarebbe fondamentale a livello collettivo e politico trarne insegnamento, perché ogni individuo è un potenziale naufrago…
Occorrerebbe tradurre kintsugi in tutte le lingue e farne sinonimi, pensa Yoshe, per non dimenticare che l’oro della vita sta nella capacità di rinsaldare le ferite nei cerchi concentrici delle reminiscenze del corpo e portarle con sé consapevolmente.
Neuman fa risaltare in maniera toccante come le perdite trasformano la memoria, il mancato combaciare dei frammenti fra quel che si era e quel che si deve trovare il modo di continuare ad essere “nonostante” lo spaesamento di una frattura, l’intermedio che deve lavorare i bordi delle ferite fra un recupero di sé e un andare oltre che urge le sue trasformazioni e gli spazi dell’oblio.