Wisława Szymborska (2007)
Adelphi Edizioni, Milano, pagg. 52, euro 5,50
Questo libro di poesie di Wisława Szymborska (Premio Nobel per la letteratura 1996) è apparso per la prima volta nelle librerie polacche nel novembre del 2005 ed è subito diventato un «caso» letterario. Fatto inconsueto per un genere di nicchia qual è la poesia, ma nel leggere il volumetto composto da sole diciassette poesie, si possono intuire i motivi di un tale e inaspettato successo. Non è necessario, infatti, essere «esperti» in materia per cogliere la particolare intensità di quest’opera.
In una breve nota Pietro Marchesani, traduttore e curatore della raccolta, afferma che l’elemento caratterizzante Due punti è «rappresentato dallo spessore della riflessione filosofica sulla vita e in particolare sulla morte» (51). Due estremi che si incontrano, si intrecciano continuamente, creando un movimento vitale di pensieri, associazioni ed emozioni nel quale il lettore si sente coinvolto in prima persona.
La rara capacità di Szymborska è di saper vedere nei piccoli gesti di ordinaria vita quotidiana e nella familiare sicurezza degli oggetti da cui siamo circondati, la profondità e la verità delle nostre paure, dei desideri, dei ricordi e delle nostalgie. “In effetti ogni poesia/ potrebbe intitolarsi «Attimo»/Basta una frase/ al presente,/al passato o perfino al futuro […]” (45). Basta un attimo e l’Unheimliche irrompe, lacerando le nostre illusorie certezze e consegnandoci a una temporalità che non è mai quella dell’orologio, (L’orribile sogno del poeta, 36) bensì è nell’ordine dell’esperienza soggettiva. Un tempo che oscilla costantemente tra ciò che è stato e quello che avrebbe potuto essere se il destino, indifferente e volubile, non avesse tessuto la trama di disegni a noi sconosciuti. (Assenza, 11)
L’Autrice su usare in modo sapiente l’ironia pur mantenendo una lucida, e per certi aspetti implacabile, visione della precarietà e dello smarrimento insiti nella condizione umana della quale riesce cogliere, per riprendere le parole di Freud, «il valore della caducità». Affronta temi esistenziali con uno stile leggero, che lascia spazio al gioco dei significanti e richiama, in alcuni momenti, la lingua infantile delle filastrocche. Le invenzioni linguistiche, a tratti quasi musicali, evocano immagini di grande efficacia rappresentativa, come nella poesia Labirinto (38), forse la più suggestiva della raccolta.
” – e ora qualche passo/da parete a parete/su per questi gradini o giù per quelli,/e poi un po’ a sinistra/se non a destra/dal muro in fondo al muro/fino ala settima soglia/da ovunque verso ovunque/fino al crocevia/dove convergono,/per poi disperdersi/le tue speranze, errori, dolori,/sforzi, propositi e nuove speranze […]” (38).
Possiamo leggere Labirinto come una bella metafora sulla vita (e perché no, sul percorso analitico), luogo di passaggio e di passaggi inaspettati, a volte sorprendenti, a volte inquietanti, luogo dal quale non è possibile fuggire, se non «ritrovandosi», dopo aver affrontato i nostri personali «minotauri».
“[…] deve pur esserci un’uscita/ è più che certo./ Ma tu non la cerchi,/è lei che ti cerca, è lei fin dall’inizio/che ti insegue, e il labirinto/altro non è/se non la tua,/finchè è possibile,/la tua, finchè è tua,/fuga, fuga -” (40).
Il filo di Arianna (l’associazione è inevitabile) che ci guida nella lettura di queste poesie è il senso della speranza, una qualità, risorsa o punteggiatura dell’animo umano a cui peraltro il titolo sembra alludere. Non la chiusura di significati a senso unico, ma l’apertura ad altri possibili significati, a esperienze e paesaggi ancora da scoprire, esplorare, attraversare. Ancora nuove storie da raccontare o da lasciare “Il giorno dopo – senza di noi” (16) che narrano “[…] di altri Pierini/di gatti e non gatti/di altri sillabari/sfogliati dal vento; […]” (In effetti, ogni poesia, 45).
Laura Contran