“Dottore, ho una tulip nella testa” di L. Nicoli e E. Ferrari
Dottore, ho una Tulip nella testa
“La felicità non si siede, resta in piedi”
di Luca Nicoli, Elisa Ferrari (Amazon, 2021)
a cura di Maria Grazia Gallo
parole chiave: analisi, felicità, crescere, scrittori
Ho letto il libro del collega Luca Nicoli e di Elisa Ferrari tutto d’un fiato, innanzitutto, come credo molti dei lettori, attratta dal titolo intrigante, per quel nome “Tulip” che incuriosisce e fa fare tante… libere associazioni.
Nonostante io sia appassionata di design, al momento non ho pensato a quell’oggetto (la sedia) più che “bizzarro” di creatività che coniuga perfezione di linea e di stile alla delicatezza e fragilità evocata dal tulipano e dal suo esile stelo.
Un oggetto simbolo o metafora della perfezione, l’imago di un Super-Io narcisistico che tanto oggi ci affligge, motore di una società performativa che ci vuole brillanti, belli e “puri”, dalle linee essenziali nel senso di “senza difetti”: da essere ammirate ed esibite.
Non ce ne voglia il geniale progettista e designer Eero Saarinen, ma su una sedia di tal fatta, si sta scomodi perché scomodo e ingombrante è il Super- Io narcisistico e…, direbbe il supervisore dell’autore psicoanalista e collega (Gino Zucchini da lui citato a introduzione del libro), un “apparato figurale” dove si mostra molto di più di quanto non si riesca a tenere dentro/contenere.
Adelaide, la protagonista del libro, su quel tipo di sedia non solo ci sta scomoda, ma ne sente tutto il potere destabilizzante: è come stare seduti su un piedistallo, godendosi magari solitarie e momentanee “glorie/conquiste”, ma non ci sono appigli, non c’è l’abbraccio accogliente e contenitivo dell’Altro che tanto le è mancato quanto lo rifugge.
Adelaide è una brillantissima donna in carriera, vice responsabile di un’importante agenzia pubblicitaria milanese, in particolare del settore non a caso visual identity che ben corrisponde alla sua fragile e instabile identità costruita sul tacco 12 di un paio di ambitissime Louboutin o Manolo Blahnik e di un’impeccabile immagine di perfezione.
Oltre che dai tacchi, Adelaide è sorretta da una notevole intelligenza creativa che tuttavia usa come un’arma raffinata, a scopo difensivo per prevenire, parare e controllare l’assalto delle emozioni e la paura della relazione. Le relazioni umane fanno paura perché sono vincolanti, creano dipendenza e nel contempo sono instabili, possono riservare brutte sorprese ed essere potenzialmente abbandoniche.
Quando sul lavoro le arriva la domanda fatale “cos’è la felicità?”, il suo mondo ben piantato in terra, dove non c’è spazio per lasciarsi andare alle emozioni e ai ricordi e dove ogni passo è ben calcolato e misurato al cronometro, improvvisamente vacilla.
Non si può essere “felici” se non si è attraversato il dolore e contemplato e sostato nella sofferenza, se non si è venuti a contatto con il proprio mondo emotivo interno, con la sua ricchezza e la sua instabilità/incertezza.
Adelaide suo malgrado è costretta a fare i conti con la sua storia e con il suo trauma originario: è stata abbandonata da una madre sofferente e tossicodipendente e in seguito adottata dallo zio e dal suo compagno: due nascite, due inizi e un trauma abbandonico che sembra riattivarsi e ripetersi (nel tentativo di trovare una soluzione) nell’inseguimento costante di un genitore sfuggente. Ma, come dice la stessa Adelaide, “la vita non ha un’unica soluzione” e per la prima volta deve “fare i conti con una fine” della quale le “era sfuggito l’inizio, ormai tanto tempo fa”.
Forse è venuto il momento per lei di imparare a “stare con i piedi per aria”, ma questa volta fa la differenza che non è più sola: c’è qualcuno che l’ascolta e le fa da “poltrona” o lettino sicuro in cui incominciare a fidarsi e ad affidarsi all’Altro.
“La psicoanalisi” dice Luca Nicoli, appunto, è stare in questa modalità , “è stare con i piedi per aria”.
Adelaide ci prova ed inizia una relazione epistolare con lo psicoanalista Lamandini, fatta di domande e risposte, ma dove “la risposta è chiarire la domanda” (G. Pellizzari).
Ha scelto il dottor Lamandini perché sul suo sito, sopra l’immagine di un’altalena, compare una citazione di D. Winnicott “La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme”: il tutto sembra calzare a pennello ed essere in parte inconsapevolmente di buon auspicio.
Ci affezioniamo ad Adelaide che, tra un dondolio e l’altro, sussulti di paure per la perdita momentanea di equilibrio sull’ “altalena” delle relazioni e della relazione analitica seppur epistolare, via via si “umanizza”: scenderà dai suoi “tacchi”, non solo reali..,per correre divertita in un mondo dove finalmente può sentire che forse c’è qualcuno che l’aspetta. Ora può sostare nel mondo perché ha imparato a sostare con i suoi pensieri e le sue emozioni: la sua mente non è più “un corridoio” dove si transita veloci e la sua corsa non è più quella da primatista che deve superare traguardi sempre più elevati, ma è la corsa gioiosa di quella bambina cresciuta troppo in fretta e che ora ha recuperato perché c’è chi ha saputo starle accanto e tenerle la per mano.
Ci affezioniamo anche allo psicoanalista Lamandini che non si nasconde dietro al muro delle teorie, ma è autentico e profondamente umano e non ci nasconde i suoi dubbi, le sue difficoltà, le sue ambizioni frustrate e quelle realizzate anche se a un caro prezzo: ci riconosciamo nella sua passione per la psicoanalisi e per un mestiere del vivere che tuttavia a volte ci fa perdere di vista proprio la “vita”, come ben gli suggerisce e mette in guardia benevolmente il suo stesso simpatico supervisore dal nome quantomeno curioso “Farabutti” e che parla in romanesco : “ …….A Lavandì, ma lo voi capì una volta pe’ tutte che vale più un bicchiere de Frascati che tutta l’acqua del Tevere? So’ le piccole cose che ti devi gode’, non inseguì quelle grosse….”.
Un mestiere appassionante e difficile che a volte o spesso ci fa mettere in dubbio le nostre capacità e ci fa sentire di essere “espropriati” di un’identità: come si fa, si chiede Lamandini e chiede al suo supervisore “ a non essere danneggiati da questo continuo esproprio della propria identità; a vivere tutto quello che ogni paziente ci costringe a sopportare, ora dopo ora?”
Tutto questo fa di lui un terapeuta e psicoanalista di grande spessore umano e professionale che sa raccontarsi con sincerità.
Dicevo all’inizio di questo mio scritto: non è un caso, forse, che non subito ho pensato alla sedia da design, ma la mia prima “libera associazione” e fantasia è stata quella di una macchina da scrivere e, quindi, con la scrittura e le parole.
E di fatto, il grosso merito di Luca Nicoli e di questo suo testo divertente e nel contempo “istruttivo”, ben costruito e ricco di “colpi di scena” e di umanità, è quello di parlare in modo comprensibile di ciò di cui è scomodo parlare, la Tulip della nostra anima, di quei “luoghi dimenticati e che cerchiamo di evitare a tutti i costi per paura di soffrire” che sono i luoghi dell’analisi e cioè della capacità di sostare nell’incertezza, nel tumulto delle nostre emozioni, siano esse positive o anche negative, nella sofferenza, nei nostri ricordi.
Bion, citato e spiegato in modo comprensibile e apparentemente facile dall’autore nei panni di Lamandini, parla del saper digerire le emozioni, viverle in pieno, essere tutt’uno con quell’esperienza emotiva. La “ 0” di Bion è un’emozione forte che è più vera del reale.
Questa è la psicoanalisi, la “talking cure” che è cura non solo “con” le parole ma “delle” parole (G. Zucchini).
E il nostro collega Luca Nicoli ci riesce bene a trasmettere tutto questo e a saper divulgare attraverso un romanzo di spessore, ma anche “lieve”, una psicoanalisi non per “specialisti”, dal linguaggio tecnico e perfetto, ma facile dove facile non è sinonimo di semplificazione, ma di una convergenza tra tecnica, teoria e creatività, di un pensiero libero come le note del suonatore jazz che può improvvisare sul tema perché alla base c’è una solida disciplina e preparazione.
E le sorprese, e le “variazioni sul tema” nel testo sono tante, così come il finale a sorpresa.
E’ un libro che consiglio di leggere: sicuramente non vi annoierete e forse vi spiacerà, un po’ come il giovane Holden, lasciare a fine lettura un autore e collega che abbiamo sentito anche un po’ amico e compagno di strada.
Note bibliografiche
Bion W.R. (1962b). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972
Bion W.R. (1963) Gli elementi della psicoanalisi. Roma, Armando, 1973
Winnicott D.W. (1958), Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli 1975
Winnicott D.W. (1963) Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando 1970
Winnicott D.W. (1971) Gioco e realtà, Roma, Armando 1974
Zucchini G. Res Loquens, Firenze, Guaraldi , 2014