Cultura e Società

“Dalla parte delle bambine” di E. Gianini Belotti. Recensione di S. Diena

6/02/23
"Dalla parte delle bambine" di E. Gianini Belotti. Recensione di S. Diena

Dalla parte delle bambine

di Elena Gianini Belotti (Feltrinelli, 1973)

di Simonetta Diena

Parole chiave: #femminismo, #pregiudizi, #patriarcato

Elena Gianini Belotti, pedagogista, insegnante e scrittrice italiana, nasce e muore a Roma. (incidentalmenteè morta la notte di Natale, meno di un mese fa). Ha fondato e diretto il primo Centro Nascita Montessori a Roma, che aveva lo scopo di occuparsi delle gestanti per aiutarle ad affrontare le future responsabilità di madri e di trovare un equilibrio tra le loro esigenze e le necessità del bambino. Ha studiato a fondo l’influenza del condizionamento sociale e culturale nella formazione del ruolo femminile nella prima infanzia. Questo libro, che scrive all’età di quaranta anni, dopo anni di ricerche sul campo, analizza, per usare le parole della scrittrice: “l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita”, ovvero “come la società vuole che diventiamo donne, fin dalla nascita, o meglio, fin da quando siamo nel grembo materno.” Nasce dall’osservazione diretta dei bambini e dal comportamento, nelle scuole materne, elementari e medie, e delle famiglie nei centri psicopedagogici, del tipo di richieste che vengono fatte, dei rapporti che si stabiliscono con loro nelle diverse fasi dell’infanzia, e delle aspettative che si creano a seconda che siano maschi o femmine.

Scritto esattamente 50 anni fa, ha un successo straordinario da subito: 57 edizioni per più di 600.000 copie e traduzioni in 15 lingue, diventa un testo ‘rivoluzionario‘ per l’epoca. “La bambina vivace ed esuberante non rientra negli stereotipi”, scriveva  Gianini Belotti. “Il maschio che spacca tutto è accettato, la femmina no. La sua aggressività, la sua curiosità, la sua vitalità spaventano e così vengono messe in atto tutte le tecniche possibili per indurla a modificare il suo comportamento”.

Il movimento femminista cominciava a muovere i suoi primi passi, e questo libro sottolineava, per la prima volta in un modo semplice e dettagliato, come numerosissimi atteggiamenti delle bambine non fossero spontanei, ma frutto di un meticoloso e continuo condizionamento più o meno consapevole verso una posizione di sottomissione e passività per le bambine, di aggressività e prepotenza nei bambini.

Avevo sedici anni quando uscì e lo lessi immediatamente. Fu una bomba. Ritrovavo, scritta, la mia vita, dettagli che mi avevano fatto soffrire ed arrabbiare, ma ai quali non mi ero mai ribellata. Ancora ricordo, da parte di una maestra bravissima e molto preparata, che mi fu di grande stimolo nel corso delle elementari, la sgridata del primo giorno di scuola: “Simonetta, ti comporti come un maschiaccio! Vieni a sederti qui al primo banco di fianco a R. che è una bambina per bene e ben educata e rimani ferma!”

E poi: “Mani in seconda!”. Chi si ricorda questo famoso detto? Bocca chiusa, mani dietro la schiena, appunto, in seconda.

Le bambine. I miei quaderni immacolati, perfetti. La compulsione a non sbagliare mai. L’inizio della nevrosi ossessiva e della ricerca del perfezionismo e soprattutto della approvazione e della lode da parte degli adulti. La paura di non essere accettate se si diceva qualcosa di non convenzionale, la paura di venire giudicate egoiste se si pensava a se stesse.

La mia maestra, come ho detto era però anche molto brava, didatticamente, e fui libera di scrivere e di leggere quello che volevo, e come lo volevo. Questa fu la mia salvezza.

Ma ritorniamo al libro e al suo significato adesso, riletto cinquanta anni dopo.

Si rilegge con molta piacevolezza e scioltezza.

Presenta, nella rilettura, delle ingenuità, che rivelano come non sia scritto da una ricercatrice che utilizza i moderni metodi di ricerca. Ma è scritto da una persona estremamente intelligente, che ha letto molto Freud, lo conosce bene, e lo cita a proposito, e sa osservare con spirito distaccato gli oggetti della sua ricerca.

Ho riletto contemporaneamente, per confrontarli, “In a different voice”, scritto da Carol Gilligan, Professoressa di Pedagogia alla New York University, nel 1993. È molto simile. Sono le osservazioni dei comportamenti delle bambine e dei bambini nella scuola primaria. L’autostima delle bambine è condizionata dall’approvazione degli adulti. L’autostima dei maschi dal rapporto tra pari. “I pregiudizi sono profondamente radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche, le smentite perché presentano una utilità sociale. L’insicurezza umana ha bisogno di certezze, ed essi (i pregiudizi), gliele forniscono.” Così la Belotti, e così, venti anni dopo, la Gilligan.

E così oggi Michela Murgia, Stai Zitta, e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi, 2021) o bell hooks (non vuole essere scritta a caratteri maiuscoli), in Insegnare a Trasgredire (1994).

Potrei citare altre sociologhe, professoresse di Harvard o di Stanford, come la Hooks, ma ciò che mi ha lasciato davvero avvilita, in questa rilettura, che consiglio a tutti, è stato il ritrovare gli stessi temi, le stesse dimensioni del condizionamento presenti nel libro della Belotti.

Questo libro riletto cinquanta anni dopo è terribilmente attuale, e moderno, e necessario. La maggior parte delle osservazioni della Belotti si ritrovano nelle osservazioni della Hooks: “Per confutare e distruggere i pregiudizi occorre non solo una notevolissima presa di coscienza, ma anche il coraggio della ribellione che non tutti hanno.” Dice la Belotti (pp. 14) e la Hooks “Nessun intervento può minare lo status quo se non siamo disposti a mettere in discussione il modo in cui il nostro posizionamento personale e il nostro processo pedagogico risultano spesso modellati dalle norme vigenti” (pp. 219).

Continuiamo ad attribuire ai bambini certe caratteristiche considerate tipiche dei due sessi, prima ancora che nascano: i maschi devono essere più vivaci e vitali, le femmine devono essere più tranquille e passive. Questo renderà più facile, quando saranno grandi, assumere su di sé i ruoli predestinati. E poco importa se le donne, cinquanta anni dopo, hanno imparato a lavorare, a studiare, a dirigere, a gestire imprese ed aziende, studi e professioni. La famiglia, il “carico mentale” della donna è ancora ben presente. Le donne emancipate, “arrivate” della mia generazione, hanno imparato a fare il doppio lavoro, e anche a farlo bene. La donna, come già diceva la Belotti, non si chiede “perché” faccio questo, ma “per chi” lo faccio. Il carico mentale, il pensare sempre agli altri, il non sentirsi mai libera delle proprie scelte, il dovere sempre cercare l’approvazione (del padre diceva Freud) degli altri condiziona le scelte delle donne.

Il libro, lo ripeto per chiarezza, non è sulla differenza tra i sessi o sulle discriminazioni. È sui condizionamenti culturali che si subiscono nel corso dello sviluppo, del tutto a sfavore del sesso femminile. “L’operazione da compiere …. sarebbe quella di restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene” (Belotti pp 179). Il libro non si inoltra sulle conseguenze di queste discriminazioni nell’educazione.

Paradossalmente pare più semplice cambiare sesso, che sfidare le convenzioni e dire: “Sì sono un maschietto e voglio giocare con la cucina, o imparare a ricamare” (Provate a dirlo oggi, nel terzo millennio, in una qualsiasi scuola elementare normale: subito sarebbero chiamati i genitori per capire cosa c’è che non va nel bambino). Oppure quante femmine vengono etichettate come prepotenti o aggressive perché sono vivaci ed attive?

Adriana viene a chiedere un’analisi a quaranta anni. Sposata, con un lavoro interessante, una figlia adolescente. È preoccupata per la figlia, che dopo un’infanzia e una pre adolescenza idilliaca ha cambiato di colpo carattere, stabilendo una conflittualità permanente con la madre su qualsiasi vicenda. La figlia studia, va bene a scuola e Adriana sente di non poterle rimproverare niente. Eppure, non si capacita di questo stravolgimento, e di questa, per lei, immotivata aggressività.

La richiesta di analisi origina dalla depressione e dal senso di impotenza che sente nei confronti di questa situazione. Il marito le sta accanto, ma a sua volta ritiene che la figlia sia diventata un’aliena.

Nel corso dei primi colloqui Adriana racconta come abbia perso la madre appena nata, per malattia, e sia stata cresciuta da un padre giovane e inesperto e da una nonna molto affettuosa ma pur sempre distante anagraficamente da lei. Ricorda con chiarezza come i suoi vestiti fossero sempre da “vecchina” e che lei si vergognava a scuola, ma non riusciva a fare alcuna richiesta a casa per timore di ferire degli adulti che lei sentiva già molto impegnati a svolgere i compiti più elementari dell’accudimento domestico. Cercava di aiutare in casa e sapeva di essere diventata una piccola donna ante- tempo, pulita, ordinata, sempre bravissima a scuola e poi all’Università. Con la figlia ha avuto scontri epici quando da bambina precisa ed ordinata si è trasformata in adolescente selvaggia, senza regole, brava a scuola ma disordinatissima.

“Io pulisco continuamente dopo i suoi passaggi, in bagno, in cucina – La sua stanza sembra un mercato. È tutto appiccicoso dopo il suo passaggio, mi sembra di sentire qualcosa di strano”

Commento: “Credo che mi stia dicendo che se prima era sempre appiccicata a lei, adesso appiccica la casa”.

Risponde: “E’ proprio così, ma prima era per affetto, adesso è per aggressività verso di me.”

Adriana fa una lunga analisi e lentamente la sua componente ossessiva compulsiva, difensiva verso l’assenza di una madre mai conosciuta, si trasforma e arriva a capire le ragioni dell’attacco della figlia. A un certo punto osserva: “Io penso che ci sia un modo di pensare a come si debba comportare una bambina, che per essere brava deve essere ordinata, pulita, volonterosa. Non capivo che mi stavo inibendo e accumulavo rabbia per non potere essere me stessa. Ho continuato così tutta la mia vita e la rivolta di mia figlia verso tutto quello che era centrale ed essenziale nella mia vita mi ha ribaltato completamente. È difficile essere te stessa se non hai qualcuno che ti appoggia. Qui in analisi ho avuto lei che mi ha aiutato ad essere una cattiva madre e a non sentirmi in colpa.”

La trasmissione dell’identità femminile da madre a figlia risente dell’aggressività che è stata a sua volta imposta dalla generazione precedente. I condizionamenti culturali inconsci si trasformano in conflitti tra desideri di libertà e fantasmi di infrangere leggi ben definite. A livello sociale è molto importante il riscontro o meno di tali desideri e fantasmi. Una società dove la parità di genere è più ampia trasmette un rinforzo alla ribellione generazionale e una maggiore libertà di cambiamento di espressione del proprio Sé. Una società più tradizionale e patriarcale irrigidisce le espressioni di genere sessuale in stereotipi difficili da contrastare. Qui, ripeto, non parlo della parità di genere o delle indubbie conquiste delle donne negli ultimi cinquanta anni. Voglio solo sottolineare come questo libro ha avuto e continua ad avere un grande successo e viene confermato da successive ricerche più evolute sui pregiudizi inconsci e sui condizionamenti culturali educativi. Tali ideologie sono presenti anche nella società italiana ed anche, inesorabilmente nella Società Psicoanalitica Italiana.

Siamo sicuri che la nostra Società Italiana di Psicoanalisi non sia un po’ troppo patriarcale? Sono sicura che molti si scandalizzerebbero se leggessero queste parole ma a livello internazionale abbiamo molte più presidenti donne delle Società Psicoanalitiche, anche dell’IPA, di quante non ne abbiamo mai avute in Italia. Solo una, la precedente. (lo so, anche la Principessa….). E guardate i nomi dei relatori ai convegni: non trovate una certa sproporzione? “Dieci discorsi sul metodo psicoanalitico”, dieci relatori maschi.

In tempo di “mee too” questi argomenti vanno affrontati come ha avuto il coraggio di farlo la Belotti. E occorre avere il coraggio di affrontare i pregiudizi e le consolidate convenzioni sociali. Il problema non è solo la sessualità, ma come questa può essere declinata ai nostri tempi, quanta libertà abbiamo di essere femmine e aggressive, maschi e miti? E come e cosa insegniamo agli allievi? La libertà di espressione o la convenzionale acquisizione delle ideologie dominanti? È sufficiente parlare di ascolto libero e non influenzato del paziente per lavarci la coscienza? Non esistono forse tra di noi gli stessi condizionamenti di cui già cinquanta anni fa parlava la Belotti?

Rileggiamo il suo libro e riflettiamo su quanto poco siano cambiati i condizionamenti e i pregiudizi sottostanti l’ideologia dell’identità maschio/femmina. Ma soprattutto chiediamoci perché, cinquanta anni dopo, siamo ancora qui, a ripetere gli stessi atteggiamenti. La stessa domanda potremmo porcela rispetto al razzismo, all’antisemitismo, a tutte quelle forme di discriminazione pre-giudiziale, a tutti quei condizionamenti inconsci presenti a livello individuale e sociale che determinano poi e continuano a farlo, differenze e disparità nella società complessiva.

Come ho cercato, molto rapidamente, di mostrare, nella clinica troviamo continui rimandi a come dovrebbe essere una femmina o un maschio, nell’immaginario collettivo. E sulla sessualità la psicoanalisi ha detto molto e molto ha ancora da dire e da portare avanti come ricerca. Non siamo immuni dai pregiudizi dominanti e fatichiamo a liberarci da antichi condizionamenti culturali, anche come psicoanalisti.

Bibliografia

Gianini Belotti, E. (1973) Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano

Gilligan, C. (1993) In a different voice Harvard University Press, Cambridge

Hooks, B. “Insegnare a Trasgredire” (1994).Teaching to transgress: education as the practice of freedom. New York: Routledge.

Murgia, M. (2021) Stai Zitta, e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, Torino, Einaudi.

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