Sebastiào Salgãdo (2014)
Dalla mia terra alla terra
Ed. Contrasto, Roma
Storia di una guarigione
Domenica 2 novembre chiude a Milano al palazzo della Ragione la mostra fotografica di Sebastiào Salgãdo “Genesi”.
Le immagini sono quelle di una natura potente e vitale che ci viene incontro e guardandoci negli occhi.
Per realizzare questa mostra l’Autore ha percorso a piedi migliaia di chilometri durante alcuni anni “[…] alla ricerca degli spazi incontaminati, dai più torridi ai più glaciali, dai più aridi ai più lussureggianti” (117).
Dopo averla visitata, consiglio di leggere questo libro autobiografico dove il fotografo racconta della sua vita e della “guarigione”.
Infine il film di Wim Wenders e di Juliano Ribeiro Salgado “Il sale della terra”.
Prima di Genesi, Salgãdo aveva percorso sempre “ in Cammino” le più grandi tragedie che hanno attraversato l’umanità negli ultimi anni, e aveva visto “ quanto vi è di più duro e violento nella nostra specie” (167).
Lo aveva visto, fotografato con crudezza e poi trasformato, permettendoci di guardare l’inguardabile, le “Immagini di un mondo massacrato”.
La camera oscura era diventata il luogo dove l’orrore diventava poesia, le vicende dei profughi prendevano le luci degli esodi biblici e gli occhi indimenticabili dei bambini migranti si riempivano comunque di vita.
Salgãdo racconta di come aveva fotografato la ferocia delle guerre e in questo lavoro di trasformazione il suo corpo e la sua mente si erano ammalati. Scrive: “Ho visto gente forte, guerrieri, svuotarsi in poche ore e morire come insetti, ( … ) ho visto ammassi di cadaveri per centinaia di metri” […] ho trascorso mesi così difficili che ad un certo punto non ho più resistito, né fisicamente, né mentalmente […]” (101). “[…] Se le popolazioni sono costrette a spostarsi sono prevalentemente vittime, i loro piccoli lo sono ancora di più. I bambini mostrano spesso grandi capacità di adattamento, riescono a giocare a ridere, ma in tutti, famelici sporchi, feriti o amputati che siano, è soprattutto lo sguardo che mi ha sconvolto. (109)”.
“Le mie fotografie sono state viste da migliaia di persone […] nel frattempo, però, io non stavo bene, né fisicamente, né psicologicamente” (109).
A questo punto arriva Genesi: “in principio “, un lungo viaggio di otto anni nella natura incontaminata diventa la cura che gli permetterà di guarire.
Guarire dall’orrore: questo il punto. Il reporter lo fa ritornando al punto di partenza e, nello stesso modo in cui ha fotografato le grandi masse umane in movimento per le guerre, o legate al movimento collettivo nel risalire in migliaia le scale di una miniera a cielo aperto, fotografa le comunità di leoni marini, degli elefanti ecc..
Allora, quando l’obiettivo si allontana dal particolare per mostrarci il movimento collettivo di queste masse o gruppi, e ancora per allargarsi all’orizzonte di montagne distese infinite, vediamo come la guarigione del reporter avvenga attraverso il suo riprendere il contatto fisico con una comunicazione con la sua specie, interrotta dopo la visione della sua brutalità.
Durante il Congresso della Società di Psicoanalisi di Milano di quest’anno, Alessandro Bruni portava la nostra attenzione sui legami che abbiamo con questa nostra appartenenza alla specie. Guardando i pinguini, i leoni marini o gli elefanti muoversi insieme, legati da comunicazioni profonde, o i mille occhi luminosi degli alligatori nella notte, vediamo la stessa comunicazione che permette a migliaia di minatori di salire scale di corda senza mai cadere gli uni sugli altri, e riconosciamo la potenza anche del movimento collettivo
umano.
L’opera di Salgãdo va oltre alla semplice preposizione di un ritorno alla natura, o alla descrizione della continuità tra la specie umana e le atre specie.
Quello che descrive nelle sue foto e che spiega nel racconto è qualcosa che ha a che fare con il sentire: ci parla della fatica del camminare in terreni impervi, e della pianta dei piedi di chi cammina accanto; parla dello scoprire muscoli che non sapeva di avere, fotografa uomini che sembrano tutt’uno con gli alberi che salgono. “ […] a forza di allontanarci dalla natura per via dell’urbanizzazione, siamo diventati animali molto complicati che diventando estranei al pianeta siamo diventati estranei a noi stessi” (169).
Le Dolomiti sono a pochi chilometri di distanza da dove vivo e lavoro, per questo ho avuto più volte e più volte l’occasione di ascoltare i pensieri di chi passa molto tempo nelle montagne: non “tra” le montagne, ma “nelle” montagne, cioè dentro, parte delle montagne stesse.
Non è trascurabile il fatto che in questo caso sono montagne di una bellezza travolgente.
Per molte persone il contatto costante con la natura, anche nei suoi aspetti più cruenti, è l’unica forma di vita mentale possibile, o meglio è l’unica forma in cui la vita, per il tempo che possono trascorrere nelle montagne, può essere sentita possibile. Quello che però mi ha sempre colpito, e di cui molti pazienti mi hanno parlato, è la sensazione di “guarigione” che il salire una montagna con qualcuno, poteva dare.
Jones De Luca
Ottobre 2014
Scarica il comunicato stampa di SEBASTIÃO SALGADO – “Dalla mia Terra alla Terra”
© Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto
foto1. Regione di Chimborazo, Ecuador, 1998
foto 2.Galápagos, Ecuador, 2004