Un ricordo di Emma Piccioli
A cura di Patrizio Campanile
Emma Piccioli (1943-2020)
Per Ricordare Emma Piccioli
Gioia per gli amici. In tutti i sensi.
E’ dovuto passare un anno, ma prima di ora non ero proprio riuscito a scrivere qualche pensiero. Ormai però cade l’anniversario della sua morte e, tra gli amici, qualcuno deve trovare il coraggio e lo deve fare. Mi è capitato recentemente di ricordarla, emozionati entrambi, con una Collega che ha fatto l’analisi con lei e che poi è diventata sua amica. Allora mi sono deciso.
In alcuni di noi, colleghi ed amici stretti e cari, ha lasciato un vuoto paralizzante. Persona discreta e riservata è molto probabile non sia stata conosciuta dai più giovani membri della nostra comunità, ma è stata una di quelle persone che quando l’incontri lascia una traccia.
Per dare un’idea di come fossero tanto prezioso e arguto il suo punto di vista quanto fulmineo il suo sguardo sulle cose, desidero raccontare di come la conobbi alla Rivista di Psicoanalisi. In quegli anni era molto impegnata nell’IPA e quindi poteva partecipare saltuariamente agli incontri della Redazione; certamente non riusciva a leggere tutti i lavori che diligentemente dovevamo studiare per poterli discutere. Allora ascoltava, ascoltava, ascoltava e poi, facendosi largo nella nebbia che ormai dominava la scena (a quel tempo tanto Alberto Semi che l’amato, da lei e non solo, Pier Luigi Rossi fumavano ininterrottamente …) riusciva a guardare dall’alto; il suo era uno sguardo a volo d’uccello su quanto ci si stava dicendo. Piombava allora su quel qualcosa che ci era sfuggito e che era nascosto tra i dettagli della nostra discussione. Che capacità analitica! Immagino come sia stato sorprendente ed entusiasmante, per quanti l’hanno conosciuta come propria analista, intrecciare con lei pensieri ed affetti.
Dicevo della sua attività nell’International Psychoanalytical Association. Fino ad otto anni fa la SPI aveva nel suo Esecutivo nazionale un membro che la rappresentava nel consesso internazionale. Lei è stata la prima a svolgere questo ruolo. Per ben cinque anni è stata poi Chair dell’IPA Publication Commitee ed il riconoscimento che ebbe a livello internazionale la portò ad assumere la carica di Vice Presidente della Federazione Europea di Psicoanalisi.
Veniva da lontano; le era familiare muoversi nel mondo e lo ha girato in lungo e largo; la sua famiglia è in vari continenti.
Per dodici anni ha fatto la spola con la Turchia, prima come membro dell’IPA Supervisory Commitee e poi per insegnare teoria e tecnica psicoanalitica all’IPA Study Group PSIKE di Istambul. Fino alla fine, ha continuato a livello personale a seguire le vicende complesse di questi colleghi diventati ormai anche loro suoi amici.
E’ bene che nella SPI non venga dimenticata.
Mi mancano tanto e mi mancheranno per sempre i ricchi momenti di scambio e quelli intimi degli incontri di studio e conviviali che con lei avevamo tra amici stretti.
Patrizio Campanile
Ci piace ricordare, tra i lavori che testimoniano il suo impegno nella SPI, i seguenti.
WRITING IN PSYCHOANALYSIS, edited by Emma Piccioli, Pier Luigi Rossi, Antonio Alberto Semi. Psychoanalytic Issues, Monograph Series, Karnac Books for Rivista di Psicoanalisi, 1996.
VIOLENCE OR DIALOGUE? Psychoanalytic Insights on Terror and Terrorism, 2003 – Copyright IPA. Edizione italiana, VIOLENZA O DIALOGO? Insight psicoanalitico su terrore e terrorismo, Rivista di Psicoanalisi Monografie, International Psychoanalysis Library, General editor: Emma Piccioli. A cura di Sverre Varvin – Vamik D. Volkan, Borla, 2006.
PLURALISM AND UNITY? Methods of Research in Psychoanalysis – 2003 – The International Psychoanalytical Association. Edizione italiana, PLURALISMO E UNITÀ? Metodi di ricerca in psicoanalisi, Rivista di Psicoanalisi Monografie, International Psychoanalysis Library, General editor: Emma Piccioli. A cura di M. Leuziger-Bohleber, A. U. Dreher e J. Canestri, Borla, 2008.
Dalla Prefazione di “Violenza o dialogo? Insight psicoanalitico su terrore e terrorismo”
Questo libro, il primo della collana International Psychoanalysis Library, esprime bene l’attenzione che la comunità internazionale degli psicoanalisti dimostra oggi per il più esteso ambito sociale e culturale nel quale vive e lavora. Personalmente sono stata ben lieta di iniziare con esso la collana, e di poterne vedere ora la traduzione italiana per iniziativa di quella Rivista di psicoanalisi di cui io stessa nel passato ho fatto parte. Sono anche molto grata ad Anna Meregnani per l’intelligente impegno con il quale ha curato questa edizione. Perché il terrorismo? Nella sua Prefazione Daniel Widlöcher commenta il silenzio della psicoanalisi su domande di questo genere, facendolo risalire alla Seconda guerra mondiale. Non sono cero mancati gli psicoanalisti che hanno continuato a interrogarsi ed a scrivere individualmente sulla guerra e sul rilievo sociale della distruttività umana – come in Italia ha fatto Franco Fornari – ma il riferimento cronologico posto da Widlöcher ha un significato che si collega anche alla migrazione forzata di molti psicoanalisti e perciò alla dispersione dello spirito che animava il gruppo dei fondatori. Se ci chiediamo a nostra volta il perché di questo silenzio, ci accorgiamo che una sua premessa si può rintracciare ancor prima nel momento in cui la psicoanalisi passa dallo status di ‘movimento’ all’inevitabile fase successiva, quella del suo sviluppo organizzativo. Le necessità istituzionali di una disciplina in espansione, che si dava un assetto burocratico-amministrativo, contribuirono a dissolvere il movimento con le sue connotazioni di forza ideologica e sociale e di dissidenza. Le migrazioni legate agli avvenimenti della guerra dettero l’ultima spinta. Sorprendentemente a tali migrazioni si accompagnò pochissima attenzione per i problemi che sarebbero derivati dall’incontro con differenti contesti linguistici e culturali.
Sicché, quando l’IPA nel 1976, promosse un colloquio sulla ‘Identità dello psicoanalista’, si videro contrapposti a grandi linee due punti di vista, che sembravano alternativi, sul come praticare la psicoanalisi in un mondo in rapido cambiamento. L’uno poneva la necessità per lo psicoanalista di elaborare in modo critico la propria posizione in relazione a tutti i cambiamenti in atto, l’altro decretava invece una separazione netta fra la sua identità professionale e quella personale e sociale. Ma, in quella occasione, una posizione del tutto particolare fu quella in cui l’anziana Anna Freud disse invece di riconoscersi, definendo se stessa come “rappresentante di un ordine passato”. Essa non sentiva alcuna giustificazione ad intervenire in quanto la sua identità di psicoanalista non era mai stata scossa, nonostante le varie crisi esterne ed interne che avevano travagliato la sua vita. Probabilmente, aggiunse – e questo è il punto importante da sottolineare – era stata aiutata dal fatto di non aver mai isolato la sua identità professionale da quella sociale e personale. L’unica identità che potesse riconoscere come propria al gruppo dei fondatori era la “curiosità”, per il mondo del singolo e per il suo contesto. Era questo, io penso, lo spirito di un ‘movimento’ che era andato disperso. Mi pare che il lettore di questo libro potrà vedere come sia possibile oggi, in condizioni profondamente mutate, tradurre in atto qualcosa di questo spirito originario della psicoanalisi. Gli Autori, che sono in maggior parte ma non solo psicoanalisti, scrivono infatti in base alla loro esperienza ‘sul campo’, della violenza e del terrorismo, del terrore nel quotidiano, dell’immigrazione, della disumanizzazione nel mondo moderno. La prima comunità psicoanalitica era multiculturale e poliglotta, e la necessità di elaborare le differenze culturali un elemento costitutivo dell’identità di ciascuno. Gli Autori del libro hanno lavorato in gruppo ed i vantaggi di questa metodica sono chiaramente illustrati nell’Introduzione di Vamik Volkan: in primo luogo i vantaggi della multietnicità del gruppo e della varietà di esperienze formative (politiche, sociali, culturali e religiose) che erano in gioco. Su un tema come questo, rileva Volkan, è stato così più facile lo sforzo di guardare da prospettive diverse, mentre la diversità interna al gruppo “lo proteggeva anche dal rischio di fare distinzioni tra il ‘noi’ e il ‘loro’”. Un modo anche questo di perseguire la ‘neutralità’ psicoanalitica! Con ciò essi ci hanno consegnato un libro fatto per essere letto da qualunque lettore interessato, non necessariamente ‘addetto ai lavori’ in psicoanalisi, e noi speriamo che possa fornire un contributo alla comprensione di problemi sociali drammatici, in mezzo ai quali tutti viviamo.
Emma Piccioli