Cultura e Società

Parthenope Bion Tesi di laurea in filosofia, TERZA PARTE

27/03/12

 

I RAPPORTI FRA MATEMATICA E PSICOANALISI

9 – L’ apporto della matematica alla psicoanalisi:

a) il potenziamento
b) lo status della psicoanalisi

a) – L’apporto della matematica alla psicoanalisi può venire considerato sotto due punti di vista. Il primo si riferisce all’importanza che le riformulazioni e le metateorie che fanno uso della matematica possono avere per la pratica delle psicoanalisi, ed il secondo riguarda il cambiamento da esse determinato sullo “status” della psicoanalisi in rapporto al resto della conoscenza umana.
A questo punto vorrei discutere più approfonditamente ciò che intendo col termine “matematizzazione” e che cosa comporta il concetto di “applicazione” della matematica. Per fare ciò, occorre prima una breve parentesi sulla funzione della matematica e sulla sua struttura interna, (una problematica ce verrà poi sviluppata nel capitolo sull’apporto della psicoanalisi alla filosofia della matematica), che forse aiuterà a chiarire il concetto di “matematica”, che fin qui ho lasciato senza una definizione precisa.
Per quanto concerne la funzione della matematica, vorrei sintetizzare molto brevemente le posizioni delle varie scuole matematico/filosofiche (con riferimenti alle opere di Russell, Carnap, Poincarè e Heyting). Credo che si possa dire che la funzione della matematica in rapporto alla conoscenza in generale è duplice. In quanto la matematica viene considerata come formalizzazione del discorso, vale a dire, calcolo logico, essa serve soprattutto a comunicare ed a controllare l’esattezza del discorso. Quando invece l’attenzione si sposta più verso la metamatematica, lo studio di questa disciplina è considerato valido per l’informazione che può procurare sul funzionamento della mente umana. La matematica non ha carattere normativo nei confronti del mondo, ma è un aiuto per studiarlo, sia perchè i teoremi matematici permettono di ridurre la quantità di lavoro mentale dell’individuo, sia perché illuminano la dinamica di tale lavoro.
Per quanto concerne la struttura interna della matematica, propongo di seguire la linea di Carnap, quando egli parla della costruzione della matematica classica come dell’abbinamento dei numeri naturali con un calcolo logico.
Mi sembra che all’interno della disciplina “matematica” si possano distinguere due fondamentali tipi diversi di elemento, i concetti statici (i diversi tipi di numero,i concetti di “classe”, “funzione”, ecc.) e le operazioni che si compiono su questi concetti o elementi – base. I concetti non sono necessariamente dati anteriormente alle operazioni – anzi, credo che si possa dire che il concetto è spesso il nome che viene dato al risultato di una certa operazione, o, alternativamente, è un segno che indica che una data operazione deve venire compiuta; per esempio, il concetto di “funzione” è di questo tipo, un concetto che si potrebbe forse chiamare dinamico in contrasto con quello statico di numero, avente una posizione simile a quella del gerundio nella lingua inglese, che non è esattamente né verbo né nome, ma partecipa delle funzioni di tutti e due.
La matematizzazione di una disciplina, nel senso più sofisticato di questa frase, richiede che gli elementi statici (i concetti) della disciplina in questione possano venire rimpiazzati con concetti e termini matematici, e che le relazioni fra gli elementi possano venire espressi come operazioni matematiche. Così la disciplina viene formalizzata e spesso, ma non necessariamente, quantificata. Spesso le operazioni matematiche possono venire espresse in termini di relazioni logiche-matematiche, come, a volte, queste in termini di quelle.
Quindi si può dire che la matematizzazione significa la traduzione di una disciplina, sia sul piano statico che su quello dinamico, in termini matematici. L’applicazione della matematica ad una data disciplina, invece, non comporta questo tipo di traduzione, ma, piuttosto, la sovrapposizione di concetti matematici ai concetti della disciplina, cioè la traduzione solo parziale della disciplina. Per esempio, si possono quantificare i concetti statici, come quando viene compiuto uno studio statistico. Alternativamente, si possono adoperare delle relazioni prettamente matematiche assieme a dei concetti della disciplina.
Penso che sia chiaro che, per il momento, si può dire della psicoanalisi che essa ha preso in prestito concetti e modi di pensare (operazioni) matematici e che non ha fatto che pochi passi sulla strada della completa formulazione in termini matematici. Per ciò, è più giusto parlare della applicazione della matematica alla psicoanalisi che non della sua matematizzazione. E’, comunque, un problema aperto se questa matematizzazione sarà un giorno compiuta.
I principali motivi che hanno portato a tentare l’applicazione della matematica alla psicoanalisi si possono riassumere in due gruppi: da una parte il desiderio di chiarire meglio i concetti e le teorie analitici, e dall’altra, quasi come risultato di questa chiarificazione, l’intenzione di fornire uno strumento migliore agli analisti per comunicare. Quindi sono tentativi di potenziare la psicoanalisi in quanto strumento di studio, o disciplina conoscitiva, ed il fatto che questo potenziamento abbia un effetto sullo “status” della psicoanalisi è da considerarsi quasi un risultato secondario, anche se di grandissima importanza.
Nell’opera di Bion, l’uso di strumenti quale il Grid, che si potrebbero definire proto-matematici, ha una funzione chiarificatrice soprattutto a livello pratico e personale: vale a dire che, prima di essere un mezzo di comunicazione fra analisti, esso serve all’analista per ordinare le proprie idee sul paziente e per seguire lo sviluppo di questi. E’ soltanto in un secondo momento che il Grid potrà servire come base per la costruzione di un linguaggio. Matte Blanco, invece, percorre una simile strada in senso inverso, perché parte dall’esigenza epistemologica di raggruppare e riformulare le due teorie freudiane sulla struttura mentale per volgersi, in un secondo tempo, ad applicare la riformulazione, che fa uso di concetti matematici, al lavoro pratico, per illuminare e seguire il comportamento dei pazienti.
Indubbiamente la metateoria di Matte Blanco è considerata dall’autore come facente parte non soltanto del corpus delle teorie di metapsicologia, ma anche come strumento dinamico di ricerca per capire il singolo paziente e per costruire ulteriori teorie; ed altrettanto si può dire del Grid di Bion nella sua attuale forma. I risultati conseguiti dall’uso del Grid dovrebbero però portare ad una eventuale formalizzazione delle teorie analitiche, per cui questo strumento può essere considerato come avente una duplice funzione dinamica, una immediata ed una a lunga scadenza.
In quanto all’uso delle operazioni matematiche fatte da parte di Bion, esso senz’altro tende a potenziare gli strumenti di teorizzazione a disposizione degli analisti. Non sono da considerarsi uno strumento dinamico nel senso della meta-teoria di Matteo Blanco o del Grid, che aiutano a capire il paziente, ma in quanto essi servono a costruire teorie. Bisogna però dire che le teorie costruite con l’aiuto di operazioni matematiche sono in verità meta-teorie, con funzione chiarificatrice ed esplicativa delle teorie analitiche di base, quelle, cioè, formate dallo studio diretto dei pazienti.
E’ chiaro, comunque, che gli sforzi di ambedue questi studiosi sono diretti a fornire nuovi strumenti metateorici alla psicoanalisi che devono servire sia per afferrare e capire lo sviluppo del singolo paziente che per la comunicazione di fatti analitici ad altri analisti. Nessuno dei due si è proposto di creare nuove teorie analitiche descrittive con l’aiuto di strumenti matematici, ma piuttosto di riformulare quelle già esistenti e di creare in conseguenza nuove teorie metapsicologiche. Poiché la matematica comprende molti rami, non sarebbe affatto strano se in futuro si adoperassero anche altri campi matematici per riformulare teorie analitiche. Secondo Bion (41) , una geometria multi-dimensionale potrebbe illuminare altri aspetti della dinamica dell’Inconscio, mentre la topologia potrebbe essere usata per chiarire alcuni concetti connessi con i problemi dei limiti della personalità.
Poiché sia Matte Blanco che Bion usano la matematica in qualche modo per formare teorie, viene spontaneo chiedersi se c’è qualche nesso fra loro, e, in caso affermativo, quali sarebbero le sue caratteristiche. Ancona, in un testo in corso di pubblicazione presso Mondadori (42) collega il lavoro dei due autori al livello delle loro teorie del pensiero, accomunando le “borse di simmetria” di Matte Blanco, con le loro “pellicole di asimmetria”, al contact barrier di Bion, ma questo particolare aspetto delle loro teorie esula dall’ambito di questa tesi. Piuttosto, per quanto concerne un possibile rapporto fra le loro opere viste sotto la luce dell’aggancio con la matematica, bisogna dire che nonostante alcuni punti di contatto, principalmente al livello delle mete proposte, l’approccio ai problemi ed il modo di formularli sono talmente diversi da rendere estremamente difficile un accostamento del pensiero dei due autori. Partono da basi filosofiche contrastanti: Matte Blanco si avvicina di più alla matematica classico-formalista, mentre Bion a quella intuizionista. Le differenze fra i loro approcci sono ben esemplificate da Matte Blanco quando ha fatto presente (43) il fatto che, nelle pagine di matematica dodgsoniana citate sopra, Bion si avvale praticamente di qualcosa che assomiglia fortemente, e forse è, il concetto matematico di “annihilator” (44), sul quale concetto lo stesso Matte Blanco stava lavorando. Cioè, Bion ha “scoperto” il funzionamento di questo concetto mentre studiava le caratteristiche dello Inconscio, mentre Matte Blanco partiva dallo studio del concetto matematico in quanto tale per vedere in un secondo tempo un suo possibile rapporto col sistema di Bi-Logic.
Potrebbe forse esserci un qualche tipo di rapporto se si prende il sistema di Bi-Logic come un sistema deduttivo – se è possibile fare ciò senza falsare la sua natura – come effettivamente mi sembra che sia, ed inserire l’intero sistema alla riga G del Grid; ma tutto ciò è un problema ancora aperto. Mi sembra che dovrebbe essere possibile dedurre fatti nuovi adoperando il sistema di Bi-Logic, e che Matte Blanco abbia già fatto questo o che perlomeno abbia fatto un tentativo in questo senso, e in tal caso lo inserimento nel Grid sarebbe giustificato.
Comunque, si può concludere che l’applicazione della matematica potenzia notevolmente l’armamento meta-teorico della psicoanalisi, principalmente perché le fornisce delle formulazioni più chiare e rigorose delle teorie già esistenti, il che facilita l’applicazione di queste teorie ai pazienti, mentre, nello stesso tempo, l’uso di operazioni matematiche applicate ai concetti analitici aiuta a formalizzare (a teorizzare) certi modi di pensare del paziente. Questo potenziamento delle teorie e della teorizzazione psicoanalitiche ha una notevole importanza per quanto riguarda lo “status” della psicoanalisi stessa.

b) – Le attività umane che si possono in qualche maniera definire intellettuali rientrano in quattro grandi categorie, le scienze (o la scienza), le arti, la religione e la filosofia. Più sopra, ho definito la psicoanalisi una “disciplina conoscitiva”, volendo significare con questo termine una disciplina che si occupa dello studio dei fatti. Una simile definizione già fa rientrare la psicoanalisi nel campo delle scienze e questo non sulla base della sua azione terapeutica, che spesso è l’unico motivo per cui si pretende di considerarla una scienza (perché fa parte della medicina), ma perché è appunto uno studio compiuto sui fatti reali (45). Anche quando, come si vedrà sotto, la psicoanalisi viene accostata ad altre discipline, ciò che viene studiato in esse con l’aiuto della psicoanalisi è l’elemento psicologico che le sottostà, per cui, nonostante le numerose possibilità di applicazione della psicoanalisi, questa disciplina studia i fatti reali mentali.
Per quanto concerne il rapporto della psicoanalisi con le altre categorie summenzionate, bisogna dire che è chiaro che la psicoanalisi non ha rapporti con la religione, in quanto non ne scaturisce né porta ad essa; anzi,in genere, le due attività, religiose e psicoanalitiche, si trovano in forte contrasto. L’unico rapporto possibile fra loro è quello di uno studio psicoanalitico della religione (46).
E’ altrettanto chiaro che lo stesso discorso vale per le arti – ciò che si è imparato dalla psicoanalisi può illuminare il retroscena, per così dire, del lavoro creativo (47).
Il discorso è un po’ più complesso per quanto riguarda il rapporto fra psicoanalisi e filosofia. E’ ovvio che si può compiere su una filosofia o su un filosofo lo stesso tipo di studio analitico che si può fare sulla religione o su un’artista, ma il rapporto fra le due discipline non si esaurisce qui. Innanzitutto bisogna porsi la domanda se una conoscenza, o, più propriamente, una formazione psicoanalitica porta verso una filosofia. La risposta freudiana al quesito se la psicoanalisi porta ad una particolare concezione del mondo, è praticamente negativa per quanto concerne la filosofia. La conoscenza della psicologia umana non è una base adatta per la costruzione di un sistema filosofico. Si può dire, semmai, che l’influenza è stata nell’altra direzione; come già accennato, c’è un nesso visibile fra Helmholtz e Freud (48). Indubbiamente, l’aver subito una psicoanalisi cambia l’atteggiamento dell’individuo verso il mondo, e quindi influenza le sue azioni, ma credo che non sarebbe possibile edificare una filosofia che pretendesse di “spiegare” il mondo sulla base della psicologia.
C’è però almeno un senso in cui si può dire che la psicoanalisi e la filosofia hanno un certo rapporto, poiché spesso lo psicoanalista si trova a dover affrontare problemi, nel corso del suo lavoro quotidiano, di tipo filosofico. Già il fatto che in passato lo studio della natura umana era dominio incontestato della filosofia accomuna le due discipline, con la differenza che la filosofia, anche se certamente non priva di intuizioni in campo psicologico, si avvaleva di una osservazione in certo senso più sommaria e non si proponeva, come compito specifico, di controllare le sue ipotesi. Ma a parte questa radice comune, lo psicoanalista si trova a dover affrontare, sul piano pratico e spesso con una certa urgenza, problemi connessi con la natura, per esempio, dello spazio e del tempo. Anche la fisica tratta questi problemi, e si può dire che ciascuna disciplina si avvicina al problema da un punto di vista diverso e con diversi scopi; la filosofia ha il compito di creare una base speculativa, di “lanciare le idee”, di indicare una possibile direzione per studi e ricerche. Questi suggerimenti speculativi possono venire ripresi poi, sia dalla psicoanalisi che approfondisce l’aspetto psicologico del problema, sia dalla fisica, che studia quello oggettivo. Per quanto concerne il rapporto fra Psicoanalisi ed una data etica, vuoi religiosa, vuoi filosofica, bisogna dire che essa non comporta un insegnamento etico, perché il suo compito si ferma alla liberazione della personalità del paziente dalle inibizioni che gli impediscono lo svolgimento di una vita piena e “normale”. Questo vuole dire semplicemente che viene restituita all’individuo la sua libertà di scelta, in una più piena coscienza di quello che egli è realmente.
La psicoanalisi è sempre stata tacciata dai suoi avversari di non essere scientifica, per lo più, credo, per il fatto che essa non è matematizzata (formalizzata). Innanzitutto vorrei dire che non ritengo che il fatto che fino a poco tempo fa non si sia usata la matematica, per la psicoanalisi o nella psicoanalisi, sia un motivo sufficiente per escludere questa disciplina dal campo scientifico; ci sono anche altre discipline che non sono totalmente matematizzabili e che adoperano concetti che forse non saranno mai traducibili in termini matematici, della cui “scientificità” nessuno oserebbe dubitare – la biologia, per esempio.
E’ utile ricordare in proposito l’opinione di Heisemberg sulla funzione formalizzante della matematica (del linguaggio scientifico) in rapporto all’espansione della conoscenza “…i concetti del linguaggio naturale, vagamente definiti come lo sono, sembrano essere più stabili nell’espansione della conoscenza di quanto non siano i termini precisi del linguaggio scientifico, derivato come una idealizzazione solo da gruppi limitati di fenomena” (49). Questo significa che la matematizzazione di una disciplina non è una “conditio sine qua non” per la sua partecipazione nel gruppo delle scienze, a meno che non si definisca così strettamente la “scienza” da farla coincidere con la matematica. La formalizzazione di una disciplina, quindi, è posteriore alla sua formazione, ed anche se cambia lo status della disciplina in questione all’interno del gruppo di scienze, non è questa che ne giustifica la sua partecipazione.
Quali sono le caratteristiche di una scienza, a parte la formalizzazione? In un primo luogo, lo scopo di una scienza è di studiare un certo gruppo di fatti oggettivi.
Per fare ciò, essa fa uso di (a) un particolare metodo per arrivare a raccogliere i fatti; questo metodo è basato su (b) alcuni principi, e (c) le teorie che vengono costruite sui fatti possono venire messe alla prova (si può controllare la loro esattezza) mediante certi metodi. Tutte le scienze hanno in comune la ricerca della verità e questo richiede il massimo grado possibile di onestà da parte del ricercatore, ma possono differire nei loro metodi e principi. Penso che sia principalmente a causa del divario esistente in questi campi che si dubita che la psicoanalisi sia una scienza. Ma si esamina la struttura della psicoanalisi, si vede che essa ha tutte le caratteristiche che contraddistinguono una scienza nella sua prima fase di sviluppo.
Nella maggior parte delle scienze si tende a compiere ricerche su oggetti secondo schemi già decisi e con la intenzione di scoprire una certa cosa, ma nello studio analitico della personalità umana si lavora allo stadio iniziale di organizzazione della scienza. Vale a dire che è più utile per lo psicoanalista tornare alla contemplazione del paziente, piuttosto che cercare in lui qualche elemento che si conforma a schemi già predisposti. (E’ alla teorizzazione di questo tipo di atteggiamento quasi mistico nei confronti del paziente, da parte di Bion, che mi riferivo dicendo che forse egli è stato influenzato da alcune correnti di pensiero orientali – ed anche da mistici occidentali come S. Giovanni della Croce). E’ sempre possibile che il paziente in questione non si conformi agli schemi già predisposti, e si rischierebbe di non vedere quegli elementi della sua personalità che esulano dagli schemi predisposti. Tutto ciò può far apparire il metodo psicoanalitico decisamente non-scientifico, anche perché non è possibile fare degli esperimenti sulle persone nella stessa maniera che sugli oggetti. Ma il poter fare o non fare degli esperimenti non mi sembra un criterio sufficiente per giudicare se un metodo per giungere alla conoscenza sia scientifico o meno. Il criterio più valido mi sembra essere quello della base teorica del metodo in questione, se questo, cioè, si basa su dei principi conoscitivi. Per quanto concerne il metodo psicoanalitico, bisogna tener presente che esso è basato sui principi di determinismo e di continuità genetica: nessun fatto che ha luogo durante una seduta analitica (o in genere) è casuale, ma tutti fanno parte di un unico mosaico e tocca all’analista, con l’aiuto delle teorie analitiche dello sviluppo della personalità e dell’interazione fra individuo e gruppo, individuare il posto nel mosaico di ciascun elemento, e, ancora più importante, le grandi linee del disegno. Una delle difficoltà che l’analista deve affrontare è che gli elementi possono avere più di un determinante, come se fossero chiavi che aprissero più porte, e bisogna che egli sappia indicare tutte le strade che portano a simili punti nodali.
Si è parlato sopra di un terzo elemento che compone il lavoro scientifico, della possibilità, cioè, di provare la esattezza delle teorie. Si è già accennato al fatto che l’analista non può fare uso di esperimenti; come fa, allora, a provare che, in primo luogo, una certa teoria è esatta e che, in secondo luogo, l’uso che egli ne fa in una data occasione è anch’essa esatto? Il frutto dell’applicazione di una data teoria a qualcosa che viene detto o a qualche azione compiuta dal paziente è un’interpretazione analitica ed è tramite le reazioni alle interpretazioni che l’analista può controllare le teorie e le loro applicazioni. Sarebbe troppo facile se, ogniqualvolta l’interpretazione fosse esatta, il paziente lo riconoscesse apertamente: spesso invece, la reazione può tardare o si manifesta in un senso di sollievo (magari anche mentre il paziente la contesta verbalmente) e generalmente l’analista si deve fidare del fatto che una interpretazione falsa semplicemente non ha nessun effetto sul paziente, né sul momento, né più tardi.
Per riassumere ciò che si è venuto dicendo fin qui, la psicoanalisi dispone di un metodo di ricerca, basato su dei principi conoscitivi di guida, e di uno strumento che, al tempo stesso fa parte del metodo di ricerca e funziona da controllo sulle teorie e le loro applicazioni.
Queste sono le caratteristiche di una scienza “giovane”. Penso che sia abbastanza chiaro che la possibilità di applicare la matematica alla psicoanalisi cambia lo status di questa; essa non è più una scienza embrionale, ma è sulla strada della formalizzazione. Le riformulazioni di teorie psicoanalitiche con l’aiuto della matematica non solo potenziano l’apparato interno di teorie e strumenti teorici, ma innalzano la psicoanalisi ad un livello più evoluto di scienza. Bisogna però tener conto della possibilità che l’incontro fra matematica e psicoanalisi non sia stata tutta a favore di quest’ultima disciplina e che forse un’applicazione delle meta-teorie (che sono il principale risultato dell’incontro) alla filosofia della matematica possa essere illuminante. E’ alla considerazione di questa possibilità che viene dedicato l’ultimo capitolo.

10 – L’apporto della psicoanalisi alla filosofia della matematica

Come premessa a questa discussione, desidero dire ancora due parole sulla natura e lo scopo della psicoanalisi. A parte i brevi cenni nel capitolo precedente allo studio analitico della religione e dell’arte, ho considerato fin qui la psicoanalisi solo come disciplina che studia la psicologia umana. Che faccia questo è indubbio, ma bisogna andare anche oltre e vedere come possono venire utilizzate in campi non connessi con la psicoanalisi le conoscenze (dati) che risultano da un simile studio. Vorrei citare in proposito uno degli ultimi scritti di Freud, sulle applicazioni della psicoanalisi: “Vi ho detto che la psicoanalisi ha avuto inizio come terapia, ma non ho voluto raccomandarla al vostro interesse in quanto terapia, bensì per il suo contenuto di verità, per gli schiarimenti che essa ci reca intorno a tutto ciò che tocca l’uomo e il suo proprio essere, e per i nessi che essa scopre tra le forme più diverse delle attività umane” (50).
E’ probabile che con l’ultima parte della frase (quella parte che ho sottolineato) Freud avesse in mente principalmente il fenomeno di sublimazione; cioè, quel meccanismo per cui l’energia connessa con gli impulsi istintuali viene diretta verso fini diversi da quelli istintuali. Ma, senza cadere nell’errore di voler ricondurre ogni elemento dell’attività mentale dell’uomo alla psicologia dell’uomo e trovare là la sua ragion d’essere (una specie di solipsismo psicologico) – perché è chiaro che in ogni campo di conoscenza c’è una interazione fra l’uomo e il mondo – è possibile dare una interpretazione più ampia alle parole di Freud. Vale a dire che i fatti scoperti tramite la psicoanalisi, soprattutto una psicoanalisi i cui strumenti teorici sono stati potenziati dall’incontro con la matematica, possono essere adoperati per illuminare la componente psicologica di altre discipline. Perché se è vero che le discipline scientifiche studiano il mondo oggettivo, è altrettanto vero che lo strumento che studia è l’uomo, la mente umana, ed è bene sapere quali sono gli elementi della nostra conoscenza del mondo che sono influenzati dal fatto, o che dipendono dal fatto, che siamo noi che conosciamo. Ciò che si è scoperto nella fisica teorica, e cioè che la interazione fra osservatore e fatti osservati influenza i fatti, è molto probabilmente vero anche per altre discipline, anche se forse in una maniera meno clamorosamente evidente. E’ indubbiamente vero nella stessa psicoanalisi, dove il dover parlare dei fatti sperimentati falsa la natura di questi.
E’ questione, dunque, di adoperare i dati scoperti psicoanaliticamente per illuminare altre discipline. In proposito è stato suggerito da Bion, in “Attention And Interpretation”, che la psicoanalisi dovrebbe essere considerata non tanto come una disciplina che comprende tutta la psicologia umana, ma piuttosto come un insieme di nozioni che a loro volta illuminano vari aspetti psicologici del mondo. Un atteggiamento di questo genere comporta una grossa apertura della psicoanalisi verso il resto del mondo, perché essa non è più considerata come una disciplina ad universo chiuso”. Diventa possibile strumentalizzare le scoperte psicoanalitiche per studi che non rientrano apparentemente nel suo ambito; naturalmente non si pretende che la psicoanalisi dia una spiegazione globale di un’altra disciplina, ma che essa ne illumini l’aspetto psicologico. Intendo dunque prendere spunto da alcune teorie e scoperte psicoanalitiche per illuminare la filosofia della matematica.
Un simile uso non è in contrasto con quanto scritto precedentemente, cioè che la psicoanalisi non porta ad una Weltanschauung filosofica, non porta, cioè, ad adoperare i dati della disciplina per formare una “visione del mondo” filosofica. Anche perché l’uso della psicoanalisi non implica l’approccio a questa come ad un corpus monolitico, bensì l’impiego, volta a volta, di quei dati, da essa raccolti, più utili secondo le varie necessità.
Finora gli psicoanalisti non si sono interessati molto ai rapporti fra matematica e psicologia, mentre i matematici invece si sono schierati con una certa passione su due posizioni opposte. Da una parte si trovano quelli, come per esempio Russell, che ritengono che la matematica sia una cosa a sé stante, le cui leggi sono indipendenti da noi ed in qualche senso oggettive. Dall’altra parte si trovano principalmente gli intuizionisti che considerano che la matematica sia prevalentemente un prodotto del pensiero umano. E’ abbastanza evidente, credo, che il problema del rapporto fra logica e matematica, ben lungi dall’essere estraneo al problema centrale del rapporto fra la matematica e l’uomo, è invece di fondamentale importanza per la soluzione di questo, (se si può veramente osare di parlare di “soluzione” quando si tratta solo di fare qualche considerazione in merito al problema). Anzi, già il semplice affermare, non che ci sia una soluzione, ma che questa possa venire riconosciuta come tale, sembra un po’ azzardato. Evidentemente bisognerebbe cercare altrove una conferma o meno dell’esattezza delle speculazioni qui proposte, e pertanto esse devono rimanere soltanto delle speculazioni. Sono consapevole del fatto che queste considerazioni possono avere un sapore almeno di sfiducia, se non di disfattismo, nei confronti della filosofia, ma questo è perché ritengo che il filosofo ha il compito di aprire nuovi orizzonti, per la ricerca scientifica, per il pensiero, non di fornire le risposte. Per essere più esatta, vorrei dire che le risposte che effettivamente vengono fornite dai filosofi dovrebbero servire come altrettanti nuovi punti di partenza, e che non si può considerarle come punti di arrivo.
Desidero quindi trattare prima il problema del rapporto fra logica e matematica, nella speranza di rendere più semplice l’esposizione di una teoria sulla natura della matematica. In primo luogo mi sembra utile riassumere molto brevemente le posizioni di Russell Carnap e Heyting su questo argomento. Heyting afferma che la logica è una parte della matematica, mentre Carnap asserisce il contrario, e cioè che la matematica è un ramo della logica. Russell invece ritiene che ci sia un rapporto così stretto fra le due discipline che è difficile dire dove si situino i limiti reciproci – sembrano interpenetrarsi, tanto è vero che la funzione delle regole della logica nei confronti della matematica viene paragonata a quella della struttura per l’architettura.
Mi sembra che ai fini di sviluppare una più chiara concezione del rapporto fra logica e matematica, bisognerebbe innanzitutto fare una distinzione più rigorosa possibile fra le due discipline, prescindendo dal loro eventuale rapporto, e ponendosi domande di una estrema semplicità, come, per esempio, “Che cosa è la logica?” “Che cosa è la matematica?”.
Della struttura interna della matematica si è già parlato – essa può venire concepita come consistente in elementi statici (concetti matematici – numero, funzione, ecc.) e nelle operazioni compiute su di esse. Per quanto concerne la logica, si può dire che la sua struttura non è dissimile. Vale a dire che essa consiste in elementi statici e nelle relazioni fra loro. Nonostante questa grande somiglianza, le due discipline sono da considerarsi diverse perché i loro universi di discorso sono diversi: trattano elementi di tipo diverso. Gli elementi matematici, quando non sono addirittura “costruiti” secondo le esigenze (p. es. i numeri immaginari) sono per lo meno altamente astratti e formalizzati, mentre gli elementi che si incontrano nella disciplina “logica” (proposizioni, concetti formulati in parole, cioè nomi, aggettivi, ecc.) mancano tanto di astrattezza da poter essere considerati ciascuno come un universo in espansione, con molteplici significati e sfumature, i cui limiti non sono né definiti né definibili. Mi sembra che questa affermazione rimanga valida nel caso anche di una logica formalizzata: anche se si adoperano dei segni per i concetti, ed anche se si cerca di renderli il più astratti possibili, bisogna sempre tener conto del fatto che i segni si riferiscono a concetti di un tipo molto diverso da quelli matematici. La formalizzazione della logica serve per mettere in risalto gli effettivi legami fra i concetti, ma non altera la natura di questi.
Il rapporto fra logica e matematica è da cercare quindi nel campo delle operazioni matematiche e delle relazioni logiche. La posizione assunta da Carnap in merito implica che non vi è nessuna differenza fra le relazioni logiche e le relazioni (operazioni) matematiche, ma, allo stesso tempo, egli esclude la geometria della logica – presumibilmente perchè ci sono delle relazioni geometriche che non rientrano nel campo (in verità abbastanza ristretto) delle relazioni che egli ritiene essere relazioni logiche.
Credo invece che si possa sviluppare più fruttuosamente il discorso sul rapporto fra logica e matematica partendo dal semplice fatto della loro somiglianza (per esempio, fra la congiunzione e la disgiunzione in un discorso e la moltiplicazione e l’addizione dei numeri) e dal fatto che alcune relazioni sembrano appartenere indifferentemente all’una e all’altra (la negazione). Non è possibile che la ragione di questa somiglianza si trovi nel fatto che la mente umana tende a compiere le stesse operazioni su due tipi diversi di elementi? In un campo la struttura formalizzata a posteriori che risulta dallo studio delle relazioni si chiama logica, e nell’altro, matematica. Perché allora sono possibili, almeno fino ad un certo punto, la matematizzazione della logica e la logicizzazione della matematica? Forse perché, anche se gli universi di discorso sono diversi, le operazioni compiute nell’uno sui numeri e nell’altro sugli elementi del linguaggio naturale possono venire tradotte da un universo all’altro perché scaturiscono da una fondamentale matrice comune a livello psicologico.
Con questo non voglio affatto dire che “si pensa” secondo la logica o secondo le regole matematiche: il pensiero o il processo di pensare, non è afferrabile o descrivibile in termini di una logica semplice (in contrasto col sistema di Bi-Logic di Matte Blanco), ma la logica è un tentativo di afferrare la struttura del pensiero a posteriori.
Russell indubbiamente aveva ragione nel dire che nessuno aveva mai pensato secondo le “Leggi del Pensiero” di Boole, proprio perché quelle leggi sono la schematizzazione a posteriori di un processo assai complesso. Kneale infatti ritiene che Boole, “…in effetti trattava di alcune fra le più generali leggi dei pensabili” (51). Vale a dire che è soltanto quando noi abbiamo imposto uno schema di dati che riusciamo ad afferrarli e “pensarli” – altrimenti, essi non rimangono che degli elementi dispersi che non possono venir compresi.
Queste affermazioni mi sembrano essere in accordo con quanto detto su ciò che si potrebbe definire la “complementarietà” delle operazioni matematiche e logiche. Ambedue le discipline scaturiscono dal funzionamento della mente umana, ambedue sono formalizzazioni a posteriori di modi di pensare, senza che questi implichi che essi siano gli schemi secondo cui si pensa. In proposito, vorrei richiamare l’attenzione su quanto detto da Matte Blanco relativamente alla maniera asimmetrica che dobbiamo necessariamente usare per afferrare l’inconscio. Secondo l’autore il pensiero inconscio è di natura tale che il semplice uso di concetti come “simmetria” e “asimmetria” falsa l’oggetto di studio, ma, d’altronde, è soltanto usando concetti di questo genere che si riesce ad afferrare i dati.
Prima di lasciare questo argomento vorrei tornare un momento al problema della logicizzazione della matematica (o viceversa). E’ chiaro che quando si arriva ad una formalizzazione della logica, c’è un maggiore avvicinamento fra le due discipline, perché gli elementi logici vengono trattati come se fossero elementi matematici, i primi essendo stati formalizzati fino al punto di diventare assai astratti. (Anche se il loro grado di astrazione non toglie la fondamentale differenza a livello semantico tra oggetti logici e concetti matematici). Forse si giungerà a provare la possibilità di una totale interscambiabilità fra le relazioni logiche e le operazioni matematiche (come esempio dell’uso di operazioni matematiche in luogo di relazioni logiche vorrei richiamare l’attenzione sulla matematica Dodgsoniana di Bion) ma è anche possibile che si raggiunga un punto in cui diventerà palese una loro radicale differenza così da non permettere lo scambio totale. Vale a dire che non sarà possibile matematizzare completamente tutte le discipline scientifiche, e fra quelle non matematizzabili penso che si potrebbero trovare sia la biologia che la psicoanalisi. Ciononostante, si potrebbe forse sviluppare una logicizzazione di simili discipline, che avrebbe la funzione di formalizzarle a un grado elevato, lasciando spazio tuttavia per elementi non formalizzati o completamente definiti che avrebbero la funzione di essere “punti di crescita” per la disciplina. Questa ipotesi sul rapporto fra logica e matematica modifica un po’ le mie affermazioni sul lavoro di Matte Blanco; forse si dovrebbe dire che questo autore, più che applicare la matematica alla teoria psicoanalitica, ha fatto un primo tentativo verso la logicizzazione di questa. Certamente, le teorie e concetti che egli mutua dalla teoria degli insiemi (e la stessa insiemistica) partono da una concettualizzazione più logica che matematica.
Vorrei ora fare alcune considerazioni sul rapporto che intercorre fra la psicologia umana e la matematica. E’ noto che gli intuzionisti ritengono che la matematica sia una costruzione mentale pura e semplice; soprattutto Heyting non sembra interessarsi al problema del rapporto fra tale costruzione ed il resto dell’universo. Poincarè invece si pone questo problema. Egli afferma che sebbene la matematica ci insegni qualcosa sul funzionamento della mente umana, essa si basa anche in un certo qual modo sul mondo esterno. Questo è vero soprattutto per la geometria che nasce dalla necessità di concettualizzare lo spazio che circonda ciascun individuo – una necessità vitale, perché da questa concettualizzazione dipende la capacità di difesa, di ricerca del cibo, ecc.. Vorrei mettere in rapporto con questo suo punto di vista quello in cui Poincarè afferma che quanto più astratta diventa la geometria, tanto più ci insegna sul funzionamento della nostra mente e meno sul mondo esterno. Un altro elemento che servirà da base per quanto desidero esporre è questa citazione: “il vero geometra attua questa selezione con giudizio, perché guidato da un sicuro istinto, o da qualche vaga consapevolezza di non so quale geometria più profonda e nascosta, ed è sola questa ultima che dà un valore all’edificio costruito” (52).
Su queste tre affermazioni, desidero fare un unico commento: non è possibile che il matematico, più che concettualizzare lo spazio esterno, cerchi di visualizzare e quindi concettualizzare, quello interno?
E’ senz’altro più facile fare un discorso di questo tipo per quanto concerne la geometria: è chiaro che la geometria; è collegata in qualche modo con lo spazio che circonda l’individuo (anche se non è affatto chiara la natura di questo collegamento) e mi sembra probabile che la formalizzazione geometrica possa essere il risultato di un tentativo di auto-espressione da parte del matematico. L’applicazione della geometria al mondo esterno è una seconda fase – e tuttora, non si sa quale geometria rifletta esattamente lo stato del mondo. E’ interessante notare che il rapporto fra spazio e tempo al livello psicologico (inconscio – non ai livelli profondissimi di questo, ma a quelli più superficiali, dove, nei termini di Matte Blanco, c’è ancora una certa quantità di relazioni asimmetriche) riflette la teoria di Einstein in merito allo Spazio ed il Tempo secondo la quale sono comprensibili e definibili l’uno in termini dell’altro. Un paziente può, per esempio, fare un’osservazione un giorno e completarla dopo sei mesi, dando così espressione (temporale) alla circostanza che i due elementi della affermazione si trovano ad una distanza (spaziale) enorme fra loro.
Questo indica un senso di spazio infinito all’interno dell’individuo, che egli riesce solo ad esprimere sulla scala temporale e non su quella spaziale. Ma è ben possibile che un matematico riesca ad esprimere il senso del proprio spazio interno in termini di spazio. Il valore di queste affermazioni viene rafforzato dalla considerazione che anche Russell, che certamente non vedeva di buon occhio le tesi di Poincaré sull’intuizione, riteneva che un “raccoglimento in se stesso” fosse assolutamente necessario come premessa per qualsiasi lavoro matematico creativo; un’opinione che potrebbe permettere di pensare che la scoperta matematica sia il risultato di un esame approfondito del proprio inconscio.
Un’ipotesi di questo genere nei confronti della geometria si avvicina a quella di Bion per quanto concerne la numerizzazione. Sono delle ipotesi che lasciano assolutamente senza spiegazione il rapporto fra matematica e mondo, perché appunto fanno scaturire la matematica da esigenze espressive, come se fosse musica, arte o poesia. Sembra, però che questa esigenza di esprimersi sia basilare nell’essere umano, e che in ogni campo l’espressione di uno stato psicologico abbia luogo sotto il segno della definizione e della restrizione – le qualità che Bion ascrive alla numerizzazione: un “qualcosa” viene afferrato dall’infinito (53).
Questo meccanismo o modo di “afferrare” gli elementi è quello descritto da Klein come lo spostamento dalla posizione paranoica-schizoide a quella depressiva, ed è il fondamentale movimento che caratterizza tutto il pensiero.
Vorrei ora fare alcune considerazioni in merito al rapporto fra la matematica ed il mondo esterno. Penso che qualsiasi campo di conoscenza sia il risultato dell’interazione fra la mente pensante ed i dati obiettivi; ma è solo nella matematica che si pone il problema del rapporto tra matematica pura e matematica applicata. Sembra che ci sia uno scarto fra il mondo della matematica applicata e quello della matematica pura; può darsi che la teoria di Corner sulla effettiva differenza delle due discipline indichi la strada giusta da seguire per comprendere il reale rapporto che intercorre fra loro. Egli ha sviluppato il concetto di una matematica duplice, basata sulla differenziazione fra concetti esatti (matematica pura) e concetti inesatti (matematica applicata o empirica):”…l’applicazione della matematica pura consiste nello scambio di concetti percettivi e puramente esatti nel proseguimento di un dato scopo” (54). Ma adoperando l’ipotesi appena esposta dalla patrice psicologica della matematica pura, è forse possibile ampliare il discorso di Korner.
La matematica pura, che è quella che adopera i concetti esatti, sarebbe quella che scaturisce dall’esigenza dell’uomo di esprimere il senso del proprio spazio interno (mentale) e la cui radice si troverebbe nella funzione “numerizzante” di Bion già esposta. La matema¬tica applicata che non pone alcun quesito sulla natura della matematica, ma accetta la sua natura convenzionale nei confronti del mondo, può venire vista come una serie di si¬stemi di assiomi astratti dal nostro incontro col mondo ed atti a concettualizzare tale e-sperienza. Come sempre, si pone il problema del rapporto fra matematica pura e applica¬ta: forse la risposta può venire data in termini molto semplici, che si rifanno in grande par¬te alla posizione kantiana nel confronto della cosa-in-sé. In questo caso la cosa-in-sé è rappresentata dalla reale geometria del mondo esterno, e la matematica applicata non è altro che il nostro tentativo dì imporre gli schemi mentali che risultano dalle formulazioni matematiche, sorte da esigenze psicologiche, a questa reale ma ignota geometria.
Sintetizzando molto brevemente quanta si è detto in questo capitolo, credo di poter affermare che innanzitutto lo studio analitico della personalità umana chiarisce anche alcuni meccanismi del pensiero finora sconosciuti, in misura sufficiente da permettere una chiarificazione di problemi che sono ben lontani dal campo della psicoanalisi ma che rientrano in parecchi campi di indagine che fino a questo punto sono stati lasciati alla sola speculazione filosofica. Mi sembra perfettamente lecito che il filosofo adoperi le nozioni che risultano dalla psicoanalisi come dati da mettere in rapporto con altri fatti, allo scopo di creare una base più larga e più stabile per la teorizzazione. Naturalmente in questo caso si tratta di una meta-meta-teorizzazione, perché si adoperano teorie metamatematiche e meta-psicologiche come punto di partenza, ed è da considerarsi come un lavoro svolto almeno al terzo grado di astrazione. La chiarificazione fornita dall’uso della psicoanalisi sui problemi dell’origine della matematica non è forse molta, e permette di fare soltanto qualche piccolo passo esitante verso la meta della conoscenza totale; ma anche se i risultati immediati di una simile indagine si possono riassumere in poche parole, non è detto che a loro volta non possano servire come base per ulteriori studi. L’ipotesi che la matematica sorga da esigenze psicologiche di espressione e che gli schemi costituiti su questa base vengano poi impostI ai dati raccolti tramite il contatto col mondo esterno, in un tentativo di dar loro una forma (di concettualizzarli) potrà forse fornire un’indicazione per ulteriori studi in questo campo.

 

11 – Considerazioni conclusive

In questa tesi ho cercato di sviluppare un discorso che mettesse in rapporto fra loro due discipline estremamente diverse, la matematica e la psicoanalisi. La prima è una disciplina assai astratta, un ramo della quale – la matematica pura – è, per così dire, autonomo e autosufficiente, mentre l’altro – la matematica applicata – ha di solito una funzione subordinata nei confronti delle scienze in cui essa è applicata. La psicoanalisi è una scienza empirica, che si trova ad uno stadio primitivo di sviluppo, tanto è vero che nemmeno la meta-teorizzazione raggiunge un grado molto elevato di astrattezza.
Sembrerebbe difficile, quindi, che ci possa essere un incontro fra queste due discipline, ma penso di aver dimostrato che, lavorando su un piano strettamente filosofico (metateorico), è possibile affermare che mentre da una parte la matematica applicata può essere utile alla psicoanalisi se non addirittura necessaria per l’ulteriore sviluppo di essa, dall’altra, l’informazione sulla matrice psicologica della matematica può illuminare la teorizzazione filosofica della matematica pura.
Certamente, l’effetto” dell’incontro fra le due discipline è molto maggiore per la psicoanalisi di quanto non sia per la matematica, perché risulta evidente che mentre da un lato lo status della psicanalisi subisce un notevole mutamento perché essa sale nella gerarchia scientifica, dall’altro, la possibilità di potenziare la teorizzazione analitica con strumenti matematici crea delle aperture affascinanti per questa disciplina, nonché i presupposti necessari per il suo ulteriore sviluppo.

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