Cultura e Società

Parthenope Bion Tesi di laurea in filosofia, SECONDA PARTE

31/01/12

L’APPLICAZIONE DELLA MATEMATICA ALLE TEORIE PSICO-ANALITICHE

6 – Gli indirizzi matematici di Bion e Matte Blanco

Come ho già accennato nel quarto capitolo, sia Matte Blanco che Bion sono stati influenzati dagli ambienti culturali da cui provengono anche per quanto concerne le loro scelte nel campo della matematica, e propongo ora di approfondire ulteriormente questo argomento. Mentre il primo partecipa alla tensione culturale propria del nuovo mondo verso la tradizione intellettuale europea, Bion, formatosi alla cultura del vecchio continente, ricerca anche nel pensiero orientale stimoli spirituali e culturali. Si può sicuramente affermare che Matte Blanco ha recepito in modo determinante l’influenza di Russel durante il soggiorno pre-bellico in Inghilterra, mentre l’infanzia indiana di Bion ha senz’altro influito sulle sue scelte relative al tipo di matematica da adoperare.
Dei due, Matte Blanco fa un uso più appariscente della matematica, poiché parte da un tentativo di razionalizzare il pensiero freudiano tramite alcune teorie della matematica classico-formalista, e cioè, i concetti base delle teorie degli insiemi. I concetti elementari dell’insiemistica adoperati comprendono le nozioni di insieme, sotto-insieme, classe, sottoclasse, insieme infinito (nella definizione dedekindiana di questo, per cui un insieme è infinito quando e solo quando può venire messo in corrispondenza bi-univoca con una propria parte), relazione asimmetrica e relazione simmetrica. Il lavoro di Matte Blanco si collega idealmente con l’opera di Bertrand Russell e le correnti di pensiero matematico che derivano da essa, anche per quanto riguarda lo stretto legame, quasi identità, ritenuto esistente fra matematica e logica. Halmos, per esempio, in Naive Set Theory (17), asserisce che i concetti della teoria basilare degli insiemi sono semplicemente alcuni degli strumenti teorici “standard” della matematica, mentre per lo stesso Russelliano la logica formale, che abbraccia non solo la logica scolastica ma anche la logica delle relazioni, è da considerarsi identica alla matematica. Seguendo il pensiero russelliano (18), l’uso quindi, fatto da Matte Blanco della logica relazionale può benissimo essere compreso sotto il titolo di applicazione della matematica alla psicoanalisi, almeno per il momento, purchè si tenga presente che questa ipotesi verrà ulteriormente sviluppata nella terza parte della tesi.
Viene da pensare che Matte Blanco abbia forse preso spunto dal fatto che Russel neghi molto decisamente che le leggi della logica siano le leggi del pensiero, per approfondire lo studio di questo problema (19). Con l’applicazione di un sistema logico duplice, che l’autore definisce “Bi-logic”, al pensiero conscio ed inconscio, Matte Blanco arriva ad una conclusione diversa da quella di Russell: “dato un sistema logico articolato “così e così”, è possibile giungere alla formazione delle leggi del pensiero”. La fondamentale differenza fra il sistema di bi-logica ed il sistema di logica formale russelliano sta nel fatto che il primo tratta anche della logica dell’inconscio, vale a dire che descrive le caratteristiche logiche dell’intero sistema di pensiero umano, e non soltanto della parte conscia.
Ad ogni modo, è chiaro da tutta l’impostazione del lavoro di Matte Blanco che egli parte da una posizione “di intelletto”, in cui cerca una formulazione razionale e logica per certi problemi. Affermo questo nonostante ciò che ho detto nel quarto capitolo sulla necessità avvertita da Matte Blanco di lavorare in un clima di libertà mentale e di immaginazione – se non si ha un senso di fantasia, non si può nemmeno pensare di usare la matematica nella psicoanalisi. Bion, al contrario, ha un approccio del tutto diverso; nonostante abbia una buona conoscenza di testi di logica-matematica, è partito nelle sue ricerche dalla sponda opposta, ossia, non tanto dal voler applicare in modo sistematico una data serie di leggi logiche al pensiero umano, ma dallo studio del retroscena psicologico della matematica. In sostanza, si può dire che Bion parte da un tipo di matematica che ha molto a che fare con l’intuizionismo, ed è stato fortemente influenzato da Poincaré (20).
Quest’ultimo sosteneva lo strettissimo rapporto fra matematica ed intuizione; non solo l’intuizione di una possibile catena di ragionamento funge da punto di partenza per l’uso della logica, ma l’abisso fra matematica pura e matematica applicata è colmato tramite l’uso della intuizione. Poincaré paragona la funzione dell’intuizione e quella dell’armatura di un arco; quando la costruzione dell’arco è finita, viene tolta l’armatura, lasciando la sola pietra, ed analogamente, quando un ragionamento matematico viene completato, si vedono soltanto le relazioni logiche, e non l’impalcatura dell’intuizione.
Un altro motivo per cui il lavoro di Poincaré ha attratto l’attenzione di Bion è senz’altro l’importanza data dal matematico francese al problema dell’origine della matematica, che per lui costituisce in primo luogo la schematizzazione interiore, basata sull’intuizione che abbiamo dello spazio attorno al corpo, del mondo esterno. Secondo Poincaré, il nostro concetto di spazio fisico è sviluppato in modo molto soggettivo: tutto il mondo esteriore vicino a noi viene concepito in riferimento al nostro corpo ed alle sue possibili azioni, come ad esempio, parare i colpi di qualche nemico. La nostra concezione del mondo più lontano è soltanto una estrapolazione di quella che abbiamo dello spazio, raggiungibile con le nostre mani.
Mi pare che Bion sviluppi questo tipo di concetto in modo molto fruttuoso quando tratta della base psicologica della numerizzazione, e che si possa andare anche oltre su questa strada, pur se solo in modo molto speculativo (vedere l’ultimo capitolo). Si può senz’altro affermare che Bion ritiene che ci sia un collegamento molto importante fra la metamatematica e la psicologia, in quanto sono due discipline che si possono illuminare a vicenda.

7 – Il rapporto fra relazioni logiche e relazioni psicologiche nell’opera di Matte Blanco.

Nel suo libro “The Unconscious as Infinite Sets – An Essay in Bi-logic” (21) Matte Blanco parte dal problema del rapporto fra il sistema inconscio e le qualità dell’attributo “inconscio” nell’opera di Freud per giungere ad una nuova formulazione della struttura mentale freudiana. Questa nuova formulazione non è soltanto una chiarificazione teorica ma serve anche come strumento conoscitivo per inquadrare alcuni modi di pensare che si presentano nel corso di una seduta analitica. Nel suo complesso questo lavoro propone una interessantissima apertura della teoria psicoanalitica verso la matematica, ed è piuttosto di questo aspetto dell’opera di Matte Blanco che mi sono occupata, anziché dell’aspetto della sua validità in quanto strumento o principio conoscitivo alla stregua del principio di Realtà, Piacere, ecc. Questa limitazione del mio campo di ricerca e indagine è inevitabile, tenuto conto del fatto che l’opera di Matte Blanco non è stata ancora pubblicata, per cui manca una qualsiasi verifica a livello pratico da parte di altri psicoanalisti delle teorie ivi esposte. Solo quando le teorie di questo autore verranno diffuse e conosciute sarà possibile una verifica al livello della pratica psicoanalitica, ma qualunque fossero i risultati di una simile indagine, non si potrà togliere a Matte Blanco il merito di aver riformulato le teorie freudiane sulla struttura mentale in modo tale da chiarire molti punti oscuri e mettere in risalto collegamenti importanti.
Le teorie di Matte Blanco si raggruppano attorno ad un concetto centrale, cioè il rapporto fra relazioni asimmetriche e relazioni simmetriche. Secondo l’autore, ciò che differenzia principalmente il sistema Ucs. dal sistema Cs. è il tipo di relazione logica che vi si trova in predominanza. Gli atti psichici che hanno l’attributo di essere consci fanno uso principalmente delle relazioni asimmetriche [ (a) è il padre di (b) esclude che (b) è il padre di (a) ] con un certo uso di relazioni simmetriche [ (c) è il cugino di (d) implica che (d) è il cugino di (c) ]. Quegli atti invece che hanno l’attributo di essere inconsci trattano le relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche, per cui [ (a) è il padre di (b) ] implica che [ (b) è il padre di (a) ]. Esiste una serie continua di tipi di relazioni logiche che passa da una “zona” in cui sono tutte simmetriche attraverso successivi passaggi verso una zona in cui tutte (o quasi) sono asimmetriche. Il sistema Ucs. si può definire come quella gamma della serie in cui regna la logica della simmetria, mentre il sistema Cs. è la gamma che fa uso principalmente della logica aristotelica.
Ciò che Matte Blanco definisce il sistema di Bi-logic, è la combinazione di questi due sistemi logici (ed è solo usando questo sistema che ci si può avvicinare ai problemi connessi con le leggi del pensiero).
La teoria bi-logica di Matte Blanco comporta, quindi, non più una censura fra Cs. ed Ucs., ma piuttosto un passaggio progressivo da una sfera all’altra in base al grado di confusione o di distinzione che in esse si fa fra le due relazioni. Il profondissimo Ucs, che corrisponde ad una zona in cui il pensiero è impossibile, consiste nelle sole relazioni simmetriche, mentre, man mano che si sale verso il regno del pensiero conscio, cresce la proporzione di relazioni asimmetriche. Fra l’altro, l’Es può venire definito come una zona in cui c’è una forte preponderanza di relazioni simmetriche, facendo così un collegamento al livello di attributi logici fra Es e sistema Ucs.
Attraverso una serie di deduzioni, l’autore giunge a postulare l’Ucs, come una zona di insiemi infiniti (dedekindiani). Le caratteristiche logiche degli insiemi infiniti di questo tipo, retti come sono da alcuni principi fondamentali, sono tali da poterli adoperare per esporre il funzionamento mentale al livello inconscio.
Ci sono due principi che governano il pensiero a questo livello, quello di generalizzazione e quello di simmetria. Il primo afferma che il sistema Ucs. tratta gli individui (persone, oggetti, concetti) come se fossero membri o elementi di un insieme o classe che contiene altri membri; quest’insieme o classe, a sua volta, viene trattato come se fosse il sottoinsieme di un insieme o di una classe ancora più generale, e questo insieme più generale a sua volta viene trattato come il sottoinsieme di un insieme o classe ancora più generale, e così via. Questo principio viene spesso applicato secondo un altro che gli funge da predicato, e cioè che nella scelta di classi, e di classi di estensione sempre maggiore, il sistema Ucs. mostra una preferenza per quelle funzioni preposizionali che, mentre da un lato mostrano una sempre maggiore generalizzazione, dall’altro conservano qualche aspetto delle caratteristiche originali dell’oggetto iniziale. All’interno di ognuno di questi insiemi o classi vige il principio di simmetria, il quale afferma che il sistema Ucs. tratta il converso di qualsiasi relazione come se fosse identico alla relazione; cioè, tratta relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche.
L’applicazione del principio di simmetria comporta tutta una serie di conseguenze logiche che illuminano le caratteristiche del sistema Ucs. descritte da Freud, e cioè lo spostamento, la condensazione, l’assenza di tempo e la non-contraddizione fra pensieri ed impulsi di natura opposta. Per quanto concerne il tempo, l’Ucs. non può concepirlo, e nemmeno lo spazio, perché sia l’uno che l’altro dipendono da un ordinamento seriale e, non potendo adoperare le relazioni asimmetriche, non si può avere un tale ordinamento. Inoltre, l’applicazione del principio di simmetria comporta l’identità tra una parte dell’oggetto e l’oggetto intero. Secondo questo principio, infatti, “il braccio fa parte del corpo” è identico a “il corpo fa parte del braccio”; il totale viene incluso in una qualsiasi parte, cosicché quella parte è identica al totale, e di conseguenza identica a qualsiasi altra parte. Quando si applica il principio di simmetria è sufficiente che due individui siano membri della stessa classe per essere identici ed intercambiabili, nei confronti non solo della funzione proposizionale che determina o definisce la classe, ma anche nei confronti di tutte le proposizioni funzionali che li differenziamo.
Ancora più interessante dal punto di vista del contrasto con la logica del Cs. è il fatto che il pensiero inconscio non è limitato dal principio di contraddizione. Questa scoperta freudiana può essere espressa adoperando i termini della logica formale dicendo che, quando viene applicato il principio di simmetria, certe classi le cui funzioni proposizionali sono del tipo (P e non-P) (P. ~ P.) e che quindi per definizione sono vuote, possono essere trattate come non-vuote. Questo è possibile in virtù dell’applicazione del primo principio, quello di generalizzazione, per cui la classe, poniamo, dei morti, e la classe dei vivi non sono che sottoinsiemi di una classe la cui funzione proposizionale include tutte le possibilità riguardanti la vita; inoltre, in quanto l’essere morti e l’essere vivi sono sottoinsiemi della stessa classe più generale, essi sono identici.
Matte Blanco adopera questi risultati e conseguenze della logica simmetrica per trarre un’interessante conclusione teorica riguardante l’atteggiamento dell’individuo verso i propri oggetti interni, siano essi oggetti interni o parziali (22). Si ritiene sempre che gli oggetti godano del massimo delle potenzialità connesse col concetto; per esempio, se si tratta di un buon padre, egli è sempre visto come estremamente buono, o alternativamente, come estremamente cattivo. Sembra che lo zero non esiste per il sistema Ucs., che corrisponde all’assenza di negazione teorizzata da Freud. In questi casi la funzione proposizionale giunge ad un punto massimo di valore positivo infinito e poi riappare ad un punto minimo di valore negativo infinito in modo analogo a certe funzioni matematiche che saltano dall’infinito positivo all’infinito negativo senza passare per i punti intermedi; secondo l’autore, l’insieme dei valori di questa funzione può essere considerato un insieme infinito. Tutto ciò significa che se l’inconscio possiede un dato oggetto, se questo oggetto è stato interiorizzato (introiettato), esiste per e nell’inconscio nelle proprie piene (infinite) potenzialità come classe – il seno buono è infinitamente buono – mentre se il lattante sente di non avere (di non aver introiettato) il seno buono, l’assenza di questo viene avvertito come se fosse la presenza di un seno infinitamente cattivo. L’essere umano non è in grado, a livello inconscio, di concepire una semplice assenza senza caricare l’oggetto assente con attributi infinitamente negativi, allo stesso modo in cui il buon oggetto presente sia qualificato con attributi infinitamente positivi. Per cui, l’assenza di un oggetto è la stessa cosa, al livello inconscio, della presenza dell’oggetto cattivo. Secondo me, questa formulazione di Matte Blanco chiarisce molti degli aspetti oscuri della teoria kleiniana sugli oggetti interni – dopo tutto, quale motivo potrebbe mai esserci per indurre un lattante ad introiettare un seno cattivo assieme a quello buono, dato che il funzionamento mentale nei primi mesi è regolato dal principio di piacere, che automaticamente tenderebbe ad escludere un simile avvenimento (perché la presenza di un oggetto cattivo interno non può che essere fonte di “unpleasure”) se non l’inevitabilità dovuta al tipo di relazioni logiche usate nel “pensare” (23) infantile? E’ soltanto ammettendo (o postulando) una simile catena di avvenimenti che implica il necessario accoppiamento di buono e cattivo dovuto all’ineluttabilità dei processi mentali che si spiega una tale introiezione.
L’autore si è anche posto il problema del numero cardinale da ascrivere alla classe infinita, ed è giunto alla conclusione che, siccome il tipo di insieme infinito che l’inconscio tratta è quello definito da valori infiniti dello x ed anche da valori infiniti delle condizioni y, q, z, ecc. che definiscono la classe, il numero cardinale di questa intera classe di insiemi infiniti non è quello del denumerabile ma quello del continuum.
Egli chiama questo tipo di insieme, “insiemi infiniti intensivi”, contrapponendoli a quelli estensivi. Il primo tipo di insieme corrisponde al concetto matematico dell’infinitesimale, mentre il secondo a quello dei numeri naturali. Gli insiemi infiniti intensivi consistono in elementi (per esempio, i numeri 1,2,3,), che possono essere a loro volta considerati come sottoinsiemi sia finiti che infiniti, secondo l’uso a cui sono preposti. Se i sottoinsiemi vengono considerati sotto il loro aspetto infinito, (per cui il numero 1 è l’insieme infinito composto dagli elementi 2/2, 4/4, 16/16, ecc.) si ha il tipo di insieme denominato intensivo infinito. Secondo Matte Blanco, questo è il tipo di insieme infinito che caratterizza, il più delle volte, le manifestazioni psichiche.
Gli insiemi infiniti estensivi, al contrario, appaiono molto raramente nella vita psichica dell’uomo, e le pochissime volte che si hanno visibili manifestazioni di questo tipo di insieme li troviamo in quelli che Matte Blanco definisce stati di emergenza o in stati mistici. In simili condizioni il soggetto avverte una completa estensione di se stesso a tutto il mondo, una compenetrazione di se stesso (pag. 66) nell’altro da sé, che nello stato di estasi mistica è relativamente controllata e desiderata, mentre in casi di, per esempio, panico o soverchiante aggressività, può essere considerata come uno stato di grave pericolo per l’integrazione della personalità (24). Per riassumere molto brevemente ciò che si è detto fin qui, si può dire che per Matte Blanco ogni oggetto acquisito dal pensiero inconscio, o presente nel sistema Ucs., viene trattato secondo i principi di generalizzazione e simmetria. Questo tipo di trattamento comporta l’instaurarsi di relazioni di identità fra oggetti estranei o contrastanti (la gamba è il corpo, la madre è il padre). Inoltre, non esiste alcun ordinamento seriale ai livelli più profondi dell’U.c.s., e infatti a tali livelli il pensiero non è possibile. Rimane dunque il problema del come rendere conscio ciò che per sua natura non lo è, e questo problema viene trattato dall’autore in termini del rapporto fra simmetria e asimmetria. E’ sì vero che all’interno di ogni insieme infinito vige il principio di simmetria ma questi insiemi sono come incapsulati in una rete di relazioni asimmetriche, per cui il contenuto dell’insieme infinito, che per sua natura non sarebbe afferrabile dal pensiero, può essere afferrato tramite la pellicola di relazioni simmetriche che lo delimita.
A proposito di questo problema del passaggio dell’Ucs. al Cs., bisogna tenere sempre presente il fatto che l’interpretazione o l’esposizione dell’Ucs. in termini di insiemi infiniti è un modo asimmetrico di studiare questa materia. Effettivamente, il modo simmetrico di essere è completamente alieno al concetto di relazione, per cui il meccanismo di traduzione nel modo asimmetrico di ciò che è inconscio si basa sulla possibilità non solo di tradurre da un tipo di logica ad un altro, ma anche sulla possibilità di fare uso di diversi livelli semantici, come nel problema del “bugiardo” o nella teoria russelliana dei diversi tipi di predicati. Già l’uso della terminologia di relazioni simmetriche falsa la realtà inconscia come essa è vissuta dall’individuo ed è una maniera di imporre uno schema concettuale alla materia allo scopo di afferrarla. Per questi motivi, Matte Bianco tende a contrapporre non due modi di pensare, ma due modi di essere, perché il modo dell’inconscio è troppo lontano dalla concezione di relazioni logiche da poter essere considerato un modo di pensiero. Da ciò si potrebbe forse dedurre che parlare di pensiero inconscio è comunque e sempre inesatto; d’altra parte, non si può certo dire che l’inconscio non partecipi ad una attività mentale che ha tutta l’aria di essere degna del nome di pensiero. Poincaré, ad esempio, riteneva che una parte importante del lavoro creativo del matematico puro avvenisse a livello inconscio. Una possibile via di uscita da questa “impasse” potrebbe aprirsi se si suppone che i processi mentali ritenuti “inconsci” da Poincarè corrispondono piuttosto a processi a livello preconscio. Si può ipotizzare che a questo livello c’è praticamente un rapporto di equilibrio tra le relazioni asimmetriche trattate come tali e le relazioni asimmetriche trattate in modo simmetrico, cioè, con l’applicazione dei principi di generalizzazione e simmetria. In queste condizioni uno stimolo relativamente molto piccolo potrebbe bastare per alterare l’equilibrio, aumentando la proporzione di relazioni asimmetriche e permettendo ai concetti o idee in questione di varcare la soglia della coscienza. Mi chiedo se una funzione catalizzatrice di questo genere non potrebbe essere svolta dall’attenzione, in aggiunta alla funzione esploratrice che Freud già le riconosceva? (25).
Per tornare, comunque, a quella parte dell’opera di Matte Blanco in cui adopera i concetti logico-matematici per illuminare problemi psicoanalitici, vorrei menzionare le sue ricerche sulla misurazione dei processi psichici. Egli non si occupa, naturalmente, di problemi come la misurazione dell’intelligenza, ma piuttosto della misurazione dei fatti psichici inconsci. Secondo l’autore, nulla fa supporre che i fatti psichici siano di per sé non-misurabili, ma il problema sta nel fatto che mancano i metodi di misurazione (definita questa come il mettere in rapporto bi-univoco fatti psichici e numeri). I suoi studi lo portano ad affermare che l’avvenimento psichico inconscio non è intrinsecamente non-misurabile, ma in contrasto con l’avvenimento fisico, esso è suscettibile di una misurazione infinita nel momento in cui quello fisico è suscettibile di una misurazione sola. Nel mondo fisico, cioè, le possibilità di misurare un avvenimento sono esaurite con la formazione di una sola immagine dell’avvenimento, che viene messo in un rapporto bi-univoco con quest’ultimo, mentre per quanto concerne il regno della psicologia le cose stanno ben diversamente. Difatti, ogni aspetto di una data fantasia comprende in se stesso, in uno stato pre-formato o virtuale, infiniti variazioni di quello stesso aspetto. Ci sono, cioè, delle infinite corrispondenze bi-univoche dell’aspetto psichico studiato, per cui la corrispondenza tra la manifestazione psichica e le immagini di essa è una corrispondenza infinitivocale.
Anche per quanto concerne l’emozione, sorge il problema della misurazione; l’emozione in sé viene considerata non-misurabile, ma invece è suscettibile di misurazione nelle sue manifestazioni. Matte Blanco giunge ad alcune conclusioni sulla natura dell’emozione che la avvicinano concettualmente al sistema Ucs. in quanto gli stessi concetti di insieme infinito ecc. sono applicabili sia nell’uno che nell’altro caso. Quindi afferma che fondamentalmente l’emozione e l’inconscio sono la stessa cosa. Bisogna però notare che l’autore distingue due aspetti dell’emozione, ed è nel loro aspetto “pensante” che le emozioni possono essere accomunate all’Inconscio.
Malgrado il fatto che Matte Blanco non sia riuscito ad arrivare molto lontano sulla strada della misurazione sia dei fatti psichici che delle emozioni, egli non dispera della possibilità che un giorno le tecniche matematiche saranno ulteriormente potenziate tanto da permettere la risoluzione di questi problemi. Come molto giustamente osserva, gli sviluppi del pensiero e delle tecniche matematiche sono estremamente rapide, e non c’è ragione da credere che verranno a mancare ulteriori sviluppi matematici che permetteranno una maggiore utilizzazione della teoria matematica per illuminare problemi psicoanalitici.
Intanto, già questo tentativo di ampliare la logica aristotelica con i concetti della logica simmetrica per formare un doppio sistema di logica è, secondo me, un valido punto di partenza per nuove formulazioni delle teorie della mente, in quanto mostra che lo scioglimento degli schemi rigidi della logica aristotelica è indubbiamente una operazione necessaria prima di poter procedere ad ulteriori scoperte. Con ciò non voglio sminuire il lavoro fatto da Bion, Rosenfeld ed altri analisti che hanno teorizzato sistemi di funzionamento mentale partendo dai problemi posti in prevalenza da pazienti psicotici; ma piuttosto far presente che mentre il loro lavoro si è svolto ai livelli descrittivi (nel senso freudiano) – cioè, al livello di teoria, ed in seguito al livello di meta-teoria, Matte Blanco è partito da problemi già al livello meta-teorico (le strutture mentali freudiane) ed ha sviluppato su queste strutture una ulteriore meta-teoria, di tipo diverso, che non pretendeva di “ristrutturare la mente” ma di esporre il funzionamento di essa secondo gli schemi di una logica.
Quanto possa essere valido sul piano clinico questo nuovo approccio è un argomento che deve essere vagliato a fondo da psicoanalisti praticanti; ciò che a me interessa sono le implicazioni per lo status e lo sviluppo futuro della teoria psicoanalitica insite in questo nuovo approccio alla teorizzazione. Questi problemi verranno discussi nel nono capitolo, dopo l’esposizione di alcuni elementi dell’opera di W.R. Bion.

8 – L’applicazione della matematica alla psicoanalisi nelle opere di W.R. Bion.

Leggere le opere di Bion, e, ancora di più, discuterle, sotto l’aspetto indicato da questo titolo richiede una previa discussione della espressione “applicazione della matematica”. I commenti sviluppati in questa discussione sono in effetto il risultato della lettura dei testi, e le considerazioni che qui precedono qualche breve esempio tratto dall’opera di Bion dovrebbero in verità far parte della discussione finale. Ma parlare dell’opera di Bion senza rendere esplicite le seguenti premesse vuol dire esprimersi con una ambiguità tale da cadere inevitabilmente nel non-senso.
Mentre nell’opera di Matte Blanco l’uso fatto della matematica, (vale a dire, l’applicazione di concetti matematici sofisticati a livello delle teorie analitiche per formare una teoria metapsicologica della struttura mentale), non ha bisogno di una particolare esplicazione, nell’opera di Bion, invece, bisogna svolgere una analisi filosofica del significato, o dei significati, della parola “matematica”. Questo perché l’autore si riferisce a diversi livelli di matematica, ed il significato da attribuire al termine cambia da un livello all’altro.
Innanzitutto la matematizzazione di una disciplina significa generalmente la formalizzazione e la quantificazione dei concetti descritti precedentemente nei termini di quello che Heisenberg definisce “linguaggio naturale”.
Questo processo implica necessariamente la precisazione e definizione dei concetti del linguaggio naturale, e quindi la loro limitazione. Questo stesso tipo di processo limitativo, che è l’essenza della matematizzazione, sta alla base di tutto il pensiero umano, di qualsiasi disciplina conoscitiva. E’ la tecnica del pensiero, di cui generalmente non siamo consapevoli, che delimita e definisce i concetti. Bion esemplifica questa attività col passaggio dal concetto di “Godhead” a quello di “Trinità”, che è la limitazione dell’infinito messo in rapporto col numero tre. Secondo l’autore, questo tipo di matematizzazione, che si potrebbe definire elementare e basilare, è estremamente comune in qualsiasi tentativo di comunicare, soprattutto quelle esperienze che hanno una qualche dimensione che si potrebbe definire infinita; il primo passo nel tentativo di definire, per esempio, la psicoanalisi, è la numerazione: “cinque volte” la settimana e per “50 minuti” sono facilmente “acquisiti” dall’esperienza ineffabile” (26). In questi due esempi, Bion fa presente che quando si cerca di comunicare ad altri una esperienza personale che è stata per certi versi soverchiante, come quella della fusione mistica con Dio o il conseguimento di una psicoanalisi completa, (che Bion ritiene essere una esperienza ineffabile, presumibilmente per via del fatto che coinvolge la totalità della personalità del paziente, su tutti i livelli) il sistema a cui si ricorre per primo è quello della numerazione.
A parte questa base di numerazione che sottostà a tutto il pensiero e che Bion considera come una forma di matematizzazione, c’è un altro senso in cui egli adopera la matematica nella psicoanalisi. In questo caso si tratta non tanto della numerazione quando delle operazioni di tipo matematico compiute dal pensiero. I numeri vengono adoperati non più quantitativamente ma qualitativamente. Per rendere più chiaro questo concetto vorrei paragonarlo al concetto matematico di “operators”, (numeri marginari) adoperati, per esempio, per trovare la radice quadrata di – 1. Si può forse dire che i numeri considerati come operators non denumerano gli oggetti (non importa quanto astratti) ma indicano il numero e la direzione dei passi mentali che devono essere compiuti dal matematico.
Si possono distinguere, dunque, almeno tre livelli diversi e tre significati diversi della matematica e della matematizzazione. Il primo è quello fondamentale in cui la numerazione delimita concetti che altrimenti non sarebbero afferrabili se non tramite la esperienza totale del fatto. Il secondo ed il terzo livello sono, in contrasto, estremamente elaborati; nell’uno si adoperano modi di pensiero matematici come strumenti dinamici del pensiero, e nell’altro, una formalizzazione numerica, o più probabilmente algebrica, che delimita concetti e li rende comunicabili. E’ solo quest’ultimo che si può definire come una vera e propria matematizzazione della teoria (in questo caso, analitica), perché in esso si ha il rimpiazzamento di concetti analitici con simboli algebrici e l’uso di relazioni matematiche per collegarli, mentre sul livello che ho indicato come il secondo, le operazioni matematiche vengono compiute con i concetti analitici stessi, senza che questi siano matematizzati.
Vorrei prima discutere il terzo tipo di matematizzazione in rapporto all’opera di Bion. Effettivamente l’autore ritiene che in questo senso la matematica non possa venire ancora applicata alla psicoanalisi, e ciò perché: “La materia trattata dalla psicoanalisi è tale da non permettere l’uso di qualsiasi forma di comunicazione che può provvedere alle esigenze di un problema nei momenti in cui il problema stesso è assente” (27).
Questo significa che per Bion la psicoanalisi non può venire comunicata totalmente se non tramite l’esperienza di una analisi – cioè, la comunicazione totale può avvenire solo tra analista e analizzando, quando quest’ultimo “impara” , “sperimenta in prima persona” ciò che è la psicoanalisi. Credo che Bion affermi questo perché la psicoanalisi (pag. 79) avviene su vari livelli, principalmente l’intellettuale e l’emotivo, e mentre il primo livello è parzialmente comprensibile tramite l’esposizione di teorie, il secondo non lo è affatto se non tramite l’analisi. Direi di più: forse l’esperienza analitica è “vera”, “significativa” solo al momento in cui avviene, e gli ulteriori sforzi per afferrarla intellettualmente, se non addirittura vani, possono avere un successo solo parziale. E’ la mia esperienza personale che mi porta ad affermare questo: infatti ho subito io stessa un’analisi parecchi anni fa, e mentre al momento “capivo” su tutti i livelli, e ancora adesso ricordo bene almeno i punti salienti, dovendo scrivere oggi sulle teorie analitiche, mi trovo quasi a disagio. Penso che siano in linea di massima vere, perché ho trovato in me un loro obbiettivo riscontro, ma nonostante questo, a volte mi sembrano incredibilmente lontane dalla vita quotidiana degli esseri umani, che è pure la loro materia base. Vedere crescere mia figlia, che ha due anni, mi ha senz’altro aiutata a tenermi in contatto con la realtà psichica di queste teorie; ma se avessi dovuto attenermi soltanto a ciò che è scritto nei testi, penso che avrei avuto pochissime probabilità di rimanere convinta della correttezza delle teorie. Se qualcuno che si trova in una posizione relativamente privilegiata avverte questo tipo di ostacolo alla comunicazione della psicoanalisi in quanto corpo di teorie, l’affermazione che “nella psicoanalisi la precisione è limitata dal fatto che la comunicazione è di quel tipo primitivo che richiede la presenza dell’oggetto” (il corsivo è mio) è del tutto giustificata (28). La disciplina semplicemente non è abbastanza sviluppata per poter usufruire di una astratta formalizzazione (nemmeno il primo livello di formalizzazione, quello teorico-descrittivo è sufficiente per comunicare la totale esperienza analitica).
Nonostante questa presa di posizione di Bion, è da rilevare che egli non esclude affatto a priori la possibilità di una eventuale matematizzazione delle teorie psicoanalitiche, allo scopo di comunicarle più esattamente e chiaramente, ed una buona parte delle sue opere, a prescindere a quelle sulle teorie del pensiero e dei gruppi, è diretta a gettare le basi per una simile impresa.
Egli parte dalla fondamentale esigenza di categorizzare gli elementi del pensiero (in quanto strumento per altri scopi) (29), e gli usi fatti dal paziente di tali elementi. Questa categorizzazione, o Grid, che ha la forma di una tavola di coordinate e la funzione pratica di raffigurare graficamente i cambiamenti di posizione di ogni singolo elemento incluso in essa, dà allo psicoanalista uno schema con cui seguire lo sviluppo del paziente (30).
Per dare un esempio di come il grid deve essere adoperato allo stato attuale della teorizzazione analitica, bisogna prima indicare il significato dei due assi. La colonna verticale di sinistra dà una indicazione delle categorie nelle quali inserire una constatazione di qualsiasi tipo, e indica il grado di sviluppo di tale constatazione; per esempio, essa può essere il pensiero formato durante un sogno, un pre-concetto, un concetto, ecc. L’asse orizzontale invece ha la funzione di indicare l’uso che si sta facendo delle constatazioni. Quindi, può capitare, per esempio, che il paziente racconti un sogno, in cui l’analista potrebbe vedere solo degli elementi che si riferiscono al paziente, mentre invece il paziente usa i pensieri del sogno e le affermazioni in merito a questi per aggredire l’analista – presentando materiale, ad esempio, che costringerebbe l’analista a formulare due interpretazioni distinte e contrastanti contemporaneamente, per cui l’analista verrebbe “scisso” (aggredito). Alternativamente, un sogno, che descrive, poniamo, una certa situazione familiare, può essere inteso dal paziente non come descrizione fattuale di una determinata famiglia, bensì come definizione di un concetto ipotetico della famiglia, tale da poter dire: “una famiglia è questa”. Penso che sia chiara l’enorme importanza, per una corretta interpretazione, da attribuire al fatto che l’analista abbia intuito correttamente l’uso che un paziente sta facendo di un dato materiale verbale.
Ciò che comunque interessa ai fini di questa discussione sullo sviluppo della teoria analitica è notare che l’ultima linea orizzontale del grid, che indica il grado più sofisticato di sviluppo del pensiero, prevede la formazione di calcoli algebrici o simili “G dovrebbe attendere lo sviluppo di sistemi psicoanalitici deduttivi, e H l’equivalente di sistemi algebrici” (31) Si può quindi dire che Bion prevede la possibilità di adoperare formulazioni matematiche per le teorie psicoanalitiche nel futuro, e che l’analisi sia una disciplina suscettibile di ulteriori sviluppi e più rigorose formulazioni già sul piano verbale. In un certo senso, la formulazione in termini matematici (algebrici) sarebbe la fine di un processo di sviluppo in cui non sarebbe stato il caso di parlare di applicazione della matematica alla psicoanalisi, ma, semmai, della progressiva matematizzazione di questa.
In quale senso, dunque, si può parlare della applicazione della matematica alla psicoanalisi nell’opera di Bion? Se ne può parlare soprattutto nel senso a cui ho accennato sopra, dell’uso cioè di tipi di pensiero e di concetti matematici per rafforzare gli strumenti teorici analitici. Un esempio di questa introduzione di concetti estranei al corpo di teorie analitiche è l’uso che Bion fa del concetto di “unsaturated element” in “Learning from Experience” (32). Bion utilizza questo concetto per illuminare una specie di funzione mentale che ha un proprio ruolo da svolgere mentre il lavoro mentale progredisce, ma che non può venire descritta o definita prima che inizi il lavoro, perché è proprio il progresso del lavoro stesso che dà un significato all’elemento non-saturo.
Egli dice in proposito che l’elemento non-saturo può essere un fattore della funzione psicoanalitica della personalità Ψ, e che quando esiste una realizzazione che soddisfa la funzione Ψ nel senso matematico di soddisfare i termini di una equazione, si deve determinare quale sia questa realizzazione solo tramite l’indagine psicoanalitica. Il simbolo Ψ rappresenta una costante sconosciuta della personalità, per esempio il pre-concetto innato che esiste un seno che “completa” il bambino neonato, mentre l’elemento non-saturo determina il valore della costante una volta che questa è stata identificata.
Nell’esempio portato da Bion, il valore di ξ è determinato dall’esperienza emotiva del contatto col seno, e a sua volta poi, determina il valore (diciamo, il colore emotivo del pre-concetto “seno”) di Ψ, che in questo modo passa dall’essere un pre-concetto, ad essere un pre-concetto una esperienza emotiva da compiere (Ψ) ( ξ ) ad essere un concetto, e cioè, un pre-concetto che si è accoppiato con la sua propria realizzazione. E’ chiaro che, in questo esempio, è solamente l’analisi profonda del significato emotivo del primo rapporto col seno che può portare alla luce del sole quale sia la “saturazione” dell’elemento, e se è, per esempio, un elemento positivo o negativo per lo sviluppo dell’individuo – se l’esperienza portava al predominio del seno buono o cattivo.
Le considerazioni di Carnap attorno alle funzioni dei simboli “ξ” e “Ψ ” si possono benissimo applicare anche a questo simbolo adoperato da Bion (ξ ). “Così il fisico, pur non potendo darcene una traduzione nel linguaggio quotidiano, comprende il simbolo “Y” e le leggi della meccanica quantistica…” (33). Solo che nel caso della teoria psicoanalitica, la traduzione si può avere, ma solo alla fine dell’indagine analitica: fino a quel momento il simbolo resta non tradotto – non saturo. Forse l’utilità maggiore di un simbolo di questo tipo sta nel fatto che il suo uso aiuta l’analista a rendersi conto che sia la teoria psicoanalitica che lo spiegarsi di una analisi personale sono processi di continuo sviluppo e non delle condizioni statiche.
A proposito di questo sviluppo, Bion afferma che: “Il progresso della psicoanalisi è inseparabile dalla necessità di tollerare le concomitanti dolorose della crescita mentale, fra le quali non è la minore la subitanea rivelazione di ulteriori problemi che richiedono una soluzione. L’ importanza di ciò diventerà più palese col tempo; nemmeno gli psicoanalisti sembrano essere consapevoli del fatto che il loro universo è in espansione, in parte perchè è difficile essere consapevoli del movimento quando il partecipante è alle prese con i dettagli, in parte perché le implicazioni della psicoanalisi non possono essere afferrate a questo punto precoce della sua storia. Se si dovesse trovare tramite ulteriori esperienze che il mio sospetto è fondato, le difficoltà del paziente, accennate nel paragrafo 32, hanno significato sia per l’analista che per l’analizzando nei momenti in cui la crescita mentale si sta sviluppando. Il problema, dal punto di vista dello psicoanalista, deve essere risolto non solo dall’analizzando, ma anche dallo stesso analista, in quanto esso è una componente della propria crescita” (34). Il paragrafo 32 a cui si richiama questa citazione illumina in maniera assai chiara uno dei fondamentali aspetti della psicoanalisi – direi quasi uno dei suoi scopi basilari – “…la psicoanalisi veniva sentita come un apporto agli strumenti di indagine del paziente, e quindi probabilmente risvegliava emozioni associate a passi molto primitivi dello sviluppo psicologico, che avevano avuto un effetto di accrescere la capacità mentale simile a quello della psicoanalisi. Si avvertiva che l’incremento di potere richiedeva un incremento di comprensione intellettuale” (35).
E’ verso questo “increase in intellectual grasp” che viene rivolta l’attenzione di chi si è occupato della applicazione della matematica alla psicoanalisi; intendo analizzare ulteriormente questo aspetto del problema nella terza parte. Per il momento vorrei solo far presente che l’uso di concetti del tipo “unsaturated element” permette di afferrare una realtà dinamica ed in sviluppo, dando così una apertura al corpo chiuso di teorie analitiche. Quanto sopra si riferisce chiaramente all’uso di concetti e simboli che rientrano nel campo della matematica e della fisica, sia classica che nucleare, ma non all’uso di una “numerazione” qualsiasi. Può sembrare sorprendente che uno scrittore come Bion adoperi una numerazione nel tentativo di chiarire i concetti analitici ma, come ho detto prima, questa numerazione non deve venire confusa con un tentativo di quantificare qualità mentali o pensieri, ma piuttosto è da considerare come una indicazione di movimenti e di direzioni mentali. Tanto è vero che nella seguente citazione sulla matematica della allucinazione, il valore dei numeri 1 e 0 cambia secondo lo stato mentale del neonato, e si ha una matematica “in f” (frustazione) ed una matematica “in h” (allucinazione). Bion esemplifica prima la matematica dello stato normale in cui il bambino è capace di sopportare la frustrazione del rendersi conto che il seno non c’è, per cui egli ha bisogno di fare ricorso all’allucinazione:
“a1 il lattante sente che il seno lo soddisfa: il seno sparisce, e con esso la soddisfazione.
a2 1 seno + 0 seno = 0 seno
a3 1 + 0 = 0
Supponiamo ora che la personalità non può tollerare la frustrazione…Il ricordo della soddisfazione è adoperato per negare l’assenza della soddisfazione. Il tempo viene negato, allo scopo di negare che il seno è il posto dove il seno era e per affermare che è dove il seno si trova ora.
La trasformazione matematica nell’allucinosi può essere così formulata (b2 prende il posto di a2 , ecc.)
b2 1 seno + 0 seno = 1 seno
b3 1 + 0 = 1
Ci possono essere buoni motivi per supporre che 1 + 0 = 1, per esempio che esiste una realizzazione che gli si approssima, e la formulazione 1 + 0 = 1 può aiutare a stabilire un legame K (36) con una simile realizzazione. Ma con b3 si intende mostrare il rapporto tra 0 e 1 in un dominio dove è possibile togliere lo “zero-sità” da zero e produrre così 1.
Quindi, nel dominio dell’allucinosi, 0 – 0 = 1.
Viene spontaneo chiedersi quale sarebbe il risultato di aggiungere zero a zero. E’ 0 + 0 = 00 . Vale a dire che se la zerosità viene aggiunta alla zerosità, questa viene moltiplicata per se stessa. Lo stato emotivo che potrebbe fornire una realizzazione per fungere da retroscena a questo è lo stato di totale libertà dalle restrizioni imposte dal contatto con qualsiasi tipo di realizzazione. L’abilità di 0 di crescere così per partogenesi corrisponde alle caratteristiche dell’ingordigia che è capace anch’essa di crescere e fiorire assai mediante il rifornirsi con quantità illimitate di niente” (37).
E’ senz’altro molto indicativo della chiave in cui questa ed altre formulazioni matematiche devono venire lette, il fatto che Bion vi si riferisca come ad una matematica di tipo “Dodgsonian” o “Alice Through The Looking Glass”. Vale a dire che il campo in cui deve servire la formulazione matematica è di fondamentale importanza per la sua interpretazione (38). Ciò che Bion chiama il vertice, per esempio, “f” o “h” , è basilare per la comprensione delle formulazioni.
Questa maniera di applicare la matematica alla psicoanalisi è, secondo me, da considerarsi più sotto la luce della applicazione di forme e modi di pensiero matematici che non sotto l’aspetto della numerazione, o, come nel caso di Matte Blanco, sotto quello di un corpo di teorie matematiche già abbastanza ben definito.
Ciononostante, come ho accennato sopra, l’interesse di Bion si è rivolto anche verso il problema dell’uso fatto della numerazione nell’ambito del pensiero umano a livello piuttosto elementare, ed egli giunge a fare i seguenti commenti: “I matematici sono consapevoli che il progresso dell’aritmetica viene ostruito probabilmente per via di qualche problema non risoluto che riguarda la natura della disciplina. …”Numeri” come “molti”, “tre”, “uno”, “troppo”, sono tentativi di fissare una congiunzione costante, in preparazione alla comprensione della congiunzione.
…Il numero è un tentativo di afferrare un sistema, per così dire, di un gruppo e, dandogli un nome, fare il primo passo, per comprendere il gruppo o trovargli un significato” (39). Inoltre, Bion commenta “Infinità (o “tre”) è il nome per uno stato psicologico, e viene esteso a quello che stimola lo stato psicologico” (40).
Tutti questi diversi approcci alla matematizzazione della psicoanalisi hanno una notevole validità, sotto molteplici aspetti. L’importanza per la teoria psicoanalitica dei vari tentativi di Matte Blanco e Bion verrà discussa nel prossimo capitolo, mentre nel capitolo decimo esporrò i possibili apporti della teoria psicoanalitica alla filosofia della matematica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Eugenio Borgna, la grandezza dell’umiltà D. D’alessandro, HuffPost, 5/12/2024

Leggi tutto

Marta Badoni (1938 – 2024) Un ricordo di D. Alessi e S. Nicasi

Leggi tutto