Cultura e Società

UPUPA MY DREAM IS MY REBEL KING 2. THE REBELLION

30/08/10

Messa in
scena per la prima volta nel V secolo a.C., in occasione delle celebrazioni
dionisiache del 414, Gli Uccelli di
Aristofane continua ancora oggi ad affascinare gli spettatori e a essere
riproposta in scena. L’ultima, ardita riscrittura è stata rappresentata il 21
agosto nella splendida cornice notturna del Parco Archeologico di Ascoli
Satriano (FG) dalla compagnia teatrale di Antonio Orfanò, che di Upupa è regista e interprete principale.

Tema dell’opera
è l’eterno tema della futilità di ogni aspirazione umana all’Utopia,
rappresentata per Aristofane dalla città ideale di Upupa, cioè Ropops, un uccellino che fà da
personaggio centrale negli Uccelli.
In fuga dalla corruzione di Atene, gli uomini, impersonati da Pistetero ed
Evelpide, cercano la pace e la serenità nella fondazione di una nuova città
ideale, Upupa, situata nel mondo degli uccelli, dove regnino pace, serenità e
giustizia, e dove siano osceni il potere, la corruzione, la perversione.

Ben presto
però i due protagonisti finiranno per cedere alle stesse lusinghe terrene da
cui erano fuggiti, concedendosi ai vecchi richiami della corruzione, del
potere, della perversione, e trasformando così l’agognato paradiso celeste in
un inferno più che terreno in cui torna ad imperare la sete di potere e
dominio.

In Upupa my dream is my rebel king 2 / The
rebellion
, l’Upupa che dà il titolo all’opera scenica non compare sul palco,
rimane o-scena, u-topica, irrealizzabile: un seno Ideale (come suggerisce la
scenografia, costruita proprio intorno a due enormi mammelle), o un sogno di
reinfetazione.

Upupa
rappresenta allora uno schermo bianco su cui vengono proiettate le molteplici e
conflittuali pulsioni umane, individuali e collettive. Conflittuali appunto, tanto
che in scena il regista mescola e confonde linguaggi diversi, richiami
sovrapposti che vanno dalle canzoni di Franck Sinatra a quelle di Edith Piaf,
ad Einen richtigen Mann. I livelli
(stilistici e) funzionali della mente (conscio, preconscio, inconscio;
immaginario, reale, simbolico; iconico e linguistico, ecc.) sono continuamente
rimescolati in ragione di una dichiarata weltanschaaung: la vita
non è uno scopo e non tende a unificare o integrare il soggetto, è invece
frutto della pura spinta del desiderio, di una pulsionalità che ci travolge, servendosi
di qualunque oggetto pur di raggiungere il proprio fine, cioè il piacere.

A fronte di
Upupa, "metafora senza tempo", simbolo della tensione verso un oggetto e un Sé
Ideali, c’è la vita che si muove nel teatro della mente, con i suoi fantasmi, i
suoi oggetti bizzarri, le sue relazioni ambigue e contraddittorie, i suoi
processi illogici (primari), e i suoi "personaggi" costruiti per rappresentare
e legare l’angoscia e la confusione generate dal conflitto tra pulsione e
istituzione: la suora che nasconde peccaminose voluttà, la entraineuse del
night di Berlino che affoga nella noia, il mefistofelico tentatore, simbolo del
potere, la tossicomane che vive nella propria nuvola di fumo.

Allora la
parabola di Pistetero che, ignaro di sé, crede di poter fuggire se stesso
ricercando un mondo e un Sé Ideali, diventa uno scorcio psicoanalitico sulla negazione
e la scissione delle proprie pulsioni distruttive e appropriative, e
sull’idealizzazione di istanze di sé non misconosciute o falsamente
rappresentate, idealizzazione che come spesso accade esita in una delusione, in
una svalutazione che a sua volta riporta il Soggetto a contatto con l’angoscia
e la realtà del proprio mondo interno.

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