Cultura e Società

Samuel Beckett. Aspettando Godot

8/02/11

Recensione di Valentino Panaccione

Un grande albero spoglio, qualche arbusto. Sullo sfondo un cielo plumbeo, fatto di nuvole scure miste a luce iridescente, e due figure, sedute l’una di fronte all’altra. Così si apre Aspettando Godot, lo spettacolo in scena all’Argentina dal 18 al 30 gennaio, per la regia di Marco Sciaccaluga. Due bravissimi attori del teatro italiano, Ugo Pagliai e Eros Pagni, vestono rispettivamente i panni di Estragone e Vladimiro, i due protagonisti tracciati da Beckett nella sua opera messa in scena per la prima volta al Théâtre de Babylone di Parigi nel 1952.
La storia è nota: due uomini con abiti usurati e malconci attendono l’arrivo di un certo Godot, dal quale sperano di ottenere una sistemazione per la notte e un pasto caldo. Entrambi non conoscono di preciso l’identità del possibile benefattore, e le incertezze dilagano anche riguardo al luogo di incontro stabilito, al giorno, all’orario. Dopo una lunga attesa, ingannata con scambi di battute disparati, si presenta sulla scena Pozzo (Gianluca Gobbi), un ricco possidente che porta legato a una corda il suo servitore Lucky (Roberto Serpi). Pozzo si intrattiene con i mendicanti, parla di sé e del suo knouk, sbeffeggia i suoi uditori e il mondo, costringendo anche il povero Lucky a prove di ballo e di retorica prima di ripartire verso il mercato di San Salvatore, dove lo attende la vendita di quello schiavo di cui ha deciso di liberarsi. L’attesa di Didi e Gogo – vezzeggiativi che Vladimiro ed Estragone usano per chiamarsi – continua fino alla sera, quando compare un ragazzo con un messaggio di Godot: "Godot non verrà questa sera, ma di sicuro domani". È notte ormai, una luna piena riempie lo sfondo, e l’attesa è rimandata.
Il secondo atto è quasi identico al primo, ma il ritmo è più incalzante, e a tratti più tragico. La scena si è già svolta, ugualmente, il giorno precedente, e l’inutilità si insinua sempre più feroce nell’attesa. Anche Pozzo e Lucky ricompaiono, ma il primo è cieco e il secondo muto, a causa di qualcosa che accadde in un tempo imprecisato, senza possibilità di ricordo o di spiegazione. Didi e Gogo spaziano in conversazioni senza confine, come senza argine è la possibilità di trovare un appiglio, una certezza. Compare nuovamente il ragazzo, e toglie ogni speranza per un arrivo che possa cambiare tutto, ridare senso alle azioni e alle parole: "Godot non verrà stasera, ma di sicuro domani".
Due atti simili che si aprono sul vuoto, sull’inesistenza di un passato e di un futuro che non si possono ricordare o immaginare, se non a sprazzi. Eppure si ride, si ride per la goffaggine dei due protagonisti, per le loro battute talvolta sagaci, per l’incongruenza dei loro gesti, e per l’umanità che riescono a trasmettere. "Le Humor et le Néan", secondo la definizione di Maurice Nadeau, convivono e si nutrono l’uno dell’altro.

Le lacrime del modo sono immutabili.
Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chissà dove, smette. E così per il riso.

È bravo Marco Sciaccaluga a restituirci queste emozioni attraverso un uso sapiente delle luci e delle pause, le quali a tratti si trasformano in un fermo immagine, come quadri disperati o sognanti. La scenografia di Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl, con l’albero centrale come unica solida presenza, è ispirata agli stessi quadri di Brueghel il Vecchio e di Friedrich Caspar che alimentarono in Beckett l’idea di Aspettando Godot. Tutto sembra sospeso, e l’identità di Godot non è importante quanto la sua attesa, quanto il pensare che non ci si può muovere, non si può scappare, non ci si può nascondere o riposare. Si può solo parlare per ingannare il tempo, per sentirsi meno soli, in una nenia verbosa senza sosta, tra Vladimiro-Pagni metafisico, sottilmente ironico, meditabondo e confuso, ed Estragone-Pagliai a tratti brusco, sorprendente e teneramente disperato. L’affetto misto a insofferenza che li lega li rende vivi e vivaci, e permette a ciascuno di noi di sentirsi parte di quello scenario: cadono le barriere, e la prima risata sincera apre una breccia che lascia passare il silenzio di morte sotto il cui segno si svolge in realtà Aspettando Godot.

Estragone: E mentre aspettiamo, cerchiamo di conversare senza mnotarci la testa, visto che siamo incapaci di star zitti.
Vladimiro: È vero, siamo inesauribili.
Estragone: Lo facciamo per non pensare.
Vladimiro: Abbiamo delle attenuanti.
Estragone: Lo facciamo per non sentire.
Vladimiro: Abbiamo le nostre ragioni.
Estragone: Tutte le voci morte.
Vladimiro: Che fanno rumore d’ali.
Estragone: Di foglie.
Vladimiro: Di sabbia.
Estragone: Di foglie.

Ogni giorno si ripete la stessa tragica farsa, senza possibilità di rivalsa. Non ci si può nemmeno aggrappare ai simboli, i quali perdono il loro significato e non rimandano più a nulla, se non al vuoto di senso che dilaga in ogni parola, ogni azione, ogni singolo gesto. Bisogna aspettare Godot, ché arrivi e ridia corso agli eventi, permetta le traformazioni, rinfonda la speranza di poter essere meno disperati.
Beckett affida a Pozzo le parole più crude, che impediscono anche solo di immaginare che potrà esserci un tempo in cui il sorriso sia lecito, in cui il cielo possa rischiararsi, in cui i profili degli uomini non assomiglino a una maschera inespressiva. È un eccellente Gianluca Gobbi a rendere ancor più grottesche e crudeli le parole pronunciate, e la sua interpretazione è una chiave di lettura innovativa per il personaggio del ricco proprietario terriero, che grazie a lui appare estremamente complesso, buffo e spietato, in bilico tra l’essere effeminato e l’essere brutale, tra la dipendenza assoluta e l’assoluto predominio sulla vita del suo servitore Lucky. È un signore del vuoto e del nulla, ed è capace di trascinarci nel suo regno.

Ma volete finire con le vostre storie di tempo?
È grottesco! Quando! Quando!
Un giorno, non vi basta, un giorno come tutti gli altri, è diventato muto, un giorno io sono diventato cieco, un giorno diventeremo sordi, un giorno siamo nati, un giorno moriremo, lo stesso giorno, lo stesso istante, non vi basta?
Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende in un istante, ed è subito notte.
Avanti!

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