Silvio Orlando, il nuovo e commovente Shylloch al teatro Goldoni di Venezia.
Regia di Valerio Binasco
Commento a cura di Daniela Lagrasta e Celestina Pezzola
Non c’è calendario annuale dei nostri teatri in cui non venga riproposta una delle opere di Shakespeare, eppure comunque ci colpisce trovare, nella stagione teatrale appena inaugurata, Il Mercante di Venezia rappresentato da ben due famose compagnie: la Popular Shakespeare Kompany, sulla riduzione e regia di Valerio Binasco, e la compagnia di Giorgio Albertazzi, sulla sua stessa ritraduzione e scrittura, con la regia di Giancarlo Marinelli. E’ persino avvenuto che a Roma, proprio nelle medesime date, sui rispettivi palcoscenici del teatro Argentina e del teatro Quirino, collocati pure a poca distanza l’uno dall’altro, fosse in scena Shyllock, il vecchio usuraio ebreo intorno alla quale si dipana l’intricata vicenda shakespeariana, a tal punto che spesso l’opera viene identificata con lui stesso, nella “sdoppiata” interpretazione di due grandi attori, Silvio Orlando e Giorgio Albertazzi (noi abbiamo assistito a quella dai toni intimistici, sofferti, di un bravissimo Orlando). Ci piace pensare che, anche per questa “coincidenza” e, perché no, per “interesse e calcolo”, che è poi filo conduttore fondamentale di questo testo shakespeariano, Il Mercante di Venezia si trovi così… “replicato” per la profonda e perturbante attualità dei suoi argomenti, a partire, dicevamo, da quello di un denaro disumanizzante, quello dello straniero, del diverso da sé, dell’estraneo – familiare, del pregiudizio, dell’intolleranza, dell’emarginazione, per giungere a quello dell’esegesi e complessità di ambiti quali equità, legalità, giustizia ed ipocrisia nelle relazioni con il singolo individuo, con la sua appartenenza, con la comunità. Tutti temi che Shakespeare riesce qui a pennellare acutamente, dalla più greve alla più sfumata espressione, intrecciandoli con quelli a lui sempre cari, del sentimento e degli affetti del mondo interiore, vero teatro psichico dei suoi protagonisti. Ecco quindi Shyllock, Antonio, Bassanio, Porzia, Nerissa, Graziano, impegnati nelle proprie articolate e complesse vicende umane di amore e di amicizia, con allusioni anche all’omosessualità, di passioni e solitudine, di intrigo, travolti nelle proprie inquietudini ed ambiguità, gioie e dolori, attratti ed impauriti dalla vita e dalla morte. Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non son altro che attori. Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta parecchie parti, recita un famoso verso di Shakespeare, il quale, anche con il suo Mercante di Venezia, si dimostra conoscitore attento e profondo degli interrogativi dell’essere umano, magistrale traduttore del teatro del mondo interno di ognuno sulla scena che è sé, che è l’Altro, che era in un tempo passato, che siamo noi oggi… Un “filosofo dell’essere”, come lo ha definito Franco Ricordi nell’analizzarne l’opera. E non possiamo quindi che sentirci, di fronte al “coincidente e duplice” Mercante di Venezia di questa stagione teatrale, chiamati a ri-fletterci e ri-flettere di fronte al teatro-specchio shakespeariano.
Ne “La mente come teatro”, Fausto Petrella sostiene quanto la mente funzioni come un teatro e quanto il teatro possa essere pensato come un approdo psichico: una similitudine dai molti risvolti ed estensioni, particolarmente vicine all’onirico, all’immaginario e insieme decisamente “costruttiva”, con la quale lo stesso Freud concettualizza l’apparato psichico. Come la mente, il teatro è un particolare dispositivo di rappresentazioni: una sorta di proposta immaginativa, nella quale lo spettatore è indotto ad accomodarsi e con la quale si confronta. E rispetto alla varietà dei modelli psicoanalitici, l’autore ben sottolinea l’importanza di cogliere la continuità nella diversità, ponendosi il problema di come cucire insieme le prospettive simultaneamente presenti nella clinica, delle quali “il teatro stesso non è che un grande modello dalle molte possibilità configuranti ed espressive, un contenitore adeguato alla complessità dei “personaggi” e delle istanze presenti nella mente e nella vita di ciascuno. Il teatro-analitico, inteso come drammaturgia del mondo interno e della relazione intersoggettiva, interessa sia per cosa mette in scena, sia per come lo mette. Il dispositivo che struttura l’esperienza può essere un importante oggetto di studio. Come ha ben sottolineato Bion, i punti di vista o i vertici sono parecchi, e bisogna sapere sempre da che posizione si parla perché questo condiziona fortemente ciò che è possibile vedere.”
Nel Mercante di Binasco, i protagonisti si presentano ognuno con un proprio accento ed inflessione di provincia, che al tempo stesso li diversifica eppure unisce, rispetto a Shyllock, dall’accento straniero, dalle inflessioni marcatamente slave, a volte albanesi, a volte ucraine, ma pure inaspettatamente partenopee, quasi che Orlando, si trovasse anche a vivere la perturbante esperienza di essere straniero agli altri e a se stesso.
L’ebreo di Shakespeare, (ricordiamo che l’opera gli venne commissionata da Elisabeth I che aveva fatto impiccare il proprio medico ebreo con l’accusa di avere attentato alla sua vita, allo scopo di alimentare il sentimento di ostilità verso il popolo ebraico, ma il grande drammaturgo riesce in realtà a costruire un sapiente saggio contro l’antisemitismo), nella Venezia di ieri e di oggi, crocevia di merci, culture, razze e religioni, interessi politici e legislativi, è ancora, sulla scena attuale, l’emblema dello straniero, esule da una terra che non avrà più, in cerca di una terra che non potrà essergli che offerta, estraneo ed ospitato, il quale difende i propri legami con le origini, la cultura, il credo religioso, in protezione dei propri confini identitari interni, che sente minacciati da quelli esterni.
La regia ne amplia ancor più il senso, lo attualizza, accentuando, nell’ebreo ghettizzato di allora, la caratterizzazione non soltanto dello straniero di oggi fra noi, dell’emigrato, dell’esule da terre invase, da terre senza lavoro, senza futuro, ma anche dell’isolato nel pregiudizio, del non compreso. Anche con gestualità, espressioni e comportamenti che riconosciamo nel nostro quotidiano, si riflette sul palcoscenico la nostra crisi epocale, economica e di valori che ricerca e preda la certezza soltanto nel potere economico, nella smania di possesso: il denaro è un valore quasi supremo, tutto è mosso dal dio denaro, anche l’amore, come dice lo stesso Binasco nell’incontro con il pubblico prima della rappresentazione. Come pure l’incontinenza smisurata a bere, il “fare gruppo” in un eccesso di lazzi ed eccitata ilarità, mostrano sul palcoscenico come la modalità stonata e banale, a volte “ambigua ed ovvia del pensare” (S. Amati Sas) della generazione degli spritz e degli skei ottenuti senza fatica: non è maturato dunque quel fecondo incontro con l’Altro, generatore di umana comprensione ed empatia, che consente la possibilità di identificazione.
Ben rappresentato è anche il conflitto tra generazioni, quella di Shylock padre e la figlia Jessica, seconda generazione di esuli, che innamorata fugge con i beni paterni e si converte alla religione dell’amato. Ci ha ricordato quelle giovani straniere pronte a togliere il velo ed ad abbracciare altre culture e religione, pur, come recita Jessica, con un velo di nostalgia per il “familiare” che offusca il loro sguardo e la loro identità e felicità: un amaro tentativo di assimilazione della cultura ospite nella costruzione di un’identità non più lacerata? (A questo proposito ricordiamo il concetto di assimilazione contrapposto a quello di identificazione, sviluppato da Giorgio Sacerdoti nel suo saggio “Ebraismo e psicoanalisi davanti all’assimilazione”).
Lasciamo al grido di Shylock , lo straniero perturbante, la testimonianza del fenomeno di familiarità/estraneità dentro ognuno di noi, : ”Non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, emozioni, passioni? Non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, non è scaldato e gelato dalla stessa estate e dallo stesso inverno come un cristiano? Se ci pungete noi non sanguiniamo? Se ci avvelenate, non moriamo?”
Novembre 2014
Bibliografia
S.Amati Sas, 1992, La honte par le chemin de l’ambiguitè.Int.J.Psycho-Anal.
F.Ricordi, 2011, Shakespeare, filosofo dell’essere. Ed.Mimesis
F.Petrella, intervista a Fausto Petrella relativa al libro “La mente come teatro”,1985, Centro scientifico editore, a cura di Nelly Cappelli (pag 3) pubblicata sul sito spiweb.
G.Sacerdoti, (1987) Ebraismo e psicoanalisi davanti all’assimilazione In :”L’altra scena della psicoanalisi.Tensioni ebraiche nell’opera di Sigmund Freudi”.a cura di D.Meghnagi,Carucci editore.