Il ballo, racconto di scena ideato e interpretato da Sonia Bergamasco
Daniela Lagrasta e Elisabetta Marchiori
Debutto in prima regionale al Teatro Ca’ Foscari di Venezia de “Il ballo”, prodotto dal Teatro Franco Parenti e da Sonia Bergamasco, in programma stagionale al Vascello di Roma, al Parenti di Milano e al Teatro delle Briciole di Parma, fra gennaio e marzo 2016 (www.soniabergamasco.it).
Lo struggente atto unico, liberamente tratto dal romanzo breve di Irène Némirovsky, autrice di origine ucraina, stimata per la sua magnifica scrittura anche di altri testi con affine e potente eco autobiografica, “I doni della vita”, “David Golder”, “I cani e i lupi”, “Suite francese”, viene interpretato da una Sonia Bergamasco particolarmente ispirata. L’eclettica artista, attrice di teatro e cinema, scrittrice, poetessa, pianista, regista (Nastro d’argento 2004, Premio Flaiano 2005, Premio della Critica 2012, Premio Eleonora Duse 2014) porta magistralmente in scena il profondo e complesso proprio lavoro elaborativo del testo in cui un’infanzia che soffre è come un’anima insepolta che geme in eterno, come esprime nelle note di regia ricorrendo alle parole della stessa Némirovsky che – come la sua biografia narra – fu una figlia subito lasciata ad una governante francese e poi, a diciassette anni, ad una inglese, con il trasferimento a Parigi della sua ricca famiglia.
Soffre l’infanzia di chi non conosce sguardo materno, di chi non ne conosce l’ascolto, di chi non è nei pensieri e nei sogni della propria madre. E soffre l’adolescenza, quando torna a sentire penose nostalgie, insieme a desideri e divieti, aggressività e fragilità, lotte d’amore e di rabbia, come è per la quattordicenne protagonista di questo atto unico.
La Bergamasco riesce a portarne ogni sfumatura sulla scena e a cogliere la non elaborabilità del conflitto sottostante: “Nell’egoismo della madre, nella sua indifferenza ai dolori provati dalla figlia, vedo un conflitto fra generazioni, dice in una sua intervista (2013). Nel rapporto fra le due donne, oltre all’evidenza della ferocia della madre, talmente chiara che non c’è neppure bisogno di parlarne, l’attrazione più potente è anche il rispecchiamento fra le due figure: la figlia nella madre, la madre nella figlia. Questo è per me il dato più affascinante e allo stesso tempo il più terribile: sentire che queste due figure non sono separate da questa ferita, ma sanno invece di appartenersi.”
Un’inseparabilità che, sul palco, si fa Teatro dell’Io e Teatro del corpo (McDougall, 1982, 1989) grazie all’interpretazione poliedrica dell’attrice che riesce ad “incarnare” l’Uno, nessuno e centomila di una trama che si fa così tutta interiore: è l’adolescente Antoniette ed è Rosine, la madre vanesia ed assente; è il padre mancante, un parvenue; è l’istitutrice ed insegnante di inglese; è la cugina, invidiosa e maldicente maestra di pianoforte. Ognuno ha voce e volto nelle proprie espressioni anche più intime e segrete che, come in una continua metamorfosi, “escono” dal corpo etereo, eppur potente dell’attrice, avvolto in una lineare tuta-pantaloni di lucida seta bianca.
E così la scena teatrale sembra diventare scena psicoanalitica.
Complice anche l’allestimento che, al centro palco spoglio, e già mentre gli spettatori vocianti prendono posto in platea, prevede la protagonista raggomitolata sull’antica chaise longue: intorno specchi di ogni misura, ricoperti di veli plasticati ad offuscare e ostacolare quel riflettersi vivificante di sé bambina nel volto della madre, primo specchio emotivo dell’essere (Lacan,1949; Winniccott,1967). Lei rimane lì, immobile per un tempo-spazio indefinito, che via via si fa silenzio attonito degli spettatori accortisi della sua presenza.
È soltanto allora, come nel silenzio-ascolto-sguardo affettivo e rispettoso della stanza analitica, che si alza il gemito dell’infanzia negata e dell’adolescenza tradita di Antoniette, a disvelare i personaggi del proprio mondo interno oltre le opache apparenze, oltre le parole di quel sé catturato e identificato nell’Altro, costretto nella storia dell’Altro (Bollas, 2000).
Antoniette è una Biancaneve senza i Sette Nani, è un Piccolo Principe senza né volpe, né pecora, né rosa, è una Cenerentola senza la Fata Madrina, senza il proprio ballo di debutto alla vita: non ha i propri sogni da raccontare, la sua non è una storia che si svolge lungo la narrazione dell’amore e del riconoscimento quale oggetto del desiderio dell’Altro e non ha futuro. La mancanza d’essere di Sartre, apertura ontologica verso l’alterità, è abbandono (Ceolin, 2015), è esproprio del tempo e del divenire, così che la rivalità, in cui la vita pone madre e figlia, le divide e le unisce per sempre nella solitudine astiosa e nella distruttività reciproca.
Si può, tra le “insospettabili” mura domestiche e con la stessa cruenza dei femminicidi raccontati nel libro di Misiti e Dandini (2013), essere ferite a morte anche dai silenzi, dagli sguardi, dalle parole, umilianti e non comprensibili, che bruciano e devastano l’anima e il corpo, come è stato per Antoniette. Lei per la madre, per tutti, è soltanto una ragazzetta, un qualcosa di spregevole e infimo come un cane che ormai può gemere soltanto la propria rabbia: “Vorrei morire. Dio, fammi morire … Santa Vergine, perché mi hai fatto nascere in mezzo a loro? Puniscili, ti prego … Puniscili, e poi muoio contenta […] Probabilmente sono tutte balle, il buon Dio, la Vergine: balle come i buoni genitori dei libri e l’età felice”.
BIBLIOGRAFIA
Bollas C. (2000), Isteria. Cortina, Milano, 2001.
Ceolin M. (2015), La scena mancante. Comunicazione letta all’Ateneo Veneto di Venezia.
Dandini S., Misiti M. (2013), Ferite a morte. Feltrinelli, Milano.
McDougall J. (1982), Teatri dell’Io. Illusione e verità sulla scena psicoanalitica. Cortina, Milano, 1988.
McDougall J. (1989), Teatri del corpo. Un approccio psicoanalitico ai disturbi psicosomatici. Cortina, Milano, 1990.
Lacan, J. (1949), Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, XVI Congresso internazionale di psicoanalisi, Zurigo, luglio 1949.
Winnicott D.W. (1945), Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli, Firenze, 1975.
Intervista: http://www.wuz.it/intervista-libro/8090/Intervista-Sonia-Bergamasco-Ballo-Irene-Nemirovsky.html
Dicembre 2015