Cultura e Società

E. De Capitani “Moby Dick alla Prova” di O. Welles. Recensione di C. Nichini

14/02/22

Moby Dick alla Prova

di Orson Welles

dal romanzo di Melville

Spettacolo di Elio De Capitani

Teatro Elfo Puccini – Milano

Recensione di Cristiano Nichini

Moby Dick alla Prova è il titolo dell’opera scritta nel 1955 da Orson Welles e rappresentata per la prima volta al Duke of York’s Theatre di Londra. Attualmente è in scena al Teatro Carignano di Torino fino al 20 febbraio. Il testo è un adattamento, prevalentemente in versi sciolti, del romanzo di Melville. Lo spettacolo è di Elio de Capitani che, come Welles nella prima rappresentazione, interpreta ben quattro personaggi: il Capocomico, Lear, Achab e Padre Mapple.

Chi conosce l’opera di Melville, ma non il testo di O. Welles, si chiederà immediatamente cosa ci fa Re Lear accanto ad Achab. La risposta sta nell’espediente metateatrale utilizzato da Welles: l’opera rappresentata, infatti, narra di una compagnia di attori che deve mettere in scena il Re Lear ma che tra una prova e l’altra decide di passare al Moby Dick. Questa scelta introduce in modo efficace e repentino diversi livelli di lettura in cui gli attori recitano se stessi ed entrano in relazione con il pubblico in un gioco tra finzione e realtà.

Siamo immediatamente catapultati in una rappresentazione teatrale e psichica le cui potenzialità sono efficacemente descritte nel libro di Fausto Petrella “La mente come teatro”. E’ lo stesso protagonista della scena che chiama in causa gli spettatori invitandoli a sopperire con la fantasia a quanto la compagnia non riesce a fare con i propri mezzi. Anche qui c’è lo zampino di Shakespeare con l’Enrico V, quando scrive: “Sarà così la vostra fantasia a vestire di sfarzo i nostri re, a menarli dall’uno all’altro luogo, saltellando sul tempo, e riducendo a un volger di clessidra gli eventi occorsi lungo diversi anni”.

Questa recensione non può che limitarsi a suggestioni, non solo per limiti di spazio, ma per continuare il gioco proposto da Welles attraverso Shakespeare, di lasciare al lettore ulteriore spazio di pensiero e immaginazione.

Mi limito a descrivere l’esperienza sensoriale, prima che emotiva a cui mi ha condotto l’assistere allo spettacolo.

Palco scarno, pochi oggetti, sparsi, apparentemente disordinati. Attori inizialmente e magnificamente disorientati nel cercare di capire cosa sono lì a fare (Shakespeare, Lear, altro… ?). Tutto apparentemente caotico ma propizio a condurre lo spettatore, quasi inconsapevolmente, in mezzo ad un mare in  burrasca, difronte a mostri spaventosi in cui odio, amore, paura ed estasi si mescolano (“Per amore dell’odio…io ti uccido)  in una tempesta che è primariamente esperienza sensoriale. Siamo nell’area preverbale, dove il suono delle balene, il canto dei marinai e le vele sospinte dal vento ci portano dentro, sopra e sotto l’oceano. Non si vedono i remi e le navi su cui i marinai faticano e combattono, ma si sentono fisicamente e ritmicamente. L’intensità crescente con cui gli attori/marinai battono all’unisono su scarni tavolini metallici riesce ad evocare lo sforzo fisico necessario ad affrontare l’inseguimento della balena.

“Non so bene cosa si sia detto, ma so quello che ho sentito”. E’ così che mi è capitato di commentare la mia esperienza analitica ed è così che mi sentirei di commentare la visione dello spettacolo di Elio de Capitani.

Se colloco quanto descritto in un orizzonte psicoanalitico il pensiero corre al “sentimento oceanico”. Nell’opera di Melville rinveniamo in effetti anche il tema religioso, ma declinato nel senso di appartenenza dell’essere umano ad un unico destino, ad un’unica matrice ed impasto originario che rimane misterioso e parzialmente inaccessibile. Inabissarsi in questa esperienza può portarci a contatto con aspetti vissuti come mostruosi e persecutori, verso cui nutriamo attrazione e repulsione nello stesso tempo. Moby Dick non perseguita, semplicemente “è”, come la natura con il suo ritmo e tutto quello che ci sovrasta, pandemia inclusa, frustrando inevitabilmente le nostre fantasie di onnipotenza.

L’opera di O. Welles ci riconnette con quel tipo di esperienza e dopo la pandemia tale prova sembra diventare anche un’esperienza catartica. L. Ambrosiano (2021), nella presentazione di un seminario del Centro Milanese di Psicoanalisi, diceva che nella nostra epoca il rapporto tra soggettivo ed indifferenziato sembra particolarmente malfunzionante. La dura prova sociosanitaria di questi mesi ci ha messo in crisi come soggetti e come collettività. Penso che recuperare in profondità una dimensione, soprattutto inconscia, di comunione con la natura e con la matrice costitutiva originaria intra ed interpsichica sia la premessa per ricostruire la lacerazione traumatica. “La soggettivazione”, affermava nella stessa occasione Laura Ambrosiano, “non si compie se non si innerva dei livelli primitivi della mente, cioè da quello che si può chiamare pre-individuale, indifferenziato o, per gli addetti ai lavori, pre-edipico e oceanico. Una connessione che non è relazione, ma connessione oceanica di individui che battono all’unisono. E’ sensazione, non è emozione o affetto. Si tratta di un continuum fisico. Questa esperienza è sempre presente nella mente e va tenuta viva, per evitare che la soggettivazione diventi conformismo teso a sostenere un adulto “prestazionale””.

Elio De Capitani ci è riuscito.

Bibliografia

Ambrosiano L. (2021) Le vicissitudini dell’identità: dal romanzo di formazione al concerto dei Queen. Relazione al Seminario del Centro Milanese di Psicoanalisi del 11 dicembre 2021

Petrella F. (2011) La mente come teatro. Psicoanalisi, mito e rappresentazione. Centro Scientifico Editore. Torino

Shekeaspeare W. (1600)  Enrico V. Mondadori. Edizione Italiana 1990

Welles O. (2018)  Moby Dick. Prove per un dramma in due atti. Italo Svevo Editore. Roma

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