56° stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico al Teatro Greco di Siracusa [1]
Massimo De Mari
Dopo la stagione 2020 in cui, a causa della pandemia da Covid-19, il programma è stato necessariamente ridotto, con allestimenti minimali, soprattutto in forma di monologhi, quest’anno gli spettacoli nello splendido scenario del Teatro Greco di Siracusa, sono ripresi in tutta la loro magnificenza scenografica, con i cast al completo.
Il programma prevedeva Coefore/Eumenidi di Eschilo, con la regia di Davide Livermore, Baccanti di Euripide con la regia di Carlus Padrissa e Le nuvole di Aristofane con la regia di Antonio Calenda.
L’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA), uscito da un lungo periodo di turbolenze amministrative, è ora retto con mano ferma e competente dal sovrintendente Antonio Calbi, che ha dato nuovo slancio anche alla Scuola di Teatro Classico, che ha la sua sede storica a Siracusa.
Forse la cifra distintiva delle rappresentazioni di quest’anno è stato proprio il ruolo giocato dai giovani attori studenti e diplomati della scuola che hanno arricchito in modo sostanziale le performance degli attori principali, non solo come comparse o figuranti, ma dando un contributo fondamentale agli allestimenti con la recitazione, il canto, il ballo e l’acrobatica.
Davide Livermore, autore di un’edizione memorabile di Elena di Euripide nel 2018, ha messo in scena i due testi di Eschilo, Coefore ed Eumenidi, inaugurando il ciclo dell’Orestea che verrà ripreso e completato nella prossima stagione 2022.
Il mondo di Coefore è un sistema di potere distrutto dove il fantasma di Agamennone impregna un impianto scenico di manifesta devastazione.
Ci troviamo in quella che può essere la fine di un mondo, ricreato attraverso un paesaggio algido, freddo, ricoperto di gelo e di neve, una neve dolorosa che, nelle parole di Livermore “congela il corpo della tragedia, lo sospende per dieci anni, dieci lunghissimi anni in cui un bambino, Oreste, diventerà un assassino matricida”.
Il regista ha deciso di attualizzare il testo di Eschilo, accostando il sacrificio di una figlia da parte di un padre (com’è noto nel mito Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia per accattivarsi gli dei in vista della guerra di Troia) alla mancata restituzione della figlia di Vittorio Emanuele III dal lager di Buchenwald, Mafalda di Savoia, una figlia non riscattata e morta in un campo di concentramento.
Al ritorno da Troia, Agamennone troverà la morte per mano della moglie Clitennestra, che vendicherà in questo modo la figlia, con l’aiuto del suo amante Egisto, eventi descritti nella prima parte della trilogia, Agamennone.
Oreste, a sua volta, vendicherà il padre uccidendo la madre e il suo amante, chiudendo così il cerchio tragico e venendo per questo perseguitato e inseguito dalle Erinni.
Ma Oreste compie dunque un atto empio uccidendo la madre o un atto di giustizia, vendicando l’uccisione del padre e salvandone l’onore?
A questo quesito impervio risponde Eumenidi, un testo che può dirsi un manifesto sul concetto di democrazia, le sue certezze e le sue ambiguità, così come le ritroviamo anche nella nostra epoca.
In Eumenidi ne comprendiamo tutta la natura perchè l’atto fondativo di essa è l’assoluzione di un assassino da parte di un giudice, Atena e di un avvocato, Apollo, che per la loro stessa natura divina determinano una disparità di giudizio al limite dell’iniquo.
Come sottolinea il filosofo Umberto Curi in un suo recente scritto sul senso della pena (“Il colore dell’inferno”, 2019, Bollati Boringhieri) “Uccidendo Egisto, Oreste agisce nel quadro di una “logica” della reciprocità e della compensazione, largamente condivisa in età arcaica e classica, in quanto il suo gesto appare come atto dovuto in risposta ad una perdita subita“.
Lo spettacolo di maggior successo della stagione, è stato sicuramente Baccanti di Euripide, nell’allestimento straordinario curato dal regista Padrissa.
Il tema è quello della follia che Dioniso getta addosso alle donne di Tebe che non lo riconoscono come dio e si rifiutano di fare i sacrifici a lui dovuti.
Gli dei crearono il genere umano dalle ceneri rimaste sul campo dalla battaglia contro i Titani ed è per questo motivo che gli uomini possiedono una duplice natura: nelle loro vene scorre il sangue di Dioniso ma, al contempo, la loro è la carne di chi agli dei reca empia offesa.
Tale dualità è parte costituente dell’esistenza umana.
Nelle Baccanti Euripide descrive la catastrofe di questo conflitto interiore ed esteriore tra e dentro di noi; a più di due millenni dalla sua stesura, la storia delle Baccanti continua a rappresentare la ricerca incessante di un equilibrio tra le nostre pulsioni animalesche e le regole predeterminate della morale e della ragione.
Il prologo narra che, dalle lontane regioni dell’Oriente asiatico, il dio è venuto a Tebe, dove un giorno Semele lo aveva generato da Zeus, per rivelare la sua divinità ai Tebani, che l’hanno misconosciuta, e istituirvi i suoi riti.
Dioniso ha già cacciato furenti sul Citerone le figlie di Cadmo, che irridevano Semele, e con esse le donne di Tebe: sul monte esse attendono ora a celebrare i riti bacchici.
Ancora più esemplare sarà la punizione di Penteo, figlio di Agave, che da Cadmo ha ottenuto in eredità il potere a Tebe e, ostinatamente, si oppone all’introduzione dei nuovi riti, che considera un’impostura.
Dioniso si presenta in veste effeminata; per alcuni autori il suo aspetto androgino farebbe pensare alla personificazione del Sé, in quanto in esso si nota l’unione degli opposti maschile/femminile.
Annunciando la propria natura divina e al tempo stesso umana, si presenta come quell’attimo in cui l’uomo può entrare in contatto con Dio e con la Natura, che poi si rivelano la stessa cosa.
Il messaggio che giunge alla coscienza è forte: rifiutando il dio, cioè il proprio Sé e il cammino nel lungo processo di individuazione, l’uomo subirà un degno castigo che porterà allo stravolgimento.
Ne fa le spese Penteo che, ignorando gli ammonimenti di Tiresia, verrà ucciso e smembrato dalla sua stessa madre che, accecata dalla follia, non lo riconosce.
L’allestimento è stato caratterizzato dalla presenza di una enorme gru, fuori scena che ha fatto letteralmente “volare” il coro sopra la scena, con un effetto scenografico di grande impatto e dalla straordinaria performance di Lucia Lavia (figlia di Gabriele Lavia e Monica Guerritore), premiata come migliore attrice, che ha impersonato Dioniso.
A chiudere il programma Le Nuvole di Aristofane, un testo che ha confermato, con la regia immaginifica e poetica di Antonio Calenda, la sua forza drammaturgica, in un delicato equilibrio tra i temi della commedia e un finale tragico, a sottolineare come gli argomenti, pur trattati in forma scherzosa durante lo svolgimento dell’azione, celassero tensioni e conflitti capaci di esplodere, come poi si verifica, in una violenza distruttiva.
Il protagonista, Strepsiade, è un contadino afflitto da problemi economici, evidentemente parte di quella popolazione che più aveva sofferto le incursioni spartane e le conseguenze economiche di una guerra che andrà molto oltre il tempo della scrittura delle Nuvole, proposte per le Dionisie del 423 a.C.
Strepsiade chiede aiuto a Socrate e ai suoi discepoli per imparare a ribaltare la propria visione della vita e risolvere così i suoi problemi economici.
Aristofane polemizza apertamente con la figura di Socrate che viene rappresentato come un sofista la cui scuola propone il principio assoluto dell’infinita mutevolezza del logos quale arma di dominio dell’altrui pensiero, per convincere e vincere il prossimo attraverso la propria argomentazione, indipendentemente dalla giustezza del pensiero che la muova.
Come sappiamo e come di certo Aristofane non ignorava, per Socrate prima e Platone in seguito, quella crisi dei valori della Polis ateniese resta presupposto, vertice caotico da cui muove il pensiero filosofico verso una nuova rifondazione del nomos.
Non un discorso Peggiore e un discorso Migliore – i due personaggi surreali della commedia – ma una sola nuova verità, una sola giustizia, un solo ethos fondati sul pensiero argomentato sino all’inopponibilità di ogni obiezione possibile.
Strepsiade, alla fine, si renderà conto che lo stile argomentativo acquisito dalla scuola socratica non gli servirà a nulla e si vendicherà dando fuoco alla casa di Socrate, all’interno della quale il filosofo finirà per morire.
La commedia si chiude con la parole del coro delle nuvole, evocate da Socrate come “le grandi e potenti dee che ci garantiscono le idee, il lessico, i ragionamenti, nonchè l’arte di stupire, i giri di parole, la battuta fulminante e la risposta sempre pronta”, modo con cui Aristofane sembra ridicolizzare l’uso “fumoso” che Socrate fa della parola.
“Trema tutto, crolla il tetto ! – è l’ultimo commento di fronte al finale tragico – su ragazze, riverenza e poi rapide all’uscita. Per oggi si è ballato a sufficienza”.
Un finale sottolineato dall’abbattimento del fondale e dal gesto simbolico delle nuvole di liberarsi del costume di scena; alla fine la scena è nuda, gli attori sono usciti dai loro ruoli, il teatro ha lasciato il suo messaggio catartico e il pubblico può tornare a casa.
La stagione 2022 dell’INDA vedrà mettere in scena l’Orestea, con la regia di Davide Livermore, Ifigenia in Tauride, con la regia di Jacopo Gassmann e Edipo re, con la regia di Robert Carsen.
Di grande suggestione per la psicoanalisi, sarà l’accostamento delle figure di Oreste e Edipo, entrambi eredi del trono delle loro città per legittimità dinastica, entrambi in modi diversi costretti a trascorrere parte della loro vita lontani dalla patria, entrambi indotti a macchiarsi del sangue dei loro genitori, entrambi protagonisti di un ritorno in età adulta nelle città di provenienza.
“Oreste ed Edipo – sottolinea Curi (ibidem) – sono testimonianza significativa degli interrogativi che la società greca pone riflettendo attorno a temi socialmente rilevanti, come quello della vendetta, del matricidio e del parricidio, della “contaminazione” (miasma) e della “purificazione” (catabasi)“.
Come si può notare sono temi universali, quelli della pena e della responsabilità, quanto mai attuali anche nei nostri travagliati tempi, a conferma del valore della cultura classica che fa sì che testi scritti 2500 anni fa conservino intatta la capacità di sorprendere e di stimolare un pensiero critico.
Nota
[1] Il materiale di riferimento di questo articolo è tratto, laddove non citato, dai programmi di sala di “Coefore/Eumenidi”, “Baccanti” e “Le nuvole” a cura dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico).