Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, fino al 9 Gennaio 2011
Teatro del sogno: intanto molto bello, e assai intrigante per uno psicoanalista, il titolo della mostra, per l’immediato rimando alla dimensione scenografica e teatrale dello spettacolo onirico che si dischiude davanti agli occhi dei dormienti, e di cui ascoltiamo dai nostri pazienti le infinite drammaturgie intessute dalla psiche individuale. Nella stessa letteratura psicoanalitica è peraltro frequente il riferimento al teatro come metafora del sogno e della mente, con la drammatizzazione narrativa dei personaggi e degli affetti che popolano la vita mentale del sonno e della veglia – cito solo il libro di Resnik, Teatro del sogno, e il lavoro di Petrella La mente come teatro, ma si potrebbe compilare una ricca bibliografia. A sua volta Luca Beatrice, curatore dell’allestimento perugino, scrive in catalogo che è stato proprio un libro ad aver sollecitato in lui l’idea della mostra: Teatro del sonno, curato di Guido Almansi nel 1987, in cui stralci di romanzi e racconti si inframmezzavano a parti più saggistiche sul rapporto tra creatività letteraria e oniricità, in un testo che "procede per multipli, senza punti di entrata o uscita ben definiti e senza gerarchie interne". Beatrice confessa di aver molto amato il libro, andato poi perso, senza che riuscisse più a recuperarne una copia né in libreria né su internet. Che questa mostra rappresenti, per il curatore, la maniera di riparare questa perdita? Un modo per ritrovare l’oggetto perduto, recuperandolo simbolicamente ed esteticamente? Se pur così fosse, dal nostro punto di vista di visitatori e spettatori l’operazione è molto ben riuscita!
A Perugia è in mostra la rappresentazione del sogno nell’arte del ‘900 fino alla nostra più attuale contemporaneità. Attraversiamo il secolo della psicoanalisi in compagnia delle avanguardie artistiche che spesso hanno fatto esplicito riferimento alle teorie freudiane, e insieme a quella settima arte che è il cinema il cui dispositivo di visione – secondo Metz – è intrinsecamente psicoanalitico. La mostra mette in scena anche la molteplicità delle forme e dei linguaggi espressivi con cui gli artisti hanno declinato il tema dell’onirico – pittura, video, istallazioni, film – e organizza i materiali visivi intorno a quattro sezioni – Simboli, Surrealismi, Celluloidi, Contemporanei – i cui percorsi nello spazio espositivo finiscono spesso con il mescolarsi e il sovrapporsi.
L’effetto, per il visitatore, è di lieve spiazzamento, di sottile disorientamento spaziale e cronologico sicuramente voluto dal curatore, direi come a riprodurre sia la rizomaticità del "libro" da cui tutto è cominciato, sia lo spaesamento proprio del sogno e della visionarietà onirica, con le sue bizzarrie, incongruenze ed enigmaticità, che faceva scrivere a Freud nel Compendio di Psicoanalisi che "Il sogno è una psicosi, con tutte le assurdità, le delusioni e le illusioni di una psicosi". Di breve durata però, si affrettava ad aggiungere, e comunque lo strumento psicoanalitico applicato al sogno mirava proprio a ritrovarne il senso, immergendosi nel flusso associativo delle immagini, apparentemente confuso ed erratico, per ricostruire i contenuti di verità personale e i pensieri che presiedono alla messa in scena "allucinatoria" dell’onirico.
La qualità delle opere selezionate per la mostra di Perugia è notevole. Bellissimo lo Chagall del nudo di spalle con treccia corvina, bianco e rosa disteso sui cieli di una città sognata, poetico nei suoi villaggi ebraici, con spose e caprette che volano e violinisti che suonano sui tetti; è un mondo onirico di arcaica nostalgia, un universo di serenità e gioia infantile.
Più frequentemente, però, i sogni in mostra sono intessuti di desideri, angosce, pulsioni, incubi; prima più velatamente dai Simbolisti, poi con esplicita volontà di provocazione dai Surrealisti, con le loro incongrue e metamorfiche visoni volte ad esprimere un pensiero sciolto da ogni controllo o preoccupazione di ordine razionale, morale o estetica, immagini che si volevano create da un meccanismo di automatismo psichico.
Definirei l’occhio e la visione il percorso latente della mostra. L’occhio della donna tagliato dalla lama di rasoio, nella sequenza del Chien Andalou di Buňuel, rappresenta l’invito ad accecarsi rispetto alla visione consueta delle cose, e ad attivare un altro sguardo. Occhi chiusi sul mondo e aperti alla visione interiore, ai fantasmi, agli oggetti,ai tempi multipli che ne occupano gli spazi straniati, come in Savinio o De Chirico. Pupilla che ritmicamente si allarga e restringe, pulsazione emotiva nella video-istallazione di Oursler o iride implosa, centrifugata dalla rotazione, in Hirst. Il ritorno all’arcaico nella posizione quasi fetale del dormiente di Paladino. Voyeurismo dello spettatore davanti al video di Taylor Wood, camera fissa che spia i movimenti involontari del corpo abbandonato al sonno dell’icona sexy David Beckham: accessibilità del corpo sensuale esposto allo guardo, inaccessibilità dell’esperienza onirica che scorre dietro quelle palpebre chiuse.
C’è un uomo dall’occhio bendato, dallo sguardo diviso e scisso, che compare alla fine dei venti minuti dell’unico film di Beckett, interpretato da Buster Keaton, straordinaria rappresentazione filmica di un incubo paranoico, dove il protagonista è braccato da inseguitori immaginari, in fuga da sé, dalla propria immagine proiettata all’esterno, dalla propria storia fatta a pezzi come il mazzo di vecchie fotografie. E poi non si può non soffermarsi sulla sequenza del sogno da Io ti salverò di Hitchcock, creata da Dalì, e godersi un meraviglioso viaggio nelle sequenze oniriche dei film di Fellini, raccolte in un delizioso filmato di trenta minuti. Ma senza dubbio occasione di grande divertimento ed interesse per uno psicoanalista è la selezione dei disegni e schizzi di Fellini.
Tratti dai tre volumi del suo Libro dei sogni, sono immagini annotate con il racconto dei sogni di cui cercava di fissare la memoria per sé o per il suo psicoanalista, raccogliendo negli anni una enorme quantità di figure, bozzetti caricaturali, appunti di situazioni bizzarre, da cui il grande regista traeva poi spunti per i suoi film. Il sogno come via regia per l’inconscio, scriveva Freud. Oggi in psicoanalisi si parla dell’onirico come dimensione non esclusivamente collegata al sogno notturno, ma anche come processo inconscio di creazioni di immagini costantemente attivo. Da queste stesse immagini interiori gli artisti muovono, o sono sollecitati, a trovare forme e linguaggi espressivi in grado di rendere pubblico il loro tormento, la loro ossessione, il loro sogno privato. Se Freud ha "scoperto" l’inconscio nei termini in cui oggi ci riferiamo ad esso, è pur vero che come egli stesso ha affermato lo psicoanalista e l’artista "attingono alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con un metodo diverso".
Maria Grazia Vassallo Torrigiani