Remo Bodei Filosofo (1938-2019)
Vorrei offrire un omaggio a Remo Bodei apparentemente autorefenziale rispetto alla psicoanalisi, nel senso che Bodei è stato un filosofo importante, riconosciuto in tutto il mondo, il cui pensiero ha attraversato argomenti e problematiche vaste di cui la psicoanalisi era solo una delle sponde su cui poggiare lo sguardo, non il suo oggetto specifico, eppure il suo pensiero in qualche modo non prescindeva mai dalla teoretica freudiana riguardo le dinamiche psichiche dei soggetti e il loro intreccio con gli eventi del mondo.
Nel 2000 ha ricevuto il Premio Musatti, che in questo caso in particolare più che mai, ha avuto la funzione di sottolineare la connessione di un pensatore filosofo con la nostra disciplina.
Una volta soltanto, almeno che io ricordi, un suo libro è stato esplicitamente impostato sull’indagine della vita mentale anche nei suoi aspetti patologici (Le logiche del delirio. Ragione, affetti, follia, Ed. Laterza 2000). La concomitanza dell’uscita del libro con il premio non era del tutto casuale ma neanche conseguente, appunto perchè già da tempo Bodei aveva percorso il suo tragitto filosofico in compagnia del pensiero psicoanalitico. Parlando del delirio Bodei ne rivendicava la contrapposizione alla ragione non come alternativa ma proprio in quanto indicazione di un “luogo altro” dove sperimentare quello spaesamento che lui, filosofo consapevole dei molteplici livelli della vita mentale, sapeva costitutivo della psiche e perciò stesso ineliminabile. Nessuna fascinazione per la patologia e il dolore ma grande considerazione per la ricerca comune alle persone sofferenti mentalmente come a tutti gli altri, di un ‘senso’ che aiuti ad orientare la nostra esperienza del mondo.
E non c’è da stupirsi se le passioni sono state sempre viste come ‘alterazioni’ della ragione senza una loro funzione né espressiva dell’individuo, né funzionale alla segnalazione di dinamiche sociali che magari un’emozione o un sentimento, come la paura per esempio, possono più chiaramente rivelare se non le si relega alla semplice contrapposizione ragione-passione (Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Milano, Feltrinelli, 1991.) che risulta infeconda e passivizzante. Contrapposizioni sterili che ora più che mai servono a coprire le difficoltà generate dai nuovi fenomeni che la società e la cultura ci costringono ad affrontare.
Remo Bodei ha sempre operato nella direzione di un’attenta analisi della contemporaneità, con quella sua peculiare capacità di legare la storia della filosofia passata alle più recenti problematiche attuali, adoperando concettualizzazioni che sono parte basilare del bagaglio teorico psicoanalitico come per esempio quella del ‘limite’(Limite, Il Mulino 2016) Sensibile alla crisi della capacità simbolica dell’uomo moderno si è chiesto se la funzione che il senso del limite nel passato, sia nell’ambito del pensiero che in quello della convivenza sociale, poteva svolgere nella sua doppia veste di possibilità di allargamento dei confini ma anche di perdita di essi, avesse al giorno d’oggi subito uno slittamento verso un operare totalmente legato all’azione senza più alcuna riflessione. Una problematica che investe la pratica terapeutica psicoanalitica in maniera prepotente. Ma gli squarci del filosofo sul destino dell’uomo e le forme che man mano la soggettività assume nelle diverse epoche storiche ( Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Il Mulino) sono così tante e così appropriate alle problematiche psicoanalitiche, che ci vorrebbe una disanima estesa di tutte le sue opere per tenerle in conto tutte. Ora vorrei finire invece notando un richiamo ricorrente che Bodei compie in ogni suo libro e in moltissimi suoi titoli, quello alla ‘felicità’.
Mi permetto il racconto di un episodio personale anche se in questo caso riguarda non solo l’amicizia che era una sua capacità profonda di sentire, ma un episodio di natura professionale. Poco tempo fa quando era già molto malato mi fece il regalo di inserire nell’edizione inglese di un mio libro, una prefazione tratta da una sua precedente recensione già pubblicata su un giornale. Parlava in molti modi e da tanti punti di vista di questo libro che in sostanza si occupava di aspetti ‘brutali’ della vita psichica, della realtà e delle sue trasformazioni e che nel mio intento mai avrei pensato toccasse il tema della felicità. Eppure Bodei concludeva: “La psicoanalisi non mira a cambiare gli individui, quanto a trasformare le relazioni di ciascuno con se stesso e con gli altri. Come avrebbe detto Freud: a trasformare la loro infelicità patologica in una infelicità normale.”
La declinazione al negativo contenuta nella famosa affermazione freudiana ancora di più ora suona per quello che Freud intendeva, un invito a pensare che la felicità è la ricerca costante dell’essere umano e che la consapevolezza della sua irragiungibilità segna proprio quel limite per cui anche la distanza e il lutto diventano affrontabili.
Vale per le persone e vale per le nostre discipline in questo caso accomunate. Bodei diceva che nonostante le obiezioni contrarie che venivano poste in più ambiti, la filosofia non è affatto morta anzi è più viva che mai perchè corrisponde al bisogno di senso incessante a cui cerca risposte “esplorando le faglie di quei continenti simbolici su cui poggia il nostro comune pensare e sentire”. Lo stesso credo valga per la psicoanalisi, facendo il lutto per il loro continuo riposizionamento nella cultura e nella società, che non è però in nessun modo una sparizione.
Lorena Preta
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