L’esperienza del Congresso Cowap a Istanbul è stata davvero particolare, interessante e drammatica insieme. E’ riuscita a coniugare in poche ore vita professionale e personale attuale e passata, privata e pubblica, sociale e politica, arte e paura.Già il tema “Le omosessualità” era abbastanza intrigante, considerando il luogo in cui veniva proposto e sviluppato.
La Turchia è un Paese complesso, per certi tratti schizofrenico: è in estrema espansione e progressione economica e scientifica e quindi anche culturale. Istanbul è una città ricca, con quartieri molto moderni dai grattacieli arditi che svettano come non in Italia, ma come tutta la Turchia è contemporaneamente teatro di fenomeni di regressione sociale e culturale.
Le leggi appena emanate, che riguardano tutti ma in particolare i giovani e le donne, prospettano un ritorno al secolo scorso in un paese in cui, ancor prima che in Italia, le donne avevano ottenuto il voto e i giovani il diritto allo studio. Ora alle donne potrebbe essere imposto il velo e ai giovani vietato fare effusioni affettuose per strada, quelle stesse strade in cui campeggiano enormi cartelloni pubblicitari di giovani bellissime in abiti succinti e alla moda.
Il campus universitario che ospitava il congresso era molto bello e moderno, affacciato sul Bosforo: bar, mense, ristoranti, caffè con comode poltrone e tappeti erbosi, edifici moderni con interessanti soluzioni architettoniche e di arredamento.
Mentre nella confortevole aula a semicerchio i relatori parlavano, il vento faceva ondeggiare i pannelli sullo sfondo del palco lasciando intravvedere in lontananza, oltre l’acqua scintillante del Bosforo attraversato da numerosi traghetti, la parte asiatica della Turchia.
Durante i convegno l’omosessualità, difficile e spesso dolorosa vissuta dagli omosessuali, è rimasta un po’ nell’ombra. Chi ha pazienti omosessuali conosce l’estrema difficoltà delle relazioni affettive, l’insoddisfazione sessuale, il travaglio del riconoscimento e dell’accettazione della propria sessualità e non ultima la paura e la vergogna di essere scoperti dai famigliari o dai colleghi di lavoro.
Anche se, come ci ha ricordato Jacque Andrè, l’omosessualità non è più un elemento di discriminante per essere membri IPA, questo non esaurisce certo la complessità della questione clinica “delle omosessualità” al plurale, come giustamente si intitolava il congresso, perché la questione della identità sessuale si snoda in un continuum attraverso tutti i livelli maturativi.
Come ricorda Cristina Saottini nel suo puntuale report, l’interruzione prematura del congresso ci ha tagliato fuori dalla clinica, di cui siamo rimasti orfani. Peccato, perché pensiamo che i casi delle colleghe turche ci avrebbero mostrato, oltre alla loro competenza clinica, un ulteriore interessante spaccato di vita della Turchia.
Tuttavia siamo entrate in contatto con altri aspetti dell’incredibile realtà di questo contraddittorio e poliedrico paese: giovedì pomeriggio il percorso dall’aereoporto al quartiere di Beshiktas, sede dell’Università era bloccato da migliaia di persone, giovani, famiglie intere, donne con o senza velo che come una fiumana si avviavano verso lo stadio per sentire il concerto della pop star Rihanna; venerdì pomeriggio la stessa strada era quasi impercorribile, bloccata dai manifestanti e dall’enorme quantità di polizia che già alle sei del pomeriggio aveva cominciato ad attaccare con gas lacrimogeni e idranti urticanti.
A chi, come noi, non conosceva ancora la ragione di quanto stava accadendo, sembrava una scena assurda vedere giovani che scappavano tenendosi per mano, madri e padri incalzati dai lacrimogeni e dai poliziotti che spingevano di corsa i passeggini cercando di proteggere con fazzoletti sul naso i loro bambini.
Ma non erano solo scene di fuga, si vedevano persone che correvano in manifestazione armati di sorrisi, entusiasmo, baciandosi e abbracciandosi per strada tra gli applausi di tutti, locali e turisti.
Tutta quella gente non aveva armi, né sassi, né bottiglie incendiarie, nulla: quella prima carica a cui abbiamo assistito lasciava davvero esterrefatti.
Il nostro rientro sabato notte, dopo la cena sul Bosforo che gli organizzatori erano riusciti a mantenere prodigandosi in modo davvero commovente, ha avuto momenti di vero allarme. Il piccolo bus che ci riportava in albergo si è trovato circondato dai manifestanti da una parte e dalla polizia che sparava dall’altra.
Certo, anche protetti dal bus avevamo paura, ma era più forte l’impressione suscitata dalla fermezza con cui quelle persone rischiavano la vita per affermare alcuni diritti fondamentali che rischiavano di perdere. Coperti solo da mascherine da sala operatoria non arretravano di fronte alla nube di gas e alla violenza dell’acqua che veniva scagliata loro addosso.
Sarà difficile da dimenticare.
Vogliamo concludere con la risposta della responsabile dell’organizzazione logistica alle nostra mail di ringraziamento:
Thank you for your kind feedback. It is nice to meet and host you in our city, Istanbul!
We keep demonstration and hope we are going to prove our justness.
Thank you for your support and follow up!