5 Luglio – 5 Ottobre 2014 Forte di Belvedere e Giardino di Boboli, Firenze.
Maria Grazia Vassallo Torrigiani
“Prospettiva vegetale” è proprio un titolo appropriato per questa mostra, allestita in un percorso espositivo naturale di straordinaria fascinazione. Firenze – le sue architetture rinascimentali e il tranquillo scorrere dell’Arno – incornicia con scorci da cartolina l’ampio spazio aperto che ospita le sculture di Giuseppe Penone, a partire dal Forte Belvedere giù giù per il Giardino di Boboli, tra verdi quinte scenografiche di alberi e siepi in cui la spontaneità della natura è disciplinata dalle rigorose geometrie del giardino all’italiana.
In un solo colpo d’occhio, in un’unica esperienza percettiva, cultura arte natura si fondono insieme.
Ma la “prospettiva vegetale” è anche lo sguardo con cui Penone guarda al mondo. L’artista italiano – recentemente insignito del prestigioso Premium Imperiale 2014 per la scultura – fin dai suoi esordi sul finire degli anni ’60 ha intrapreso un percorso di ricerca in cui gli alberi costituiscono l’elemento centrale del suo lavoro, un modo per riflettere sull’umano e per pensare all’uomo attraverso poetiche risonanze e analogie con il mondo della natura.
L’albero è scultura “naturale”, e Penone è diventato l’artista-scultore di alberi. Come a Versailles nel 2013, e nella Venaria Reale a Torino, qui a Firenze i suoi lavori suscitano meraviglia, commozione, inquietudine, e sollecitano interrogativi e riflessioni. Il materiale scelto dall’artista, il bronzo, acquista a poco a poco il colore della vegetazione, e dunque forme create dalla natura e forme create dall’arte si confrontano e si confondono nella percezione del visitatore, che vaga come in un giardino incantato. Penone ci fa guardare agli alberi come ad organismi viventi, segnati nel “corpo” da impronte e memorie delle passate esperienze, dagli effetti e dalle modificazioni impresse su di loro dagli “oggetti” con cui sono venuti in contatto – la luce che ne orienta la crescita, il caldo, il freddo, gli sconvolgimenti della natura ed altro ancora.
Con una sorta di empatica immedesimazione, l’artista si pone in ascolto delle loro storie di vita e ce le narra, o meglio ce le suggerisce. Ed ecco alberi con le radici lanciate verso il cielo, come se il mondo si fosse capovolto per qualche inimmaginabile evento (figg. 1 e 2]*;
alberi con enormi pietre sospese tra i rami scheletrici, finite lì dopo una catastrofe senza nome [figg. 3 e 4];
alberi dal tronco squarciato da un fulmine, che riverberano internamente della luce di una sottile patina d’oro, memoria della linfa vitale – del sangue vegetale – che lì scorreva [fig. 5].
E ancora una enorme quercia abbattuta, con il groviglio di radici a vista: corpo pesantemente adagiato al suolo, ed esili rami che come cinque dita si protendono a toccare cinque fragili alberelli bambini, alberi vivi, piantati proprio dove i rami toccano il suolo [figg. 6 e 7].
Sono quasi alberi antropomorfi questi, dolenti testimonianze di dolore e di distruzione, eppure commoventi e tenaci richiami alla vita.
Il corpo dell’uomo, delle piante, e anche delle pietre, per Penone è come fossero parte di un unico organismo vivente, di cui l’artista mette poeticamente in luce le interconnessioni. Come in “Anatomie”, dove un blocco di marmo è scavato per evidenziare le venature che attraversano la pietra, facendole emergere e suggerendo così i vasi sanguigni che percorrono il corpo umano [figg. 8 e 9].
Parafrasando Merleau-Ponty, c’è un’unica “carne” nel mondo, noi siamo dentro la natura e la natura è dentro di noi.
*Le foto sono di Maria Grazia Vassallo