Cinema, arte, fotografia, letteratura, poesia, critica
Palazzo delle Esposizioni, 15 Aprile – 20 Luglio 2014
“E’ il possesso culturale del mondo che dà la felicità….”
P.P.Pasolini, Lettere Luterane, 1976
In associazione con altre tre capitali europee, Barcellona, Parigi, Berlino, Roma ospita fino al 20 Luglio questa innovativa mostra sulla indimenticata e complessa figura di Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale italianoche più di ogni altro, attraverso l’acuto sguardo che ha abbracciato ogni campo del sapere, è riuscito a leggere la realtà italiana lasciandoci un’eredità oggi più dibattuta e attuale che mai. La stessa presenza della Mostra, tra le molte iniziative in tutto il mondo a lui dedicate, ne è una riprova. Intellettuale completo, che inizia con i primi scritti poetici friulani per poi dedicarsi parallelamente al cinema, alla narrativa, alla poesia, al teatro fino ai famosi articoli di polemista dalle pagine de Il Corriere della Sera, dalla natia Casarsa approda a Roma, ventottenne, con la madre nel 1950, e vi vivrà fino alla morte nel 1975.
Agli anni romani è dedicata la Mostra, divisa in sezioni cronologiche che segnano, attraverso il ricchissimo materiale d’archivio, le immagini e alcune testimonianze, il percorso insieme intimo e pubblico di Pasolini, il suo appassionato rapporto d’amore e in seguito delusione con la città, che diventa metafora del popolo, dell’essenziale condizione umana e dei suoi cambiamenti nel dopoguerra. Con Roma – come scrive tra i curatori della Mostra, Giovanni Borgna – Pasolini ebbe un rapporto carnale e intenso, una ‘storia d’amore’ con l’ardore del primo incontro, le delusioni, i tradimenti, le fasi di rifiuto e ritorno. Ne fu set cinematografico privilegiato nel primo film, Accattone, e in Mamma Roma, creando un immaginario di poetica delle borgate assolutamente nuovo nella storia del cinema, e che aprirà la strada a molta produzione cinematografica che, rivisitata, è modello della più raffinata produzione contemporanea d’autore.
Semplice e didattica nel suo percorso cronologico, necessariamente frammentaria ma nello stesso tempo coerente e univoca, la mostra è apprezzabile al visitatore meno familiarizzato con l’opera dell’Autore, così come riserva qualche piacevole inedito, qualche chicca anche a chi, come me, da molti anni frequenta ed esplora, tornandovi continuamente, l’opera infinita di Pasolini.
Entiamo nel nostro tour…
– 1950-54
L’arrivo a Roma con la madre, amatissima e che gli resterà sempre accanto, in fuga dal padre “e le sue orrende furie di malato di cirrosi e sindromi paranoidee”, poveri, dopo che a Casarsa, in Friuli, si sono già consumati molti traumi: la morte violenta del fratello Guido, partigiano ucciso dai compagni, l’espulsione dal PCI e il divenire, per sempre, un ‘perseguitato’ dell’odiato potere democristiano, la sofferta presa di coscienza dell’omosessualità, una già ricca produzione poetica in friulano che, anni dopo, diventa paradigma della riabilitazione del dialetto e delle particolarità regionali italiane, uccise dall’omologazione che il boom economico del dopoguerra porterà con sé. Va precisato che, tuttavia, non proveniva da un ambiente pronvinciale: laureatosi a Bologna, aveva lì percepito i primi climi antifascisti a contatto con compagni intellettuali e fu allievo e amico di Longhi, uno dei maggiori critici d’arte italiani, da cui prende vita la passione per l’arte che non lo lascierà mai. Per i primi tre anni, vanno a vivere in un modestissimo appartamento in periferia, trovando lavoro Pier Paolo come maestro a Ciampino (“…il caro autobus delle sette…”), mentre anche la madre, con suo grande dolore, è costretta a prestare servizio nelle case.Ma sono creativamente anni ricchissimi: a quelle borgate dimenticate, disprezzate dagli urbanisti e in seguito devastate, Pasolini dona la struggente poeticità della macchina da presa, le perlustra e conosce a fondo, aiutato dall’amico Citti, e nobilita quelle povere facce, quei territori degradati a scenario del suo primo film, Accattone.Usando attori non professionisti e ‘improvvisandosi’ regista (“non sapevo niente di tecnica cinematografica”) col debutto di Accattone e, poco dopo, l’uscita del primo romanzo, Ragazzi di vita, Pasolini entra a pieno titolo nel mondo culturale e letterario italiano. Era stato ‘fulminato’, arrivando nella capitale, dalla visione in un vecchio cinema di Roma città aperta, emblema del neorealismo, che Pasolini trasforma poi in un suo personale e lirico linguaggio.
Non mancano i detrattori, le censure, gli infinti processi di cui la Mostra porta alcuni stralci; ma scendono in campo a difenderlo sempre gli intellettuali – Fellini, Moravia, l’editore Garzanti e molti altri – amici solidali, in particolare Moravia e la Morante, per tutta la vita. Sul piano intimo, sempre parallelo e dolorosamente alla base anche della sua forza poetica, rispetto alla solitudine del piacere ricercato a Casarsa, le fughe notturne nelle borgate romane offrono al poeta la liberazione di un Eros diverso, condannato alla solitudine e represso per molti anni, trovando un fragile ed equilibrio:
“ … sono riuscito a sopravvivere salvando capra e cavoli, cioè l’eros e l’onestà.”
“…qui a Roma posso trovare meglio che altrove il modo di viere ambiguamente, mi capisci? E nel tempo stesso, il modo di essere compiutamente sincero, di non ingrannare nessuno…” (Da Lettere, 1950)
Pur nella povertà, la Roma di quegli anni, pura e incontaminata dal futuro consumismo, resta nella memoria del poeta luogo dell’anima, scenario privilegiato di una nostalgia che porterà in seguito, nella maturità, a ricercare la stessa ‘purezza’ nel terzo mondo, meta degli ultimi viaggi.
Sono anni, quindi, irrinunciabili alla sua formazione artistica e poetica, e inaugurano uno stile assolutamente innovativo nel cinema, come detto, e nella letteratura.
“…sono vissuto sempre in una lirica, come ogni ossesso”
(Diari, 1950)
– 1955-60
E’, infatti, con la pubblicazione di Ragazzi di vita” nel 1955, seguito poi da Una vita violenta, entrambi con Garzanti, che Pasolini entra nel mondo letterario.Come con il cinema, dove dà voce e volto a gente del popolo inaugurando un cinema come “lingua parlata della realtà”, con la stessa coerenza popola i due romanzi di ragazzi di borgata, povera gente qualunque, cui affida la rivoluzionaria libertà di lasciare il dialetto romanesco, la lingua che realmente questa gente parla.Rifiuta ogni linguaggio borghese (noto è l’odio per la piccola borghesia italiana di cui resterà sempre critico oppositore): anche nella trasversalità degli stili, le sue opere restano in qualche modo picaresche, venate d’immaginario e favolistico pur nell’intento di costituire sempre potenti metafore della realtà.La realtà, e in particolare quella italiana, resta l’obiettivo principale di tutta la speculazione pasoliniana. Con i primi guadagni, intanto, si trasferisce con la madre nella stesso stabile in cui abita l’amato poeta Attilio Bertolucci che, come evocato nel ricordo dell’allora giovane Bernardo (di cui la Mostra ripropone il video), un giorno Pasolini va a conoscere, semplicemente bussando alla porta, accolto a braccia aperte da Attilio che in lui intravvede già “un bravissimo poeta”.Il giovane, entusiasta Bernardo Bettolucci gli farà da improvvisato aiuto-scenggiatore (“…ma maestro, non so niente di tecnica cinematografica!” – “neanche io…impareremo insieme”).L’amicizia col giovane Bertolucci, che gli sarà sempre infinitamente grato, durerà tutta la vita, insieme a quella con la coppia Moravia e Morante con cui condividerà molti viaggi, il più dialettico rapporto con Calvino, i più rari ma intensi incontri col riservato Gadda, che Pasolini ammirava molto, l’instancabile Laura betti, e molti altri.
Il mondo letterario della Roma dell’epoca, che in parte Fellini immortala ne La Dolce vita (di cui Pasolini, cosa forse poco nota, è co-sceneggiatore) era assai diverso, e molto più ricco e stimolante dell’attuale: gli incontri avvenivano nelle redazioni delle riviste, nei ristoranti, nei ritrovi dove cineasti e letterati s’incontravano ogni giorno, in uno scambio incessante.Sono gli anni in cui, grazie al suo stile innovativo, è chiamato da altri registi a collaborare ad alcune sceneggiature, in particolare Fellini (affettuosamente chiamato ‘il Grande Mistificatore’) cui lo legherà sempre un rapporto affettuoso pur nelle reciproche differenze, con La dolce vita e Le notti di Cabiria, Bolognini con La notte brava, e altri, fino a che Pasolini, padrone ormai di un linguaggio stilistico assolutamente personale e unico, si dedica al cinema con “passione furibonda”, lo studia, lo approfondisce, e non lascerà più la macchina da presa. Sono anche gli anni delle collaborazioni a importanti riviste letterarie, soprattutto “Officina”, le cui pubblicazioni vengono però interrotte dopo le censure scatenate dalla poesia A un Papa, dove Pasolini, permeato come è noto da un profondissimo senso del sacro, critica apertamente le ambigue scelte del papato e della Chiesa Cattolica, la sua sostanziale collusione col Palazzo, altra intramontabile metafora, oggi entrata nel linguaggio comune, dei vizi e delle derive della politica parlamentare italiana.
Se in quei fervidi anni, la vita sociale di Pasolini è concentrata di giorno nel centro di Roma e nelle sue élite letterarie, di notte, scriverà nel ’60:
“…la trascorro al di là del confine della città, oltre i capolinea (…).Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza,: (…) e ce n’é un’abbondanza sconfinata, senza limiti: ed io divoro, divoro…Come andrà a finire, non lo so.”
– 1961-63
Con Accattone del ’61, il linguaggio stilistico di Pasolini non solo ha trovato pienezza narrativa, ma sarà come detto di stimolo ed esempio a molti nuovi cineasti.Come sempre oggetto di polemiche, per l’innovativo uso del romanesco e di attori non professionisti, il film entrerà però nella storia del cinema e si colloca in quella Trilogia romana, seguito da la Ricotta e il bellissimo Mamma Roma, con Anna Magnani. Un piacevole inedito, anche per i ‘saccheggiatori’ di Pasolini come me, lo spezzone di un breve dialogo con la Magnani sul set di Mamma Roma dove, com’è forse noto, i due ebbero un rapporto conflittuale e visioni differenti.Il tempo darà ragione a Pasolini, che pretendeva dall’attrice professionista formatasi alla scuola del neorealismo di Rossellini, una recitazione naturale, diremmo naturalistica, priva di pose, cosa che risultava all’attrice piuttosto difficile.Ma lo sforzo riuscì bene: oggi Mamma Roma del ‘62, storia della prostituta romana che tutto investe, per esserne delusa, sull’unico figlio maschio, è uno dei film pasoliniani più visti e rappresentati, persino nelle ore di punta dei vari canali televisivi.Personalmente, l’ho sempre amato moltissimo: l’indimenticabile gioia puerile di questa madre nel primo giro in Lambretta, acquistata con tanto sacrificio, il corpo del giovane morto a chiaro richiamo del Cristo del Masaccio, sono immagini nitidamente scolpite nella mia memoria cinematografica.Sono gli anni della conoscenza con Ninetto Davoli durante le riprese de La Ricotta, amore ricambiato solo virtualmente, ma che gli resterà accanto tutta la vita, seguendolo in viaggi ed esplorazioni in un rapporto d’intima, sconsolante e dolorosa per il poeta, fedeltà. L’”angelo innocente dai capelli ricciuti”, è dunque per il poeta sì la persona in sé, ma come ogni cosa che lo interessi, diventa anche simbolo di un’umanità semplice, pura, certamente idealizzata e in parte frutto del suo desiderio e proiezione, ancora immacolata dall’avvento dell’omologazione di massa e del crimine che questa farà sulle realtà particolari e sulle identità più sprovvedute.Con l’ormai anziano Totò, Ninetto è protagonista della favola surrealista Uccellarci e Uccellini (altra innovazione, l’ultilizzo di Totò, della sua maschera tragicomica, per un film assolutamente fuori dalla gag e dallo schema).Con Uccellacci, sempre ambientato a Roma nei brulli territori dell’EUR, l’obiettivo si sposta dalla rappresentazione delle borgate, che ormai non esistono più, a potente metafora di critica sulla caduta delle ideologie, anticipando di quarant’anni il dibattito oggi in corso sull’epoca del post: post-comunismo, post-idealismo, post dei grandi sistemi novecenteschi che hanno aperto la porta al cosiddetto post-moderno, sono qui anticipati e previsti nella chiara lucidità, a torto secondo me chiamata ‘chiaroveggenza’ , della lettura pasoliniana, acutissimo indagatore del suo tempo e della realtà.
– 1963-66
Desideroso di una casa finalmente propria, e per garantire tranquillità e un ambiente consono all’anziana, ma sempre vicina e curatissima madre, acquista un appartamento all’Eur, quartiere simbolo proprio di quella ‘mutazione antropologica’ che ha ucciso le periferie, trasformandole in quartieri dormitorio, e modellato le coscienze. Sono gli anni della iniziale disillusione, de primi Scritti Corsari, indimenticati e indimenticabili pezzi di lettura e polemica sociologica ancora oggi, e direi anzi soprattutto oggi, rivistati in tutta la loro sconcertante attualità.La delusone per il vuoto lasciato da un mondo contadino scomparso, lo porta ai primi grandi viaggi in Africa e Medio Oriente, terre che lo affascinano e futuri set dei prossimi film, anche se quella che resta forse l’opera principale, Il Vangelo secondo Matteo del ’64, è in realtà girato ai sassi di Matera, assolato e poco noto territorio che Pasolini intuisce prestarsi perfettamente a rappresentare la terra del suo Vangelo, opera così intrisa di senso del sacro che persino la Chiesa Cattolica, ufficialmente, ne riconoscerà il valore.Sono gli anni della scoperta dell’India, con Moravia, lo Yemen, la Nigeria…sempre tornando a Roma, conflittuale sede della sua “disperata vitalità”, carnaio di contraddizioni, sensualità ed evoluzioni irriducibili non solo alla poetica, ma alla biografia stessa del nostro poeta.Sono anche gli anni in cui, al volante della sua auto, gira in lungo e in largo l’Italia producendo per la televisione gli originali Comizi d’amore (per gli interessati, periodicamente riproposti da RAI Storia) dove, microfono alla mano, con i suoi modi gentili indaga come la gente, la gente semplice, quella che non frequenta i tormenti dei letterati, vive l’amore…ne esce una sorta di documentario vivente, unico nel suo genere e che vedrà molti tentativi futuri di imitazione, dove l’obiettivo è nuovamente, come sempre, sulla realtà: perché è la realtà che parla, non occorrono infingimenti, e grazie al cinema la realtà, più velocemente che con la letteratura, per Pasolini trova il suo strumento prediletto: cinema di poesia e insieme cinema come lingua parlata della realtà sono i cardini teorici dei bellissimi scritti pasoliniani sul cinema.Il suo cinema e la sua poetica varcano i confini nazionali; particolarmente amato in Francia, scambia opinioni con Godard e Sartre, è intervistato dal prestigioso Cahier du Cinéma e, come la Mostra riproduce, ed è di un giornalista francese l’ultima intervista rilasciata prima del morte, il 31 Ottobre dello stesso anno.
Lunghe sono le ricerche per il Vangelo, la scelta del cast prima di tutto, che ricade su contadini campani e lucani, “…quelle facce impreviste nella loro quotidianità umile…”, che finiscono però per soddisfarlo, com’era stato per Uccellacci e Uccellini: l’opera ha raggiunto una sua unità espressiva e stilistica, non ha precedenti, e “ l’evocazione ora stranamente prevale sulla rappresentazione. Il caos ha ritrovato un’imprevista pacificazione tecnica e stilistica.Me ne sto chiedendo il perché”.E’ nel frattempo sempre continuata la produzione poetica, che alterna scritti più intimisti, Poesie in forma di rosa, ad altri dai contenuti a suo modo politici e polemici, Le ceneri di Gramsci e La Religione del mio tempo.Trovo tuttavia, personalmente, la distinzione artificiosa: tutta l’opera di Pasolini è imprescindibile dal percorso interiore, dallo scavo continuo e dolente che egli fa dentro di sé, la visione del reale se ne nutre, non se ne separa, il mondo interno e il mondo esterno convivono, come forse in ogni poeta, in lui con particolare intensità. Delle poesie di questi anni, mi limito, per piacere personale, a ricordare (come fa anche la Mostra) la struggente Supplica a mia madre del ’64, di cui mi limito per ragioni di spazio a pochi versi…
“ (…) Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è sempre stato, prima di ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò che è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la via che mi hai data. (…)”
(da: Poesie in forma di rosa, 1964)
– 1963- 74
Roma, e l’Italia, sono ineluttabilmente cambiate.L’omologazione consumista, complice la televisione di Stato alleata potentissima del potere partitico del Palazzo, è riuscita nel più grande dei crimini: zittire le coscienze, sedarle coi beni di consumo, omologarle, riuscire persino in quello in cui non era riuscito il patetico tentativo fascista.La Mostra riporta stralci dei famosi interventi, che apparvero scabrosi allora e lo restano, a mio avviso, oggi, sui danni della mutazione antropologica, di un mondo contadino rapidamente scomparso senza che il Paese avesse un tessuto connettivo di solida tradizione liberale, fenomeno unico in Italia e che, come sapremo, aprirà le porte al berlusconiano, altro fenomeno senza uguali. Sono gli anni del polemista, del giornalista, delle splendide interviste di cui la Mostra riporta solo le più note al grande pubblico, come Contro la televisione, l’accorato pamphlet Io so, sulle stragi che di quegli anni, il grido a favore dei poliziotti figli di proletari negli scontri di Valle Giulia del ‘68 contro i figli della nuova borghesia, e via dicendo.Innumerevoli, scottanti e attuali contribuiti che costituiscono oggi la lettura precisa del disastro e della perenne arretratezza dell’Itala contemporanea.Sono anche gli anni della produzione teatrale, composta febbrilmente durante un mese di convalescenza da una malattia, opere tutte oggetto di polemica e censura, come Orgia, messo in scena a Torino con Laura Betti.Ma sono anche gli anni della stagione delle tragedie, da Edipo re girato in Maroccoa Medea, in cui chiama Maria Callas, acclamata e perfetta protagonista cui lo legherà una profonda e tenera amicizia, e un amore inevitabilmente non ricambiato da parte di lei.E’ del ’66 il divertente, entusiasmante viaggio a New York, dove l’insaziabile curiosità e fame di conoscere lo porterà a girare giorno e notte per una delle città che più lo affascinano, brulichio di quell’umanità varia, fatta di lavoratori e vecchi quartieri, facce di ogni tipo, un caleidoscopio che lo entusiasma e che Oriana Fallaci racconta nel delizioso pezzo per l’Europeo, Un marxista a New York, appunto del ’66.
“ (…) Dal ’44, ’45 in Europa tutto è finito. In America si ha l’impressione che tutto stia per cominciare.”
Anni fertilissimi.Conversa con Allen Ginsberg mente scrive Il PCI ai giovani e Contro la Televisione, prepara la discussa Trilogia della vita che lo vedrà in Inghilterra per I racconti di Canterbury, ennesima declinazione della ricerca dell’incontaminato e del puro, attraverso la metafora eterna di una sessualità quasi infantile, del tutto naturale e diremmo astorica, del tutto aliena dalle contaminazioni borghesi e capitalistiche.Curiosamente, quello della Trilogia della vita è anche l’unico caso in cui Pasolini in seguito, come la Mostra ricorda, abiura contro la sua stessa opera, resosi conto, nella sua implacabile lucidità anche verso di sé, dell’inutilità della fuga dal “genocidio culturale” oramai inevitabilmente avvenuto.
-1975
All’ultima sezione, a sé, è dedicato l’anno della morte, violenta e improvvisa nel litorale di Olbia, com’è noto per mano di un ragazzo ‘di vita’. Sono tormentate, e necessariamente inconcluse, testimonianze di quel periodo il romanzo Petrolio e il film Salò. O le centoventi giornate di Sodoma, liberamente ispirato al romanzo di De Sade che diventa scenario ideale per quella che alcuni critici hanno definito la più assoluta, radicale e pura metafora dell’uso del corpo come strumento di Potere.Se il nesso corpo-Potere era già stato studiato da filosofi quali Foucault, con Salò la riduzione del corpo a cosa, a oggetto inanimato in in mano al Potere ottuso dei regimi totalitari, acquista qui la sua punta più assoluta, quasi intollerabile allo spettatore. Durante le riprese, subisce minacce di morte e altre molestie, ma non ne vedrà l’uscita nelle sale, poiché muore poco prima.
Aveva 53 anni, oggi ne avrebbe 90, e molto, molto da dire…Una morte forse attesa, inconsciamente ricercata in quel pericolo da sempre avvertito della ‘troppa vitalità’ che ‘non mi avrebbe portato a niente di bene’… Attonita, la Roma dei molti amici artisti e intellettuali ne segue il funerale, che la Mostra attesta, insieme a molta gente di popolo, non più il popolo ‘innocente’ del primo arrivo a Termini nel ’50, ma pur sempre tutti quelli che non hanno voce, che non hanno storia, per il cui diritto alla pienezza di una vita condotta sotto la luce della ragione e della Verità, Pasolini si è sempre battuto.
“E’ meglio essere nemici del popolo che della Verità”
Conoscitore profondo della psicoanalisi, per concludere il senso per cui ho proposto qui questo breve itinerario, con la psicoanalisi Pasolini non solo ha potuto approfondire e comprendere il dramma del suo edipo personale, ma anche l’imperitura necessità di cercare sempre e comunque la Verità, la verità su se stessi. Ne pagò il prezzo, coscientemente.
Una piacevole, per me, nota a margine: in una Roma invasa di sudati turisti, molti stranieri a una Mostra questa questa, priva di quadri, attenti e concentrati su un personaggio, perseguitato in vita, e oggi oggetto di un interesse universale.
Le accorate, a tratti urlate parole di Moravia nell’orazione finale, chiudono la Mostra e il nostro commiato, da cui estrapolo solo qualche riga….
“…E’ oggi morto un poeta…lo capite? Un poeta…Ne nascono due o tre ogni secolo. (…) Un uomo buono, mite e gentile, immensamente geniale”
Roma, 1975