Anna Maria Battistini
Pubblicato su “Io Donna” inserto del Corriere della Sera Sabato 28 ottobre 2006
«Sono padre e omosessuale. Ho scritto questo libro perché le due parole vadano insieme». Il libro è Père comme les autres, appena pubblicato in Francia da Hachette. L’autore un intellettuale di sinistra, Christophe Girard, 50 anni, vice sindaco di Parigi addetto alla cultura: una figura pubblica di prestigio che si inserisce con l’impatto di una storia personale dalle forti risonanze emotive nel dibattito in corso sull’omoparentalità.
La nascita del figlio Benjamin, che ora ha 23 anni e studia filosofia alla Sorbona, è stata casuale, come le brevi avventure giovanili con ragazze di passaggio alle quali allora non rinunciava pur riconoscendosi omosessuale fin dall’adolescenza. Una casualità che gli è apparsa come un dono del destino. «Ignoravo che Marie, un’amica con la quale avevo avuto un’avventura, fosse incinta» racconta «Quando l’ho saputo ho subito sperato che il figlio fosse mio. Si sarebbe così realizzato il mio desiderio: la possibilità, inaudita per un omosessuale, di essere padre». Una possibilità che Marie, madre single e orgogliosa di esserlo, gli ha accordato solo più avanti, quando il piccolo aveva due anni. Da allora Benjamin è cresciuto come molti figli di separati: durante la settimana con la mamma, la maggior parte dei week end e delle vacanze con il papà. E con i rispettivi compagni, alternando la famiglia etero e quella gay. Ma che cosa spinge un omosessuale a desiderare un figlio, rivendicando il diritto non solo umano ma giuridico di essere padre ”come gli altri”? Girard non nega che, preferendo gli uomini alle donne, la prospettiva di dover per questo rinunciare alla ”posterità”, di morire senza lasciare traccia, senza nessuno dopo di sé a proseguire il suo cammino e a mantenerlo vivo nella memoria, gli pesava più di qualsiasi rinuncia. Ma la paternità ha rappresentato per lui un talismano ”contro la morte” anche per motivi più profondi, personali. «Ho sempre desiderato un figlio» ricorda. «E so che questo desiderio è in parte legato alla morte, una presenza costante nella mia vita: dalla perdita di una sorellina di 8 anni, al suicidio di mia madre, alla morte di due miei compagni stroncati dall’Aids». Di qui il bisogno vitale di un figlio, per trasmettere ad altri qualcosa di sé. E quello altrettanto vitale di impegnarsi nella politica e nella battaglia sempre più accesa in Francia per i diritti gay: dopo i Pacs, una conquista del 97, oggi gli obiettivi sono il matrimonio e l’omoparentalità, in primo luogo attraverso l’adozione che in Francia, come in Italia, è negata agli omosessuali. Famiglie come le altre, genitori come gli altri: può sembrare strana, o quanto meno contradditoria la spinta alla ”normalizzazione” che dagli anni Ottanta, in concomitanza con la tragica epidemia dell’Aids, attraversa come una ventata conformista il mondo gay, il cui stesso orientamento sessuale rivendica la libertà di un amore che si sgancia da ogni schema tradizionale, a cominciare dalla procreatività. E se si riesce più facilmente ad accettare l’idea di ”due mamme e un bambino”, sembra più difficile immaginare una famiglia con due papà, senza una presenza femminile in cui si incarni la figura materna. «Si pensa che il desiderio di un figlio sia naturale nelle donne, e quindi si tende a comprenderlo e ad accettarlo di più nelle lesbiche» dice lo psicoanalista Sarantis Thanopulos, che firma insieme a Olga Pozzi una raccolta di saggi su questi temi, Ipotesi gay (Borla), in uscita in ottobre. «Ma lo stesso desiderio esiste in egual misura anche nell’uomo, come compimento essenziale della sua esistenza, indipendentemente dalle sue inclinazioni sessuali. Anche quando la tendenza alla paternità è inibita dalle circostanze, non viene meno il desiderio da cui scaturisce. Fa parte della struttura psichica maschile e può esprimersi anche in modo simbolico, con l’assunzione di una funzione paterna di tipo sociale.
Ci sono uomini che hanno dei figli senza aver mai svolto questa funzione e altri che, pur non avendone, si sentono pienamente realizzati sia a livello interiore sia sociale come padri: fra questi non è raro né sorprendente trovare uomini omosessuali». Oltre a vivere la paternità in modo simbolico, attraverso la sublimazione del desiderio di un figlio, sono molti gli omosessuali, padri di figli avuti da matrimoni precedenti alle unioni gay, che continuano a svolgere la loro funzione affiancati dal nuovo compagno. «Questa sera vengono da noi mia figlia e il suo fidanzato»: comincia così una delle dieci storie di coppie omosessuali, di cui almeno tre con figli, raccolte nel libro Matrimoni gay (Einaudi tascabili) di Pier Giorgio Paterlini «Sono convinto» dice lo scrittore «che l’omosessualità non qualifichi l’intera personalità dell’individuo. E non influisca affatto sul desiderio di un figlio, come su molti altri aspetti dell’affettività umana. Come succede agli eterosessuali, anche i gay possono provare – o non provare affatto – un forte impulso verso la paternità. Con una differenza: l’impossibilità per un omosessuale di realizzare questo desiderio all’interno della coppia in alcuni casi non fa che accentuarlo, trasformandolo a volte in un’ossessione. Come succede del resto a molte coppie sterili che si accaniscono per avere un figlio a tutti i costi». Con o senza accanimento, sono sempre di più i casi di coppie omosessuali che ricorrono alla procreazione assistita, con l’inseminazione artificiale per le lesbiche e l’”utero in affitto” per i gay nei paesi dove queste pratiche sono legali. Ivan e Gianmarco, 39 e 47 anni, entrambi affermati professionisti, hanno un figlio di un anno e mezzo, Stefano, avuto in California con il ricorso a una ”madre portatrice”. «Da quando avevo 20 anni sapevo che un giorno avrei voluto diventare padre » racconta Ivan «Passata la trentina, questo desiderio si è risvegliato. Ma a Gianmarco l’idea di avere un figlio sembrava inconcepibile: era un argomento che considerava chiuso da quando, molti anni prima, aveva rivelato la sua omosessualità alla madre, e lei aveva detto: ”Non avrò mai dei nipotini”. È stato l’incontro con una coppia di genitori gay a smussare il verdetto materno, facendo affiorare anche in Gianmarco un desiderio di paternità che aveva rimosso. Così, dopo aver scartato l’ipotesi di fare un figlio con una coppia lesbica, siamo partiti per la California…». Non è stata una cosa semplice. Ci sono voluti diversi viaggi, e alcuni anni prima di trovare la ”donna giusta”: una madre portatrice sposata e con figli, come da regolamento, con la quale sono rimasti in contatto dopo la nascita di Stefano.
E che il bambino ha conosciuto. «Anche nella vita quotidiana di Stefano» dicono i due papà «non manca una presenza femminile: la tata, che non esita a intervenire quando le sembra che non accudiamo il piccolo come si deve…». Una scelta d’élite, quella di Ivan e Gianmarco che, a causa dei costi elevati possono permettersi solo i gay della classe medio-alta, come osserva Franco Grillini, leader storico del movimento omosessuale in Italia e deputato DS. «La maggior parte decide di arrangiarsi da sé» dice «scegliendo la ”coparentalità” fra una coppia gay e una lesbica, di solito con l’inseminazione ”artigianale”, creando così una famiglia allargata, con due papà e due mamme. Ma a volte c’è anche la donna etero che, avvicinandosi ai 40 anni, magari delusa dagli uomini, decide di fare un figlio con un amico gay. Che sotto molti aspetti, a cominciare dalla democrazia affettiva e domestica, rappresenterebbe il marito ideale: se non fosse omosessuale». Proprio come dice Eleonora, madre single di una bambina di tre anni, Sonia, avuta da Gianluca, amico gay dai tempi del liceo: «Gianluca mi è stato di grande aiuto sia sul piano pratico che affettivo nel crescere Sonia, senza essere invadente nè voler competere con me, come succede a molti neo-papà» dice. «Passiamo spesso i fine settimana insieme, con o senza il suo compagno, ma durante la settimana viviamo come molti genitori separati. Senza però i conflitti, le tensioni e i risentimenti che spesso hanno le coppie divorziate». Anche in Italia, come in molti altri paesi europei, si assiste ad un aumento della natalità nelle coppie gay, che secondo Grillini coincide con la violenta campagna per vietare l’adozione agli omosessuali. Come dire: ”Ci proibite di essere genitori? Allora ci arrangiamo da soli”. «Se prima erano soprattutto le lesbiche a desiderare un figlio, ora ci sono sempre di più gay che vogliono diventare padri: un desiderio che ho avuto anch’io da giovane, prima di prendere coscienza della mia omosessualità» dice Grillini. «Sono un gay ”ritardato”, che si è scoperto tale a 27 anni. Prima ero stato perdutamente innamorato di una ragazza: volevamo sposarci e avere tanti figli, otto se ben ricordo. E anche per questo ci siamo laureati entrambi in pedagogia.
Poi le cose sono andate diversamente. Lei ha avuto cinque figli. Io, invece, ho fatto la rivoluzione gay». Un modo per sublimare l’istinto paterno, direbbero gli psicologi. Ma non sempre l’impegno politico e sociale basta a compensare il desiderio di un figlio: soprattutto se non si vuole rinunciare a niente, come ammette lo stesso Christophe Girard. «L’idea di vivere e invecchiare senza bambini, senza nipoti da educare mi provocava un dolore, un senso di privazione insopportabili» ricorda «Poiché la natura aveva deciso per me una sessualità che non mi permetteva di riprodurmi, avrei dovuto rinunciare a vivere la vita che desideravo? Non mi sono mai sognato di rinunciarvi. Inventare la propria vita non è un lusso, è una lotta per la libertà. E questa libertà aveva per me anche il volto di un bambino» E loro, i figli di un ”desiderio impossibile” che oggi gli omosessuali cercano sempre più spesso di realizzare, come vivono questa nuova realtà? Come influisce sul loro sviluppo psichico il fatto di non avere come genitori un uomo e una donna, ma due persone dello stesso sesso? Secondo le ricerche condotte nei paesi dove l’omoparentalità è un fenomeno ormai di notevoli proporzioni, come gli Stati Uniti e l’Inghilterra, i figli di coppie gay o lesbiche non presentano differenze sostanziali rispetto a quelli cresciuti nelle famiglie eterosessuali, né manifestano una maggior tendenza all’omosessualità. Arrivando alla conclusione che «l’omosessualità è compatibile con il ruolo di genitori e non costituisce un fattore di rischio per i figli», come si legge in una ricerca nazionale dell’Associazione di Psicologia Americana. In Francia dove il dibattito sul diritto degli omosessuali al matrimonio e alle adozioni è al centro di accese polemiche, c’è una netta divisione fra chi è pro o contro l’omoparentalità. Un ”diritto” che secondo lo psicoanalista francese Jean Pierre Winter infrange un principio intangibile: quello di realtà. «Fino a prova contraria occorrono una donna e un uomo per fare un bambino» afferma «L’omoparentalità vuol rendere possibile l’impossibile.
Ma un bambino che cresce con genitori omosessuali sa che non può essere nato da una relazione che nega la differenza dei sessi, alla base della costruzione dell’identità dell’individuo. Si parla tanto di diritti degli omosessuali. Io difendo il diritto del bambino ad avere un padre e una madre». Secondo altri, nello scenario attuale di famiglie ricomposte, monoparentali, procreazione assistita e adozioni si delineano ormai da tempo nuove geometrie familiari che non rispecchiano più il classico triangolo madre, padre e figlio. «I processi di identificazione sono molto complessi nel bambino e non si limitano alle figure del padre e della madre» osserva lo psichiatra e psicoterauta infantile Robert Neuburger «La differenza dei sessi e la possibilità di riconoscersi nell’uno o nell’altro, il figlio di genitori omosessuali può trovarli in altri membri della famiglia, a cominciare dai nonni, come pure all’esterno, nella scuola e nella società. Come del resto avviene nelle famiglie monoparentali». «Rifiutando il diritto all’omoparentalità» aggiunge il sociologo Eric Fassin «si impone una norma che stigmatizza non solo le coppie omosessuali, ma anche le famiglie monoparentali e ricomposte, in tutte le loro forme». Un’analogia che forse sottovaluta un dato fondamentale: a differenza delle varie costellazioni familiari, la coppia omosessuale è costretta a realizzare il desiderio di un figlio al di fuori della propria relazione. Come avviene nelle coppie sterili, certo. Ma in questo caso la sterilità non è organica o psicogena: è insita nella natura stessa dell’omosessualità che porta ad amare una persona dello stesso stesso. «Gli artifici a cui si ricorre per avere un figlio a tutti i costi» osserva Sarantis Thanopolous «possono rivelare un desiderio narcisistico, l’aspirazione a una completezza autarchica che trasforma il figlio in un complemento di sé. Quello che conta quindi è il livello di maturità psichica raggiunto, che permette di vivere il rapporto omosessuale non come una forma di autoerotismo, amando se stessi attraverso un altro uguale a sé sotto il segno dell’indifferenziazione. Ma come una relazione d’amore in cui si mantengono vive le proprie componenti eterosessuali, insieme a quelle immagini interiori che fanno parte della struttura psichica di ogni individuo: dalla differenza dei sessi, alla scena primaria, l’unione fra un uomo e una donna che evoca l’origine della vita. E che si potrà trasmettere al figlio, come qualsiasi genitore eterosessuale». Il dibattito è aperto: ça n’est qu’un debut